IV.
Il giorno dopo si affrettò a visitare la leonessa, mogio come un cagnolino, e l’idillio seguitava senza alcuna scabrosità del genere lamentato nel giorno antecedente.
Rimaneva per lui la scabrosità maggiore di parlarne alla sorella Fede. Eppure doveva parlargliene, si era deciso al gran passo.
Aveva architettato in mente la concione più toccante e più persuasiva. Ma quella concione, che gli appariva di effetto sicuro, trionfale quando egli la ruminava fuori di casa, diventava inetta ad uscire pur in un borboglio, allorché egli si trovava al capezzale dell’ammalata.
Speranza lo tempestava per essere condotta dalla futura cognata; e non potendo spuntarla e cavarsi subito quel chiodo, domandava intanto per lo meno il permesso di visitare la casa, la fornace.
– Che? A casa tua ricevi ogni sorta di gentaglia che si presenti; ricevi cani e boriani. E non potrai ricevere me? Sono forse una turca, una manigolda?
Trapassando dalla mezza collera alla mezza facezia:
– Guarda, verrò a comperare da te qualche migliaio di mattoni per fare la cinta al giardino… Vedremo se non dovrai ricevermi… se riterrai per scomunicati i miei ambiti e riveriti comandi…
Quindi dallo scherzo di linguaggio commerciale ritornava alla intimità patetica: – Facciamo un patto, un compromesso: ti prometto di non seccarti più per una settimana, di non domandarti più altro, se domani mi conduci qui uno dei tuoi nipotini… Li vorrei subito tutti… Ma comincia a condurmi Vico, il soldatone, il croato… tuo figlioccio.
Questa parve al fornaciaio la migliore sortita per ammansare la sorella.
Comincerà per dirle, così alla larga, alla lontana, che il diavolo non è poi mai tanto brutto, quanto lo fanno; – che vi sono donne le quali godono una nomea di crudeli matrigne e che hanno un cuore da mamme sviscerate… – che, per esempio, esiste in Europa, e più specialmente in Italia, e ancora più specialmente, precisamente a Riparia, una donna, anzi una Madonna, che vuole un bene dell’anima, un bene di fuoco ai bambini della sua cara e stimatissima Fede; – che quella donna vorrebbe, anelerebbe, implorerebbe di accarezzarli tutti quei suoi nipotini, – e che intanto si contenta di offrire una merenda, una simpatica ed onorevole merenda a Vico, al soldatone, al croato, come contropremio alla medaglia che esso si è guadagnata nella ginnastica… E questa donna, questa Madonna si chiama…
Oh! come lo pronuncerà con brio di cuore il bel nome di Speranza, con tale brio di core alto, che Fede ne rimarrà incantata, intenerita, avvinta fin nelle radici del proprio cuore.
Altro che concione convincente!
Quando Ludovico si avvicinò al letto della ammalata per smaltire la sua orazione ritenuta di effetto immancabile, Fede giaceva lunga, attortigliata sotto il plasma bianco delle lenzuola, come la statua di una bagnante marina, che si asciughi al sole negli avvolgimenti fidiaci dell’accappatoio.
– Fede!
E Fede silenziosa come una statua.
– Fede! – la chiamò Ludovico con un crescendo di voce insinuante.
Fede sgranò gli occhi ipnotici, senza parlare.
Il fornaciaio abbassò la testa per sfuggire quella rete di sguardi allargantesi minacciosa.
Allora essa con un brusco movimento scompose la sua statua di bagnante sdraiata sulla spiaggia. Si affondò nelle lenzuola; la bagnante scomparve nel mare bianco… E ne uscì una voce trillante, quasi lontana, orrendamente scherzosa, da sirena di malaugurio.
– Ludovico, la strega bionda ti ha colto, ti ha ammaliato…
– Che strega… bionda?
– Sì! Il veterinario ti ha denunziato in ispezieria, ha denunziato il tuo matrimonio. Siete tutti degni gli uni degli altri… Il veterinario è l’ufficiale dello stato civile che ti meriti per sposare quella…
– Non capisco…
– Ah! non capisci? Sai che muoio… E vuoi farmi strozzare anche i bambini…
Ludovico rimaneva tremante, imbambolato. La sua concione di effetto sicuro era già lontana lontana…
Ad un tratto Fede si rizzò seduta sul letto; la sua capigliatura bruna e liscia spiccava come un casco di marmo nero sulla sua fronte alabastrina. Il collo pareva soffiato nel vetro; la maglia del suo lungo vitino scintillava come una corazza argentata.
Allungò due mani orribili.
– Qua! Vieni qua…
Lo prese per il collo.
– Verrò a strangolarti anche dopo morta, se tu sposerai quella… donna pubblica.
E rideva velenosamente rabbiosa.
Ludovico sentì nell’animo un brevissimo accenno di rivolta. Ma lo sbocco di sangue, minacciato in permanenza dalle fauci aperte della sorella, gli rintuzzò ogni anelito di insurrezione.
– Qua, vieni qua…
E Fede lo riafferrò per il collo.
– Per carità! Fede, sorella mia! Coricati, ritorna sotto le coltri.
Fede lo stringeva tutto dalle spalle alla nuca; lo voltava e lo rivoltava; gli ficcava negli occhi tutta la retata dei suoi occhioni tremendi.
– Fede! coricati; va sotto le coltri…
– Si! mi coricherò; ma tu…
– Per carità! ti supplico; copriti, va sotto… Non volere per una imprudenza lasciar orfani prima del tempo i tuoi bambini…
– I miei bambini? Li strangolerò io avanti di morire… Li ammazzerò, li finirò io, piuttosto che lasciarli nelle mani di quella bagascia…
– Dio! Vuoi andar sotto? Vuoi coprirti?
– Sì! Mi coprirò; ma tu giurami che non la sposerai quella baldracca…
Fede si sporgeva, si rovesciava sul fratello, fino a far scorgere le sue tibie penzolanti e nude, sottili come fusi, come gambe di uccello.
Ludovico ne sentì orrore e pietà; ricacciò lacrimoso la sorella nel letto, promettendole lestamente:
– Sì! sì! te lo giuro…
– Me lo giuri per le anime di nostro padre e di nostra mamma?
– Sì! Sì! Te lo giuro.
* * *
Lasciando con un gran sospiro di sollievo la malata relativamente tranquilla, Ludovico non sapeva neppur lui, se aveva giurato o se aveva spergiurato. La testa stanca ed il cuore avvilito lo persuadevano di una verità a cui non aveva ancora posto attenzione: – Vi sono in questo mondo, in questa umanità, delle persone che parlano la stessa lingua, lo stesso dialetto, magari lo stesso piemontese di Riparia, e pure non riescono ad intendersi, come fossero peggio che cani e gatti, come fossero creature di razze immensamente diverse.
“Così Fede, la mia povera sorella, la Madonna di neve, non potrà mai comprendere Speranza, non potrà mai capire chi sia veramente la leonessa, la Madonna di fuoco… Dato questo stato impossibile di cose, che fare? Che resta a fare a un povero uomo, a un povero diavolo, sofferente, sacrificato come me?… Mantenere il giuramento, attaccarmi alla parte, alla quale mi stringono maggiori, più antichi doveri… Ma poterla dimenticare l’altra parte! Sento pure i doveri più recenti, i sentimenti più vivi che mi legano parimente… Sento sovratutto i miei diritti naturali alla vita… Allora? Allora tenere anche per quest’altra parte, fare come fa tutto il rimanente del mondo; barcamenarsi, promettere e non mantenere… mentire… spergiurare…”.
Spinto da questo intimo soliloquio ad un’audacia, di cui non sapeva neppure rendersi conto, il fornaciaio ritornò in casa di Speranza. La quale lo abbordò:
– Ebbene, me lo conduci oggi il tuo piccolo Vico?
– Sì! Te lo conduco.
Il grosso Ludovico non riusciva neppure lui a misurare la forza e la portata della propria imprudenza.
Pur un secreto presentimento lo assicurava che quella impudente promessa gli riuscirebbe di effettuarla. Aveva già potuto osservare che quel gradasso di Vico era anche un piccolo impostore, un felicissimo mentitore; che negava di aver mangiate le noci fresche con le mani ancora nere dell’abbacchiatura; negava persino di aver assaggiato i fichi, mentre ne mostrava le bucce appiccicate alle labbra e alle gote a fingere dei baffi prematuri e delle fedine… veramente criminali per la sua età. Vico era pertanto tal soggetto da potersi manovrare con discreta fidanza.
Lo zio lo prese da parte e gli annunziò: – Per premiarti che hai guadagnata la medaglia nella ginnastica, c’è una bella signora che vuol darti da merenda. Ma la mamma, siccome è ammalata ed ha sempre paura che tu faccia delle indigestioni…
Vico luccicò negli occhi furbi, quas...