
eBook - ePub
Di guerra e di pace
Diario partigiano (1944-45)
- 160 pagine
- Italian
- ePUB (disponibile sull'app)
- Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro
Il 19 settembre 1944 Antonio Giolitti è costretto a sospendere la sua vita di comandante partigiano (intrapresa a Barge il 9 settembre 1943) in seguito alla frattura di una gamba: dopo una serie di traversie viene portato a Aix-les-Bains, dove rimarrà per un periodo più lungo del previsto (per ben due volte i medici devono «riaggiustare» la gamba che non era stata correttamente ricomposta), il che gli impedirà di ritornare a lottare in Italia, come desiderava. Costretto all'immobilità, il primo compito che si assegna è di avviare un diario per tracciare un bilancio della sua vita partigiana. Sono per lui mesi di solitudine, in cui la pagina scritta gli serve per dialogare con la moglie Elena (in Italia con i due figli già nati) e attraverso di lei con se stesso. Il diario è lo specchio di questo dialogo e ci offre il ritratto di un uomo dotato di un fortissimo e personale senso etico: è netto sul piano morale il distacco rispetto alla generazione dei «padri» e forte è la consapevolezza della frattura rappresentata da una guerra necessaria, che è di liberazione, antifascista, e di classe – laddove «classe», nel suo caso di iscritto al Pci, significa soprattutto lottare per costruire una nuova élite dirigente responsabile, in sostituzione di quella che aveva portato il paese alla guerra e al disastro morale. Consapevole di essere parte della nuova classe dirigente, Giolitti non aspira a diventare un politico. A lungo si considererà un intellettuale prestato alla politica. Il diario è anche il ritratto di questo lato della sua personalità e delle sue letture, dall'amatissima Anna Karenina a Dante, da Racine a Camus, da Flaubert ai pensatori francesi. Il filo che tiene unito tutto questo – e che finirà per prevalere – è però la crescente consapevolezza della responsabilità che gli deriva dalla scelta fatta l'8 settembre di tornare sulle «sue» montagne, tra la «sua» gente, e dare avvio alla Resistenza. È in questi mesi, sia quelli dell'azione che quelli dell'immobilità e della riflessione, che nasce il futuro dirigente, con quella tensione morale che in lui, come in altre personalità che vivono la scelta dell'impegno politico come conseguenza della constatazione dei guasti morali del paese provocati dal fascismo e dalla guerra, ancora ci sorprende.
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Informazioni
Argomento
StoriaCategoria
Storia militare e marittimaDi guerra e di pace
Diario partigiano (1944-45)
La trascrizione dei tre quaderni è stata condotta rispettando rigorosamente il testo originale, anche nei suoi aspetti formali. Tra parentesi quadre sono riportati gli interventi delle curatrici; in particolare, per i nomi di battaglia dei partigiani menzionati nel testo, si è scelto di indicare in corsivo quelli di cui è stato possibile rintracciare nome e cognome, riportati tra parentesi quadre. Sono stati inoltre emendati piccoli e non frequenti refusi e uniformate le virgolette. Si è scelto infine di usare il maiuscoletto in luogo del maiuscolo presente nel testo originale.
Rosa Giolitti ha scritto le note riguardanti le citazioni letterarie e ha tradotto i testi dal francese laddove non esistono traduzioni pubblicate e nel caso di citazioni in francese di testi originali in altra lingua. Salvo diversa indicazione, tutte le traduzioni in nota sono di Rosa Giolitti. Mariuccia Salvati ha scritto le note relative al contesto storico.
Quaderno I
Aix les Bains, 5 ottobre 1944
Cade ormai quasi un anno da che ho lasciato Elena, Anna e il piccolo Stefano non ancora nato. Mi sembra di attraversare una lunga, lunghissima galleria, che la luce del giorno scompare a poco a poco per poi ricomparire dopo tanto tempo. Mi sembra ora di intravedere i primi vaghissimi bagliori che preludono al ritorno alla luce: illusione? miraggio? certo, sono ancora ben dentro la galleria. Il 19 settembre, con la frattura della gamba, la mia vita di guerra ha subito una brusca svolta: fine della vita attiva, vita che aveva le sue amarezze e disillusioni ma anche uno scopo e un profondo motivo interiore. Comincia la vita di ospedale: prima ero io che dovevo sempre pensare agli altri, ora dipendo completamente dagli altri. Ospedale della XIX Brg. a Margone, dopo due giorni trasporto in barella a Malciaussia per garantirsi dai fascisti che attaccano la valle, poi, di fronte all’avanzata nemica, decisione di mettersi al sicuro in Francia. Venti terribili ore di barella attraverso il colle dell’Autaret, e giungiamo sfiniti e affamati ad Avérol [Avérole], dove pernottiamo nella chiesa dopo aver inghiottito avidamente un po’ di latte, di brodo e di carne. Già ad Avérol facciamo le prime prove dell’ostilità dei francesi: altre più dure ne faremo a Bessans, dove giungiamo la mattina dopo. Continuamente ci rinfacciano la «pugnalata» del giugno ’40 e la crudeltà dell’occupazione: il fascismo ci ha fatto davvero amare da tutti. La peggio, naturalmente, non tocca a noi feriti, ma a quei poveretti che davvero eroicamente ci hanno trasportati: essi vengono ingaggiati per lavorare con un trattamento quasi da prigionieri; ma prima, in molti casi, vengono spogliati di ogni oggetto personale, malmenati, umiliati in mille modi. Si arriva perfino a questo: che uomini di colore dell’Esercito regolare offrono ai nostri affamati un pezzo di pane in cambio di unioni omossessuali.
Noi feriti veniamo trasportati a Bourg St. Maurice: dal camion che segue il nostro, un gioviale marocchino ci lancia cioccolato, sigarette, scatolette americane, tutta roba che tira su il fisico e il morale.
A Bourg St. Maurice l’atmosfera migliora di colpo: medici e infermiere pieni di premure, cioccolato, sigarette, grog, vino. L’ospedale è stato da poco abbandonato dai tedeschi, che con le artiglierie sparano ancora sulla città; molte cose essenziali mancano, ma la Francia liberata si sforza gioiosamente di superare ogni ostacolo. Ovunque ritroverò quest’impressione d’una forza giovane, gioiosa ed entusiasta, la grande forza del popolo francese rinato alla libertà.
Ma bisogna abbandonare presto Bourg St. M. perché i tedeschi sparano con i 155. Un’ambulanza ci trasporta nella notte ad Albertville. Qui l’arrivo ha qualcosa di «féérique»: dalla porta aperta dell’autoambulanza fermatasi davanti all’ospedale, vedo, alla luce bianchissima della lampada sulla porta di ingresso, un medico in camice bianco, ancor giovane ma con i capelli grigi, pipa in bocca, tipo «fatale» insomma, e accanto a lui una bellissima suora. Visioni e suoni, nella notte, hanno qualcosa di allucinante e misterioso. Nell’ospedale lindo e bianchissimo, alcune belle soffici e profumate infermiere si affaccendano intorno a noi, ci spogliano, ci mettono a letto, ci portano da mangiare. Finalmente, una notte in un letto.
Passiamo tre giorni ad Albertville. Peccato non poter girare per questa cittadina che, da quel che appare attraverso le ampie finestre della corsia, sembra ridente e tranquilla, piena di verde, tra montagne e pianura, con un bel castello del ’5 o ’600 che s’intravede da una finestra. Riesco ad avere un giornale francese: la guerra procede lenta, lentissima. Del resto, qui nell’atmosfera ovattata dell’ospedale, la guerra giunge come un’eco attutita.
Anche in questo ospedale ottimo trattamento e premurosa assistenza. Inoltre c’è un’infermiera particolarmente carina, un tipo proprio francese, dolce e câline: ma è solo uno svago per l’immaginazione.
L’ospedale però è solo in via di organizzazione, e lunedì 2 ottobre di buon mattino veniamo distesi in un treno che ci porta a Aix les Bains. Qui c’è un grande centro ospedaliero: quasi tutti gli alberghi sono trasformati in ospedali. Siamo portati all’albergo Europe; la mia barba lunga contribuisce a farmi scambiare per un marocchino e mi portano in una camera con due marocchini: riesco però a ottenere che nel quarto letto portino Franco, il mio compagno di sventura.
Qui c’è la vita monotona e regolare ma convulsa e agitata dell’ospedale militare pieno di feriti e non ancora adeguatamente attrezzato. Il materiale sanitario è stato preso ai tedeschi. Le infermiere sono graziose e premurose, ma passano sempre di corsa, e ancor più di corsa i dottori. Ma riesco a farmi benvolere e l’assistenza non lascia a desiderare. Per fortuna la mia ferita va bene; non così quella di Franco, che soffre molto.
I nostri due marocchini sono alquanto sudici e bizzarri; ma dopo i primi approcci si rivelano dei buoni compagni. Certo, sarebbe preferibile che sputassero meno per terra e non si soffiassero il naso con le lenzuola. Hanno combattuto in Italia da Cassino a Firenze e biascicano qualche parola d’italiano: sembra che abbiano simpatia per gli italiani. Uno, sui 40 anni, pieno di ferite, è un bel tipo della sua razza, un po’ sprezzante e bonariamente ironico, con un solido fondo di saggezza orientale; l’altro è un adolescente che ha preso un calcio da un mulo: è quasi guarito ma dorme giorno e notte.
Nell’ospedale ci sono una quarantina di partigiani italiani. Per fortuna si comportano abbastanza bene. C’è un «tenente» che si dà molto da fare e sentenzia a sproposito in politica, ma è un bravo ragazzo e riesce a combinare parecchie cose buone. Sembra che abbia ottenuto dal comando americano a Grenoble che i guariti siano trasportati nell’Italia liberata. La maggior parte qui son piemontesi e quindi per loro andare nell’Italia liberata non significa andare a casa: ma non vogliono saperne dell’eventualità di combattere in Francia, sia pure nella Brig. Garibaldi; non comprendono la portata europea e mondiale di questa guerra, l’unità di lotta di tutti i popoli liberi: vedono solo la causa dell’Italia, e magari solo quella della loro regione o del loro paese. Siamo ancora lontani, purtroppo, dall’aver superato il nazionalismo e bisognerà ancora lottare molto contro questo mostro, dopo la guerra.
Io, si capisce, son felice di esser portato nell’Italia liberata, ma perché mi struggo di abbracciare la moglie e i figli: se dovrò poi ancora combattere, il fronte italiano m’interesserà quanto tutti gli altri fronti della libertà. Ma sono stanco, stanco di battaglie e di sangue e di odio e di ferocia.
8 ottobre
Qui a Aix ci sono parecchi italiani che ci danno molti piccoli aiuti, con molta gentilezza e generosità, tuttavia mi urta il tono di solidarietà «nazionale» e sono più sensibile alla gentilezza anche minima che mi usa un francese, perché ci tengo molto di più a essere considerato come uomo che non come italiano, ossia per la mia «umanità» anziché per la mia nazionalità.
10 ottobre
Sempre più insistenti mi assalgono le ondate di nostalgia di Elena e dei bambini: nell’azione, ero riuscito a creare come una scorza d’insensibilità nel mio interno, a relegare provvisoriamente in un angolo recondito i sentimenti più intimi; ma ora questi affiorano e la scorza si fa sempre più tenue. E mi manca il conforto di un bel libro, la consolazione dell’arte o della filosofia. Ho letto «Le Roman de la momie» di Gautier e «…et l’amour ensuite» di Rosny - aîné: il primo, un intreccio banale ravvivato da ridondanti descrizioni che alla lunga diventano stucchevoli; il secondo, migliore di quanto il titolo e la copertina non promettessero, crea alcuni personaggi abbastanza vivi che si muovono attraverso le vicende talvolta interessanti di un intreccio alquanto artificioso. Vorrei tanto poter rileggere «Madame Bovary» o Maupassant.
– In questo diario voglio gettar giù alcuni appunti da servire per un bilancio della mia esperienza di guerra partigiana.
Principali cause dello sfasciamento della 2a e 4a Div. Gar. di fronte agli attacchi nemici del settembre1: scarsa preparazione militare degli uomini; grandissima inferiorità di armamento; insufficiente competenza tecnico-militare dei Comandi superiori, incapaci di delineare un piano operativo coordinante i movimenti di più Brigate; mancanza di un adeguato servizio centrale d’informazioni: il Com. gen. avrebbe dovuto sapere e far sapere l’entità delle forze nemiche e il loro piano generale; formazioni troppo appesantite da numerose «reclute» impreparate militarmente e politicamente; diffusa psicosi del «salvare la pelle ora che siamo alla fine»; il Comando della 2a Div. non è stato all’altezza della situazione negli ultimi giorni, quando bisognava essere presenti nella XIX Brg. e puntare su questa tutti gli sforzi: anzi la sua assenza da questa Brg. ha fatto pensare a diversi che il Com. avesse già pensato a mettersi al sicuro per suo conto; deficienza di molti comandanti e commiss. pol. di distacc., mancato funzionamento delle squadre e dei nuclei; mancanza assoluta di viveri di riserva. Infine, il ripiegamento della IV Div., demoralizzata e stanca, nelle valli di L., ha fortemente inciso sull’efficienza della 2a Div.
Bisogna riconoscere che il prudente pessimismo di Per. [Perez, Francesco Rosso] era più ragionevole del facile ottimismo di B. [Battista, Giovanni Gardoncini], che invece ha prevalso.
Devo riconoscere che proprio nei difetti del carattere di B. ho trovato i principali ostacoli al mio lavoro nelle valli di L., lavoro di cui in generale non sono molto soddisfatto. Molte beghe, molti pettegolezzi, poca attività di guerra, poco metodo nel lavoro del Comando, vita troppo comoda e sedentaria; in compenso si è potuto fare un discreto lavoro politico e di partito, superando con difficoltà molte tendenze settarie; particolarmente interessante l’attività giornalistica. Mancava soprattutto una efficace direzione militare.
Si pensava e si operava troppo ...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Copyright
- Indice
- Premessa
- Introduzione
- Diario partigiano (1944-45)
- Appendice