Vita di Leone Ginzburg
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Vita di Leone Ginzburg

  1. 160 pagine
  2. Italian
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Vita di Leone Ginzburg

Informazioni su questo libro

«Le lascio immaginare il senso di malinconia e di rabbia che mi dà il continuare a essere considerato straniero nel mio paese».Così scriveva Leone Ginzburg, il 1° agosto 1943, all'amico Benedetto Croce, dal confino abruzzese di Pizzoli in cui il regime fascista lo aveva segregato, come «prigioniero civile di guerra», insieme con la moglie e i figli, fin da tre anni prima, al momento dell'entrata in guerra dell'Italia. Ma già a partire dal maggio del 1935 Ginzburg era stato continuamente spiato, sorvegliato, perquisito, incarcerato. Antifascista, militante del gruppo di Giustizia e libertà, direttore editoriale e principale animatore, insieme con Cesare Pavese, della casa editrice fondata a Torino da Giulio Einaudi, Leone ha sempre rivendicato, nella sua breve e intensissima vita, il carattere radicale delle sue prese di posizione politiche e culturali. Infatti, la sua figura si presenta come l'espressione più significativa di quel gruppo di intellettuali militanti che si insediò a Torino tra il 1935 e il 1943, e che avrebbe segnato in modo profondo tutta la successiva vicenda politica e culturale italiana, dalla Resistenza alla Liberazione, alla nascita della Repubblica. Il volume racconta per la prima volta, in modo completo, la storia della vita di quest'uomo, del suo radicalismo politico e morale, forse troppo rapidamente dimenticato nei decenni successivi. Florence Mauro, una scrittrice francese, di padre di origine piemontese, che porta nella propria formazione le tracce profonde di quella memoria, ha voluto raccontare la folgorante parabola di Leone «come fosse una bandiera, un manifesto, un tentativo di fornire un contrappunto alla cattiva qualità della storia presente».

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Informazioni

Casa Einaudi

Mentre la maggior parte dei torinesi è abituata a fare largo uso di quei primi tram costruiti dal 1871, una bella donna, di schiena, voltandosi di spalle a metà, sta per rientrare in macchina; sul manifesto si può leggere la scritta: «La nuova Balilla per tutti, eleganza della signora». Nel 1932, la Fiat lancia la Balilla 508, la prima automobile di piccole dimensioni costruita in Europa, e vende dodicimila vetture. La catena di montaggio si automatizza: meno operai. Tuttavia, lo sviluppo economico del paese è in gran parte dovuto al mercato dell’automobile in crescita. Torino negli anni trenta diventa uno dei centri industriali più importanti d’Europa. I cotonifici fanno concorrenza all’industria tessile e, in breve tempo, vengono costruiti centri idraulici e di fabbricazione di aerei. In città sorgono nuovi quartieri e i muri sono tappezzati di manifesti. La città inizia a diffondere informazioni su se stessa. La quinta Mostra della meccanica e metallurgia esibisce il disegno di un enorme dado stilizzato da Nardini. Gigi Chessa, il grande designer, crea anche alcuni manifesti sulla vita culturale: «Jack Hylton and his boys» si esibiscono con sassofono e violino nella Torino by night.
Oggi, faccio il giro dell’edificio che ospita l’Einaudi, la cui facciata anni trenta dà su corso Umberto; l’entrata è in via Biancamano. Poi mi reco in via Arcivescovado 7, là dove la storia ha inizio.
Nel 1933, Giulio Einaudi, il figlio di Luigi, fonda la casa editrice. Pervaso da una passione intellettuale e politica, egli crede nella responsabilità della cultura. Si fa affiancare senza indugio da due uomini di cui conosce il valore: Cesare Pavese e Leone Ginzburg. Pertinenza della scelta. Ancora una volta due forme di radicalismo molto vicine fra loro, con una differenza: mentre Leone si appassiona alla politica, questa proprio non interessa a Cesare, almeno in maniera non così esplicita. Due esistenze forti e originali. Einaudi intravede in Cesare Pavese il grande poeta e in Leone Ginzburg l’uomo di principi e d’eccezione. L’editore si rivolge anche ad altri giovani intellettuali che fanno parte dello stesso gruppo di Monti al liceo d’Azeglio, come Norberto Bobbio, giovane filosofo, e Massimo Mila, saggista e futuro autorevole musicologo.
Giulio Einaudi fa dunque installare gli uffici della casa editrice in via Arcivescovado 7, nei locali in cui viene stampato «L’Ordine nuovo», il giornale fondato da Gramsci: un luogo di resistenza profondamente simbolico. Ancora Gramsci, il tribuno della battaglia politica e della sommossa operaia del 1917. Gramsci, nell’«Ordine nuovo», rivendicava l’urgenza d’informare il maggior numero di lettori, di educare alla politica e alla cultura, di costruire una nuova società italiana, un nuovo socialismo. Queste le sue parole: «Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti».
In quei luoghi marcati a fuoco dalla storia, Giulio Einaudi decide di riprendere in mano la rivista «La Cultura» e propone a Leone di dirigerla. Dirà: «in un certo senso, Ginzburg è stato il mio Croce», pensando al ruolo di Croce nella casa editrice Laterza.
Nel gennaio 1934, mentre le lettere e i rapporti di sorveglianza si concentrano sulla persona di Leone Ginzburg, questi scrive alla madre le ultime notizie sulla rivista che sembrano del tutto positive: «Giulio Einaudi è stato a Milano ed ha potuto parlare finalmente con Cajumi. La rivista può uscire mensilmente dal 15 marzo. Il direttore sarà con tutta probabilità Cesarito (Cesare Pavese) e io sarò il cosiddetto redattore capo. Appena la rivista avrà più di 500 abbonati, riceverò uno stipendio, cioè il quattro per cento dell’utile annuale. Poiché nei primi tempi l’editore avrà un deficit finanziario, egli vuole pubblicare anche dei libri… Io gli ho consigliato una collezione storica limitandola intanto alla storia italiana del XIX secolo»1. Non è un caso che il primo libro verterà su Cavour. La collana, fin dalla sua nascita, s’inscrive in quella tradizione che dall’Illuminismo arriva al Risorgimento e poi, in prospettiva, all’antifascismo. Leone, direttore della collana, s’impegnerà a pubblicare cinque o sei titoli l’anno.
Vengo a sapere che il racconto di questo periodo può essere letto in modo leggermente diverso: Marussia, la sorella di Leone, si ricorda che la Einaudi nacque a casa loro, in via Vico. Sarebbe stato dunque Leone ad aver proposto a Giulio Einaudi di lanciare una casa editrice, e non il contrario.
Certo, nel 1933 Einaudi amministra la rivista «La cultura», così come «La Riforma sociale», con l’obiettivo di modernizzare il contenuto di quest’ultima. Dal momento in cui Cajumi assume l’incarico di redattore capo, «La Cultura» diventa il fronte di un dibattito pubblico, di una possibile polemica, il luogo della libera parola della resistenza antifascista, al punto che la polizia, nel 1934, arrivò a ritenere che dietro la rivista si fosse nascosto uno dei gruppi di Giustizia e libertà. «La Cultura» diventa la perfetta antitesi della «falsa pseudocultura» accademica del Partito fascista e della Chiesa. Ginzburg sognava una rivista del genere, un luogo in cui l’intellettuale potesse esprimere, attraverso lo sguardo sulla letteratura, il proprio punto di vista radicale e politico. Leone Ginzburg, Cesare Pavese, Massimo Mila, Giorgio Agosti e tanti altri, al fianco di Cajumi, approfondiscono un lavoro pedagogico di resistenza contro le idee preconcette. Una reale collaborazione reciproca.
Nel 1932, sulla copertina della rivista compariva un’immagine: uno struzzo che serra nel becco un lungo chiodo. Le parole «Spiritus durissima coquit» avvolgono l’animale. Angelo d’Orsi puntualizza che la sentenza fu scovata da Mario Praz, anglista, collezionista e traduttore, nelle Imprese di Paolo Giovio (1556)2.
Presso la Biblioteca Angelica di Roma i volumi magnificamente rilegati sembrano tenersi l’uno stretto all’altro per non scomparire in polvere. Desidero tenere in mano questa «Cultura», prima testimonianza della Resistenza antifascista. Voglio capire a cosa assomiglia questa rivista, come è fatta, e assicurarmi che, sotto la polvere delle pagine, sussista ancora il sovversivo scritto, tra le righe in apparenza saggiamente letterarie.
Consulto i numeri del 1932, poi quelli del 1933, cercando di confrontare la prima versione della rivista con quella del 1934, concepita e organizzata da Ginzburg e Pavese. La copertina dei primi numeri, blu tendente al grigio, reca il simbolo dello struzzo, un marchio che ricompare, ma ben più grande, sulla quarta di copertina. La prima parte della rivista raccoglie alcuni articoli di fondo sulla letteratura e sulla filosofia. La seconda parte è costituita da una serie di recensioni di libri pubblicati di recente: ad esempio, Il melodramma di Verdi di Massimo Mila, edito da Laterza e recensito da Adelchi Attisani. Per stare al passo con l’attualità, infine, le ultime pagine della rivista sono occupate da note su altri libri rimarchevoli, ma meno importanti, per terminare infine con l’elenco dei «libri ricevuti». Nel numero del marzo 1932, noto un articolo di Mario Praz, Il dottor Fausto: Marlowe e Goethe, un altro di Pavese su Herman Melville, uno dei grandi autori in futuro tradotti dallo scrittore piemontese. Nel numero dell’aprilegiugno 1932, appare un articolo di Ginzburg su alcuni inediti di Maupassant, un altro su Garibaldi e Herzen, mentre Massimo Mila scrive sulla musica del Romanticismo.
Tutti i testi contribuiscono a riportare l’Europa e il mondo in Italia, sono come muri eretti per respingere le pareti del tunnel oscuro del fascismo.
Queste riviste sono il luogo più acuto dell’esteriorizzazione della dissidenza: scrivere di letteratura per resistere, per costruire un mondo. Allo stesso tempo, esse testimoniano una scrittura al presente attraverso il ripristino dei valori culturali e patrimoniali della cultura europea. Un’altra linea del fronte. Gli occhi fieri e fissi davanti alla censura. «La Cultura» è come il corso di Monti: Dante e la politica. L’arte come ultimo baluardo di guerra. Anche se le riviste sono veicoli più fragili rispetto ai libri poiché più soggette alle intemperie delle tendenze e dei regimi. Una rivista ha una data: è proprio grazie a questa natura temporale e vulnerabile che, paradossalmente, la parola e la libertà di parola si mettono alla prova.
«La Cultura», nella versione dei nuovi direttori, Pavese e Ginzburg, cambia d’impostazione. Tuttavia, nel primo numero di marzo, non compare il nome di Ginzburg poiché in quello stesso momento Leone fu arrestato. Spedito prima a Roma, poi al penitenziario di Civitavecchia, all’intellettuale fu anche imposto il divieto di pubblicazione. La rivista pubblica alcuni articoli senza specificare il nome dell’autore. Mi chiedo allora se siano i suoi. La copertina cambia, il formato è più grande. Il titolo è in alto sulla prima pagina che prosegue con gli articoli. La rivista è ora mensile. Vi si legge: «Giulio Einaudi Editore, via Arcivescovado. Direttore: Cesare Pavese. Direttore responsabile: Dott. Sergio Solmi». Alcune pubblicità, all’interno del giornale, esaltano il regime fascista: probabilmente un tributo da pagare, un «compromesso» col regime. Leggo un’inserzione pubblicitaria che segnala la pubblicazione, per Paravia, di La rivoluzione italiana da Vittorio Alfieri a Benito Mussolini. Noto anche altre inserzioni della «Riforma sociale», Laterza e Slavia. I principali articoli firmati in questo primo numero sono: Storiografia del Settecento di Salvatorelli, un testo di Cajumi su Benjamin Constant, e anche Di un inesistente paradosso economico, di Luigi Einaudi. Tra le critiche legate all’attualità, leggo in particolare Gli italiani scoprono l’Italia, di Pavese. Infine, guardo di nuovo il muro di libri sopra di me, e di fronte a questo il vuoto della sala: da una parte «quello che c’è», dall’altra «quello che cerchiamo».
Casa Einaudi viene dunque fondata il 15 novembre 1933. Leone Ginzburg investe un finanziamento ottenuto dall’amico e maestro Santorre Debenedetti e riesce a convincere Giulio Einaudi, sotto lo stretto controllo del padre Luigi, della necessità di creare una casa editrice. Con la complicità degli Einaudi e di Pavese, Leone diventa subito l’uomo della situazione. Solo lui ha una sede stabile, condizione di lavoro indispensabile per avviare una strategia di direzione editoriale. Tuttavia Leone, dopo l’arresto, è costretto a congelare i suoi piani. Stabilirà la definitiva linea editoriale della casa editrice solo dopo il ritorno a Torino nell’aprile 1936. Da via Arcivescovado a via Biancamano riesco a immaginare l’ufficio di Leone all’interno di Casa Einaudi. Una stanza spaziosa con i muri tappezzati di libri, due grandi finestre ampie e quadrate restituiscono una luce viva o dolce, a seconda dell’ora del giorno, sulla scrivania rivestita di cuoio. Attraverso una delle aperture, si vede lo spazio della strada, sotto, la via quadrettata dai cavi elettrici del tram. Dall’altra parte, s’intravedono le cime degli alberi di corso Re Umberto e, più in alto, il cielo di nuovo rosa della sera.

La spia abita al 21

Archivio di Stato di Torino. Questa volta però nella sala di consultazione che raccoglie i documenti provenienti dalla divisione della polizia politica. La signora Nicoli, la bibliotecaria, mi fa notare di essersi appena accorta della presenza di queste pratiche non ancora analizzate. Inizio a sfogliarle e mi chiedo se siano mai state lette. Un resoconto di sorveglianza dietro l’altro: tutta l’attività di Giustizia e libertà giorno per giorno. Ad esempio: «L’informatore 282 con relazione del 15.11.1934 segnala quanto appreso: “informiamo che Einaudi Giulio e Mila Massimo s’incontrano sistematicamente in giorni stabiliti della settimana”». O ancora: «appunto per la divisione Affari GEM/E RIS=». Documento datato «Roma, 16 gennaio» dalla divisione della polizia politica che segnala l’attività del movimento Giustizia e libertà nella capitale, le cui pratiche sono le stesse di Torino dopo le operazioni finalizzate alla fuga di Mario Levi e gli arresti di Sion Segre, Ginzburg e gli altri.
Si succedono resoconti giornalieri dell’attività, verbali, schede di sorveglianza, una moltitudine senza fine di pratiche persecutorie, giudiziarie, di caccia all’uomo. Sembrava che Ginzburg fosse ricercato e tormentato in maniera più assidua e mirata degli altri membri del gruppo. La massa di dispacci che riceveva dalla polizia, e che io catalogo nelle due sedi dell’Archivio di Stato di Torino, mi lasciano presumere che quest’uomo non fosse stato mai lasciato in pace; mai un giorno senza subire minacce o ricevere avvisi di convocazioni. Penso alla sua forza e intransigenza, al suo essere determinato ad amare, a costruire una famiglia. Ne immagino la calma e il silenzio, quel giusto equilibrio del vivere, quella specie di bagarre necessaria che altro non è se non la sua resistenza. Leone sembra farsene carico come se fosse una cosa da niente. Un imperativo ideologico, morale, che permette di continuare a esistere, ma soprattutto di vivere davvero. È probabile che Leone, così giovane, voglia godersi la vita, amare e dare amore. Egli non rinuncia a nulla, soprattutto alla propria dignità, a «essere un uomo». Non credo che Leone Ginzburg – pur nutrendosi d’eroi – fosse pervaso da un sentimento «d’eroismo», ancor meno da un narcisismo dell’eroismo. Credo che egli ritenesse giusto fare solo quello che andava fatto. Leone non è un guerriero ma un combattente che sa farsi carico del peso di ammettere la paura. Questa paura è giusta, anche dentro la Storia. Leone non è il solo, è l’Italia intera che ha paura.
Si è nel marzo 1934. Leone Ginzburg fu arrestato il 13 marzo, poi di nuovo il 30, insieme a Sion Segre. All’inizio dell’anno, Leone incontra a Milano degli oppositori del fascismo. Sion Segre e Mario Levi erano stati arrestati una prima volta sulla frontiera, mentre tornavano da Lugano, dove erano andati a prendere il materiale della propaganda clandestina. Mario Levi riesce a fuggire, ma cominciano i primi arresti. Accade quello che Giovanni De Luna, in Una cospirazione alla luce del sole3, chiama il «fallimento dell’operazione Togo», che aveva portato all’arresto di Carlo Levi (non Mario), di Leone Ginzburg e di Sion Segre. Nel gruppo si era infiltrato un traditore, la matricola «fiduciario 373», un certo «Pitigrilli», pseudonimo di Dino Segre, uno scrittore da quattro anni stipendiato dall’Ovra, la cui missione consisteva nello spiare gli uomini del movimento Giustizia e libertà di Torino. Ma dopo i fatti del 1934, che portarono all’arresto di soli tre membri del gruppo, questo perno insostituibile del...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Torino familiare
  6. Poesia, politica, memoria
  7. Gli insofferenti
  8. Krumiri rossi
  9. I lillà color malva di Vera
  10. Europeismo culturale
  11. Il russo piemontese
  12. Casa Einaudi
  13. Nazionalità e nazionalismo
  14. Giustizia e libertà
  15. Einaudi e Natalia
  16. Strada bianca
  17. La guerra, la pace e la guerra
  18. Lo spirito dell’Illuminismo
  19. Dall’inverno all’estate
  20. Il lavoro dell’editore
  21. Roma
  22. Solo
  23. Rivoluzione
  24. L’opalina verde