Deledda
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Deledda

Una vita come un romanzo

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Deledda

Una vita come un romanzo

Informazioni su questo libro

In un giorno d'ottobre del 1899, una giovane donna, scrittrice non ancora famosa, arriva a Cagliari, festeggiata ospite della direttrice di una rivista femminile. Nel corso di un blitz durato poche settimane incontra l'uomo della sua vita, lo sposa e con lui si trasferisce a Roma, dove vivrà il resto dei suoi anni. Appena giunta a Cagliari, nessuno sospetta che questa timida ragazza abbia davanti a sé una luminosa carriera letteraria: nel giro di qualche decennio diventerà la prima (e unica) scrittrice italiana a ricevere il Premio Nobel. Così inizia questa biografia di Grazia Deledda, che attraverso la ricerca saggistica e l'evocazione romanzesca trova, tra le pieghe della fitta corrispondenza deleddiana, l'immagine di una donna in continuo movimento tra creazione letteraria, desiderio di autoaffermazione, amori (soprattutto epistolari, ma non per questo meno infelici), tentativi di distacco dalla città dove è nata, Nuoro, e da un ambiente che giudica raggelante e provinciale. Tanti i personaggi che, insieme a lei, incontriamo in queste pagine: da Pirandello, che mostra curiosità nei confronti della scrittrice, a Puccini e alla divina Eleonora Duse, che interpreterà la protagonista di Cenere nell'adattamento cinematografico del romanzo. Diversamente da gran parte dei ritratti biografici della Deledda, dedicati agli anni nuoresi, l'autore si concentra qui sul periodo romano, disegnando la figura di una scrittrice matura e a suo modo integrata nell'ambiente letterario italiano, consapevole del proprio talento e insieme investita dalle ansie e dai dubbi che si accompagnano alla creatività artistica. La vita della Deledda è una storia di determinazione e coraggio; una storia da leggere come un romanzo, per riscoprire la voce di una grande scrittrice, a ottant'anni dalla sua scomparsa.

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Informazioni

1

Poiché il viaggio è lungo e non sa stare con le mani in mano, si è portata un libro, ma dopo pochi minuti lo ha lasciato cadere nel sedile vuoto accanto al suo. Sembrerebbe concentrata sul paesaggio che scorre non proprio veloce dal finestrino, in realtà fa programmi. È il 21 ottobre 1899 e questi sono i programmi: sistemarsi il più velocemente possibile nella casa di donna Maria Manca che si è offerta di accoglierla (non è chiaro se da ospite o da pensionante), tuffarsi nella vita letteraria della città ammesso che ci sia una vita letteraria a Cagliari, magari incontrare qualcuno che le faccia dimenticare lo squallido atto finale della sua relazione con Andrea Pirodda. Va detto a questo proposito che tutto, in un attimo, si è rovesciato: risulta che non è più lei a non volere Andrea Pirodda ma è Andrea Pirodda a non volere lei.
Non è certo un granché la collina su cui sale il treno dopo Dolianova, sappiamo a quanto arrivano queste alture del Parteolla, solo un poggio ma abbastanza per garantire una bella vista su Cagliari. Che a lei Cagliari appaia come qualcosa di meraviglioso, celestiale perfino, si spiega anche con la Nuoro che si è lasciata alle spalle, che può anche piacere a chi ami il genere borgo selvaggio e tetro ma ben poco sembra piacere a lei che la descrive come un posto con il calore di un villaggio dell’età del ferro. Non è ancora venuto il tempo che uno scrittore inglese, D. H. Lawrence, osservi Cagliari da un punto cardinale opposto a quello da cui la guarda ora Grazia, da Sud cioè e quindi dal mare, e la veda come «una città nuda che si alza ripida, ripida, dorata, accatastata nuda verso il cielo dalla pianura all’inizio della profonda baia senza forma».
È un piccolo arrivo quello di Grazia, un arrivo senza clamore, anche se un suo posto nel mondo della letteratura l’ha già conquistato. A questo punto della sua carriera, ha al suo attivo quattro raccolte di racconti e sei romanzi, senza contare le tante novelle che ha pubblicato su riviste e una felice incursione nel campo delle tradizioni popolari. Sin dai primi tempi ha trovato editori di buon livello, cosa tanto più curiosa in quanto è riuscita a scovarli senza spostarsi un giorno da Nuoro. Il suo primo scritto pubblicato è del luglio 1888 sull’«Ultima Moda», una novella, Sangue sardo, che è poi la storia di come una giovinetta innamorata sappia trasformarsi nell’assassina dell’uomo che non ricambia il suo amore. Siamo lontani dal «romanzo sardo», un progetto ancora da mettere a punto e che la porterà a costruire personaggi per i quali l’ambiente sardo rappresenta un elemento non sostituibile. Per quanto però Sangue sardo sia per molti aspetti feuilleton puro, qualcosa dice il titolo sulle intenzioni della giovane scrittrice.
«L’Ultima Moda» è stampata a Roma da Edoardo Perino, nella famosa rotativa monstre di via del Lavatore, capace di produrre 25 000 copie all’ora. Epaminonda Provaglio, direttore della rivista, è in un certo modo responsabile di tutto quello che succederà poi a Grazia: non solo ha accettato Sangue sardo, ma le ha immediatamente chiesto altri racconti e lei non si è fatta pregare. Come si vede, non ha avuto le difficoltà di altri esordienti, i suoi manoscritti non sono rimasti anni a ingiallire in un cassetto: Grazia sa come farli viaggiare, a corto e a lungo raggio, accompagnati da lettere che possono apparire ingenue ma ingenue non sono e in cui si presenta per quello che è, una vivace ragazza di provincia, innamorata della letteratura e che con tutte le forze vuole essere pubblicata.
La sua carriera letteraria è iniziata con quel sì di Provaglio, pensa a volte, ma poi si corregge: le cose per noi più importanti non cominciano in un solo luogo e in un solo momento ma in più punti dello spazio e del tempo e cominciano, forse, ancor prima che noi nasciamo. Prima di diventarne collaboratrice, Grazia è stata una lettrice appassionata dell’«Ultima Moda». Giornali e libri hanno riempito per molti anni le sue giornate. Immaginiamo una ragazza che rimane mesi e mesi senza uscire di casa, una casa che a volte le sembra fatta per i sogni più neri, settimane e settimane senza parlare con nessuno che non sia della famiglia, a guardare attraverso la finestra una strada su cui non passa nessuno, una ragazza che, ricorderà lei stessa diversi anni più tardi, non ama, non soffre, non ha pensieri per l’avvenire, non ha sogni, non ha amiche, non ha passatempi: come può non annoiarsi questa ragazza? I libri e i giornali sono i miei unici amici e guai a me senza di loro, ha scritto a Epaminonda Provaglio. Ma è stato solo quando ha iniziato a scrivere che il mondo, qualcosa del mondo almeno, le è apparso più chiaro.
Il primo romanzo l’ha pubblicato a Cagliari nel 1891. S’intitola Stella d’Oriente e l’ha firmato con uno pseudonimo, Ilia di Saint-Ismael. L’anno dopo è la volta di Fior di Sardegna – «Romanzo intimo», avverte il frontespizio – e glielo pubblica il già menzionato Perino. Ha sperato di ricevere i suoi primi diritti d’autore per questo libro ma, al loro posto, sono arrivate cento copie. Rifiutate dall’unico libraio di Nuoro e da un barbiere, le copie sono andate ad amici, amici degli amici, nemici, nemici dei nemici. Nel 1895 esce Anime oneste, edito dal milanese Cogliati. Il romanzo vanta una premessa di Ruggiero Bonghi che spiega come per lui i romanzi siano roba inutile, dannosi perfino. Direttore di giornali, professore di letteratura latina e storia antica in varie università del Regno, deputato e dal 1874 al 1876 ministro della Pubblica istruzione, Bonghi considera i romanzi uno dei maggiori strumenti del dissolvimento intellettuale e morale in cui la società si dibatte. Alla giovane scrittrice che gli ha fatto arrivare il libro non ha saputo però negare una prefazione, anche perché le «anime oneste» del titolo gli paiono veramente oneste, «ritratte quali sono, semplici, e non punto meravigliate di esser tali o col desìo segreto di non essere».
La via del male esce l’anno dopo, anche se è stato scritto prima di Anime oneste. Le è stato difficile trovare un editore ma poi il romanzo ha avuto un certo successo, anche di critica, meritando parole di lode da parte di Luigi Capuana, che la arruola nella schiera degli scrittori a lui graditi, che sono quelli capaci di far muovere i personaggi nel loro ambiente. È un romanzo un po’ triste, forse, ma vero, così lo presenta Grazia a un suo corrispondente. La via del male racconta una storia d’amore e di morte, con al centro, come sarà poi quasi sempre nei romanzi successivi, un dilemma morale. Una guardia campestre, Pietro, si innamora della figlia di un ricco possidente, Maria, che dopo averlo illuso sposa Francesco, della sua stessa classe sociale. Pietro, che in carcere dove è finito ingiustamente ha progettato di sbarazzarsi del rivale, una volta uscito uccide Francesco, senza essere scoperto. Passano cinque anni e Maria sposa Pietro che nel frattempo è diventato un ricco commerciante di bestiame. Il sospetto – diventato poi più di un sospetto – che quest’ultimo abbia ucciso il primo marito, non distoglie Maria dal confermare la scelta, già fatta quando ha sposato Pietro, di stargli accanto, accettando appunto la via del male.

2

È il 21 d’ottobre e l’autunno che Grazia trova a Cagliari è un autunno cagliaritano, il calendario dice autunno ma di fatto è estate. In sintonia col clima la mise di donna Maria Manca, che l’accoglie al suo arrivo con indosso un abito tutto frange e volanti e brandendo un ombrellino bianco foderato di viola. Nuvole di storni si gonfiano e si allungano nel cielo sopra la stazione, mentre altri della stessa combriccola si sgolano tra gli alberi. Trova interessanti i gabbiani – non ne aveva mai visti prima – mentre si librano in alto per poi tuffarsi nelle acque sporche del porto. Anche a Nuoro ci sono uccelli – passeri, merli, gazze, volatili di tutte le razze insomma – ma chissà perché non la commuovono come la commuove il volo dei gabbiani.
Quanto alla casa della sua ospite, a poche centinaia di metri dalla ferrovia e dove arrivano portate da una carrozza a nolo, sarà pure una costruzione ben fatta, si affaccia però sul mattatoio comunale, con i suoi insopportabili miasmi e i quotidiani inquietanti muggiti. La casa è in via San Lucifero, in cui andrà ad abitare il protagonista di Cenere, il povero Anania, che in due prostitute stazionanti proprio in via San Lucifero cercherà di scoprire la madre. Forse stanca dal viaggio, poco apprezza la barocca accoglienza di Maria Manca, baci, abbracci, squittii e poi, sullo scalone che dovrebbe finalmente portarla dentro casa, quel davvero eccessivo, sino quasi al ridicolo, coro di ragazzine. A Grazia è destinata la camera più bella, quella col balcone da cui si vede il mare, ed è a sua disposizione il salotto, anche questo non propriamente di suo gradimento, affollato com’è di piccole cose di pessimo gusto: di pessimo gusto per Grazia, s’intende. Qui potrai ricevere i tuoi ammiratori, le dice Maria Manca. Ma Grazia non pensa ci siano ammiratori per lei in questa città, e anche se ci fossero stasera non avrebbe nessuna voglia di riceverli. Insomma, non è proprio di buon umore.
Le capita spesso di essere di cattivo umore. È un cattivo umore – lo chiama malinconia – che, tuttavia, non le ha mai impedito di scrivere. Anzi, la suddetta malinconia l’ha spinta a passare ore e ore al suo tavolino a immaginare intrecci che mai daranno vita a storie allegre e spesso avranno un finale luttuoso. È stato un modo, scrivere, per fuggire da una casa, la sua a Nuoro, dove ogni cosa le appare triste, o meglio appassita, le pareti hanno un colore umido di autunno, tutto è freddo nella stanza dalla cui finestra vede il monte coperto di nebbia. Ha scritto per anni piegata sul suo scartafaccio mentre le sorelle stanno dietro alla madre, il maggiore dei suoi fratelli dorme i suoi sogni d’ubriaco e l’altro fratello è in campagna. A quel disagio, a quella infelicità senza desideri, cerca di dare, nei romanzi e nei racconti, i caratteri di un dramma che sarà a tinte cupe, ma almeno avrà contorni netti.
Il cielo è sereno quando, il giorno dopo il suo arrivo, ha inizio il tour de force mondano a cui la direttrice (e sospettiamo redattrice unica) della «Donna Sarda» sottopone Grazia. Il cielo è sereno e anche lei si è rasserenata, la si potrebbe dire eccitata se non facesse di tutto per mantenere quella compostezza un po’ accigliata, barbaricina, intorno a cui si appresta a costruire la sua immagine pubblica. Tribolazioni della celebrità le avrebbe definite molti anni più tardi ricordando il soggiorno a casa di Maria Manca. Tribolazioni di cui ha avuto un anticipo la sera del suo arrivo, quando le è stato portato un grande mazzo di rosse rosse, non si è saputo mandato da chi. Nel contesto fastidioso del primo impatto con Cagliari, anche le rose hanno giocato la loro parte: prendendo il mazzo nelle mani, si è sentita pungere da una spina, un incidente minimo per cui si è confermata del fatto che non c’è rosa senza spine. Ma oggi è un altro giorno e quando la sua ospite annuncia che tra poco avranno visite Grazia sorride. In fondo è a Cagliari per questo: mostrarsi ed essere mostrata.
Al ricevimento partecipa un piccolo gruppo di letterati. Forse il termine letterati è inappropriato: fanno mestieri diversi, ma tutti si guadagnano da vivere con penna e calamaio, tutti sono innamorati della letteratura. Oltre a donna Maria, ovviamente, e a Luigi Falchi, un giovane laureato in legge col quale Grazia corrisponde da qualche tempo, ci sono alcuni personaggi interessanti. C’è Marcello Vinelli, poco più che trentenne ma già da diversi anni direttore dell’«Unione Sarda», che sotto la sua guida è diventato il più letto quotidiano cagliaritano. C’è Palmiro Madesani, continentale, anche lui intorno ai trent’anni, impiegato dell’intendenza di finanza e da qualche anno a Cagliari. Madesani non spicca per brillantezza, ma si fa notare – o almeno Grazia lo nota – perché è bello. Qualche giorno dopo, invitata a un ricevimento, se lo ritroverà di fronte in un gioco di società che è un modesto correttivo dell’ipocrisia corrente, costringendo chi paga pegno a dire, per penitenza, tutta la verità. Come sogna sarà suo marito?, le chiede serio Madesani. Come voi, risponde. Una risposta simile può essere presa per un gioco, ciò che forse è, oppure per qualcosa di tremendamente serio. Madesani opta per la seconda ipotesi. Passano pochissimi giorni e si presenta a casa di donna Maria Manca, chiedendo di Grazia, e quando la ha di fronte, volete essere mia moglie, le chiede. Sì, risponde lei, ma a una condizione, che il matrimonio avvenga entro due mesi. C’è stato un momento del suo fulmineo corteggiamento in cui Madesani si è rivelato irresistibile. No, non ho mai letto nulla di suo, ma ho visto una sua fotografia in una rivista: le assicuro che l’originale è migliore.
Dall’arrivo a Cagliari sono passati meno di venti giorni, e Grazia fa circolare la notizia che si sta per sposare. Scrive a un amico nuorese che la vita è di chi sa afferrarla e che lei, sposando un segretario d’intendenza con uno stipendio di seimila lire e per di più ricco di suo, appunto la sta afferrando.
L’incontro e il successivo fidanzamento costituiscono il primo capitolo della storia d’amore tra Grazia Deledda e Palmiro Madesani. Il secondo sarà il matrimonio, che verrà celebrato a Nuoro, a poco più di un mese dal fidanzamento. Tutto (o quasi) avviene secondo tradizione. Il 28 di ottobre Palmiro Madesani scrive allo zio di Grazia – il padre è morto sette anni prima – chiedendo la sua mano. Grazia (che nel frattempo è tornata a Nuoro) infila la risposta dello zio in una busta e la indirizza al fidanzato a Cagliari. Scrive Salvatore Cambosu, lo zio prete: «La ringrazio dell’onore che mi fa partecipandomi le sue determinazioni d’amore. Sul resto io non avrei nulla da ridire. Ella avrà preso di Grazia le sue informazioni, Grazia avrà fatto lo stesso. Procurisi pertanto le carte opportune, perché – come si fa da noi dalle persone distinte del paese – lo stesso giorno da Chiesa si vada al Municipio, ove sposi da cittadini pel civile si sia da cristiani pel religioso».
Le nozze vengono celebrate l’11 gennaio, seguendo le indicazioni dello zio. D’altra parte celebrare il «civile» e il «religioso» lo stesso giorno non costituisce una scelta, vista la fretta. Palmiro propone di arrivare a Nuoro la mattina stessa delle nozze: lei, non esageriamo, ha risposto, fai in modo di arrivare la sera prima. La sposa indossa un abito di broccato argento e lilla guarnito di perle; lui, che è ufficiale di complemento, la divisa dell’artiglieria da costa, il corpo a cui appartiene. Partono per Cagliari col treno delle 14. Lei si è cambiata d’abito e indossa un vestito di panno color viola mammola, guarnito in seta gialla.
Il terzo capitolo è la loro vita coniugale, trentasei anni, interrotto solo dalla morte di lei. Una storia d’amore abbiamo detto. Ma Grazia non darà mai l’impressione di sentirsi la metà di qualcosa.
Torniamo al primo capitolo, che è documentato da un fiume di lettere, lui scrive da Cagliari, lei da Nuoro. Si parla di cose minime. Le partecipazioni: «le partecipazioni le farai come meglio ti piace: a me ne occorrono una cinquantina. Le mie sorelle ci terrebbero a far sapere nei biglietti la tua condizione sociale; ma se ciò ti pare volgare lascia stare, tanto i giornali, annunziando il nostro matrimonio, diranno bene ciò che tu sei». Oppure del regalo che lui dovrà portare alle sorelle. Grazia suggerisce due cappellini di velluto azzurro, che non costino più di sette lire, aggiunge.
Sono però, quelle di lei, anche lettere d’amore. Oscillanti quanto al tipo di amore: «non oso dirti le frasi appassionate che mi ardono in cuore, per timore che tu possa credere il mio amore men che puro, men che alto e spirituale. Ricordo le parole che dicesti una sera nel giardino dei Lobetti, ricordi? che cioè la donna che avresti cercato per fidanzarti doveva fremere al tuo avvicinarsi. Ed io sento che è così; io ti amo così come tu vuoi». Messaggi rassicuranti. Grazia non aspira a nulla che non sia una casa, una famiglia, la gioia domestica. Sarò la tua bambina obbediente, promette, la tua bambina docile e buona. Un’ombra minacciosa, una sola, quella di Andrea Pirodda, col quale anni prima ha avuto una tempestosa relazione e che ultimamente è riapparso. Si tratta di tenerlo a distanza. Scrive al fidanzato: «La persona che tu sai non si è fatta viva: so però di certo che, essendo io ancora a Cagliari gli riferirono che mi ero fidanzata, ed egli si fece livido e disse: non è, non sarà mai possibile. Ciò vuol dire molto, stiamo dunque in guardia e tu qualunque cosa accada, dimmelo. Io ho paura che si mettano in mezzo tra noi, ma per conto mio sono decisa di non badare a nulla. E tu pure farai così, non è vero?».

3

«Il giovine che mi ha dato il suo nome e il suo cuore è intelligentissimo, distinto, bello, (forse troppo bello) ma soprattutto è buono ed onesto. Mi ama, lo amo, siamo feli...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Capitolo 1
  5. Capitolo 2
  6. Capitolo 3
  7. Capitolo 4
  8. Capitolo 5
  9. Capitolo 6
  10. Capitolo 7
  11. Capitolo 8
  12. Capitolo 9
  13. Capitolo 10
  14. Capitolo 11
  15. Capitolo 12
  16. Capitolo 13
  17. Capitolo 14
  18. Capitolo 15
  19. Capitolo 16
  20. Nota dell’autore