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Informazioni su questo libro
Le nostre città novecentesche hanno subito una drastica riduzione delle libertà individuali a seguito dell'introduzione di forme di pianificazione urbanistica fortemente vincolistiche e regolamenti sempre più invasivi per ogni tipo di edificio e attività urbana, e come conseguenza dell'istituzione di un forte monopolio pubblico nella fornitura di gran parte delle infrastrutture e dei servizi. Questo libro si chiede come aumentare in modo più significativo la libertà urbana, restituendo alla città un suo fondamentale elemento costitutivo.
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Informazioni
Argomento
FilosofiaCategoria
Filosofia politicaCapitolo 1 – La città del mercato e quella del potere
di Carlo Lottieri
La città modernamente intesa, non sembri un paradosso, nasce in età medievale. Qui non ci si riferisce in primo luogo a quella realtà urbanistica (spaziale, architettonica, organizzativa) che già era tale anche nelle civiltà antiche, ma invece a quello specifico universo culturale e sociale che rappresenta assai più che un semplice conglomerato di abitazioni e ambiti lavorativi, poiché è in condizione di delineare un’identità propria.
Nell’interpretazione ormai classica che fu avanzata quasi un secolo fa da Henri Pirenne nel suo lavoro sulle città dell’età medievale,{17} è a partire dall’undicesimo secolo che in Europa occidentale inizia a definirsi quell’insieme di scambi e nuove attività artigianali e industriali, artistiche e intellettuali, che permetterà a vaste popolazioni prive di terra di poter vivere entro un conglomerato urbano, raggiungendo in linea di massima una qualità della vita anche superiore a quella di quanti invece lavoravano nei campi. Probabilmente Karl Marx e Friedrich Engels usarono un’espressione troppo dura quando nel Manifesto parlarono della «idiozia della vita di campagna»,{18} ma è pur vero che la maggior parte delle nostre conquiste proviene assai più dal mondo urbano che da quello rurale.
Molto di ciò che oggi associamo alla civiltà (si tratti della scienza come della raffinatezza delle maniere, del progresso tecnico-produttivo come dello sviluppo delle arti) prende forma per la prima volta nelle città europee. È da quell’universo che provengono, o è comunque lì che approdano, figure come Jacob Fugger, Albert Einstein e Alexander Fleming, ma anche Dante Alighieri, William Shakespeare e Wolfgang Amadeus Mozart.
Con lo Stato moderno le cose iniziano però a mutare. La città resta al centro della scena, ma la sua identità muta. La nuova dislocazione dei ruoli produce un crescente accentramento del dominio politico e questo finisce per modificare in profondità – in senso fisico e, ancor più, in senso sociale – lo spazio urbano. Un po’ alla volta la città smette di essere primariamente il luogo dei rapporti volontari, poiché vede insediarsi entro di sé i centri di esercizio del potere e le figure professionali legate ad esso.
A questo punto, è possibile delineare due ben distinti modelli: la città quale spazio di libertà e la città quale fulcro di quel controllo politico (ma di conseguenza anche economico, culturale e sociale) che l’élite governante riesce a esercitare.
1. La città come mercato
Uno dei punti fermi della riflessione di Pirenne sta nell’evidenziare la peculiarità della vita urbana, impensabile entro un mondo protezionista. Perfino nella Francia colbertista, quando s’affermano le tesi di quanti credono che un paese possa trarre beneficio dalla chiusura delle frontiere, quello che si pratica è un isolamento su scala nazionale, ma mai Parigi può nemmeno lontanamente pensare di adottare una qualche forma di protezionismo che la separi dagli universi produttivi che si trovano al suo esterno.
Sul punto, lo storico belga è lapidario: «In nessuna civiltà la vita urbana si è sviluppata indipendentemente dal commercio e dall’industria».{19} Questo significa che sotto vari aspetti la città è strutturalmente orientata al mercato, dato che si costituisce attorno a una rete di rapporti economici e giuridici, di scambi e contratti. Sempre Pirenne evidenzia come esista
tra la città e il suo circondario una relazione permanente di servizi. Il commercio e l’industria sono indispensabili al perdurare di questa dipendenza reciproca: senza l’importazione che assicura l’approvvigionamento, senza l’esportazione che la compensa con oggetti di scambio, la città perirebbe.{20}
Dal punto di vista geografico, spesso la città si è sviluppata proprio al limitare tra le pianure e le montagne, dove prodotti di tipo diverso potevano essere scambiati. I vecchi accampamenti militari di origine romana che erano collocati all’imboccatura delle valli e servivano appunto a controllare le vie di accesso si trasformano in autentici centri urbani.
Ancor più di frequente, la città ama specchiarsi nell’acqua dei fiumi e dei mari. Ma anche quando non ha un porto in senso stretto, essa è un portus nell’accezione in cui questo termine era utilizzato dall’amministrazione della Roma imperiale, a indicare uno spazio consacrato a servire da magazzino e da scalo per le merci.{21} La città dispone di mura e quindi anche di uomini schierati a sua difesa, ma questo è funzionale alla protezione delle relazioni commerciali e del dinamismo che esse sono in grado di imprimere sulla realtà in qualche modo coinvolta da tutto ciò.
L’universo cittadino deve favorire gli scambi, ma a tal fine deve anche saper proteggere i titoli giuridici e facilitare gli affari. Se non è pensabile una città senza un mercato, è quindi egualmente vero che allo sviluppo di tale forma istituzionale è funzionale la presenza di strumenti posti a tutela della proprietà (milizie armate, ma anche apparati legali) e la presenza di istituzioni in grado di favorire le relazioni capitalistiche (finanza). È interessante rilevare che la più antica cambiale di cui si abbia testimonianza sia servita, all’inizio del tredicesimo secolo, a permettere a un uomo d’affari genovese di ottenere, una volta giunto a Palermo, i soldi di cui là egli aveva bisogno.
La città è finanziaria, perché vive di commerci e perché rappresenta il cuore pulsante dell’economia capitalista. D’altra parte, per usare le parole di Ludwig von Mises, «fino ad ora tutte le civiltà sono state basate sulla proprietà privata dei mezzi di produzione»;{22} e in questo senso non c’è allora nulla di sorprendente nel fatto che il capitalismo abbia mosso i primi passi grazie a quell’intreccio tra commercio, banca e industria che contraddistingue l’esplosione dell’Europa medievale.{23}
In questa fase storica l’urbanesimo stesso è strettamente correlato allo sviluppo del mercato. Nelle città si moltiplicano i negozi e, di conseguenza, ognuno può trarre beneficio dalla creazione di valore conseguente allo scambio. La città è anche lo spazio delle opportunità: un luogo aperto che offre l’occasione di abbandonare i piani bassi della scala sociale per accedere ai vertici. In più di un caso, le grandi famiglie della borghesia tardo-medievale e rinascimentale italiana provengono dall’universo della speculazione economica: come fu, per citare solo il caso più celebre, per i Medici. Non c’è dubbio che spesso chi si avvantaggia delle chance garantite dal mercato poi voglia, in un secondo tempo, impedire ad altri di ascendere, ma questo è solo la conferma del rapporto assai stretto tra concorrenza capitalistica e mobilità sociale.
Una lettura assai perspicace di tutto questo è stata offerta dall’economista Ludwig von Lachmann, secondo il quale nel mercato
ha la meglio chi capisce prima di qualsiasi altro che una data risorsa che oggi può essere prodotta (quando è nuova) o comprata (quando si tratta di una risorsa già esistente) ad un prezzo A, domani sarà parte di una combinazione produttiva il cui risultato varrà A'. Tali plusvalenze e minusvalenze, causate dall’opportunità o dal bisogno di usare in altro modo talune risorse, in maniera più o meno efficace, formano la sostanza economica di ciò che la ricchezza significa in un mondo in trasformazione e il principale veicolo del processo di redistribuzione.{24}
E questo significa che la città, luogo cruciale dei processi di mercato, è lo spazio in cui ascese e cadute sociali possono avvenire anche molto velocemente. La città che s’identifica con il mercato rappresenta, allora, un universo del tutto instabile, in cui nessuno può essere sicuro di esercitare domani quel ruolo che oggi è riuscito a ritagliarsi. Dal momento che il capitale va ripensato costantemente e deve essere utilizzato in modi sempre nuovi, ne deriva che il mercato – quale insieme delle scelte degli operatori economici – opera una continua riorganizzazione dei ruoli e delle strutture produttive.
In questo senso, non è per nulla sorprendente che il ceto degli homines novi abbia preso nome proprio dalla città. Ma se la civiltà capitalistica è civiltà borghese, questa è solo una conseguenza del nesso che collega lo spazio cittadino e la mobilità sociale, le logiche di mercato e la continua trasformazione delle posizioni eminenti.
In tal senso è almeno in parte da mettere in discussione la tesi secondo cui il Medio Evo sarebbe primariamente l’universo dello status, basato su rapporti giuridici e sociali in molti casi assai rigidi: come nel caso dei servi della gleba. In parte questo è vero, ma bisogna aggiungere come sia proprio all’interno di questo mondo che la città moderna s’impone e che, con essa, inizia a prendere forma l’orizzonte urbano che rende liberi. Il celebre proverbio tedesco – “die Stadtluft macht frei” – è sorto esattamente a indicare la speciale franchigia riconosciuta a tutti i servi sfuggiti al padrone. In età medievale, era sufficiente vivere un anno e un giorno nelle mura di una città per veder cancellata, e in modo definitivo, ogni relazione di servaggio e subordinazione.
Una riflessione teorica sulla città come mercato, quale si trova al centro dello studio di Pirenne già ricordato, individua come tratto fondamentale della nascente dimensione urbana il prevalere delle relazioni commerciali e bancarie, ma senza necessariamente escludere le radici spirituali del processo che ha generato tutto ciò. Come sottolinea Boudewijn Bouckaert, la rivoluzione urbana è certamente anche il frutto della Pace di Dio, ossia una manifestazione di quella «profonda “rivoluzione dei valori” che fu alla base dell’ordine esteso della Pax Christiana», oltre che «del rinnovato apprezzamento e della rinascita della vita associativa».{25} È il consolidarsi di taluni principi fondamentali affermati dal Vangelo a permettere lo sviluppo delle potenzialità umane: nell’economia, nella scienza e nella tecnica.{26} La cultura nuova, da un lato, tende a valorizzare il lavoro e penalizzare la guerra e, dall’altro, inizia a minare sempre più una stratificazione sociale illegittima. Il servo che approda in città, come s’è detto, s’affranca da vincoli e imposizioni, ma questo è solo il tratto più forte di un ordine politico che si regge su accordo e contratto, marginalizzando la costrizione. Si tratta appunto della città associativa (basata su gilde, confraternite, collegia, corporazioni, ecc.) illustrata da Bouckaert e basata su un’idea forte del soggetto individuale. Il sistema urbano incarna insomma il trionfo di una socialità che fonda le relazioni interpersonali sulla libera adesione. In questo modo, la città diventa velocemente anche lo spazio di quei rapporti tra estranei che sono la struttura portante di una società estesa orientata a rispettare la libertà individuale. Nella sua riflessione sulla relazione tra dimensione comunitaria e dimensione societaria, Friedrich A. von Hayek ha sottolineato come vi sia esigenza – al tempo stesso – di sviluppare rapporti “caldi” e fondati su una simpatia altruista, ma al contempo come le ragioni del diritto e dell’economia spesso chiedano la protezione di rapporti “freddi”, fondati sul rigoroso rispetto dei confini che separano le distinte esistenze:
Parte della nostra presente difficoltà è connessa al fatto che noi dobbiamo costantemente adattare le nostre esistenze, i nostri pensieri e le nostre emozioni, in modo da vivere simultaneamente all’interno di differenti tipi di ordini accordandoli a regole differenti. Se noi applicassimo le nostre smodate e sfrenate abitudini del micro-cosmo (per esempio, il piccolo gruppo o la compagnia o, anche, la famiglia) al macro-cosmo (la società nella sua estensione), come i nostri istinti e desideri spesso vorrebbero farci fare, noi lo distruggeremmo. Ma allo stesso modo se noi applicassimo le regole dell’ordine societario ai nostri gruppi più intimi, noi li schiacceremmo.{27}
Qui Hayek ricorda Tocqueville. La connessione da lui evidenziata tra il micro-cosmo e il macro-cosmo, tra il mercato e le comunità, tra l’universo impersonale e i mondi vitali, è una chiara testimonianza della sua visione plurale dell’ordine sociale, in cui siano protetti i rapporti tra consanguinei, ma in cui vi sia spazio pure per relazioni meno intime, condivise, fraterne.
In questo senso assai preciso la città è par excellence il luogo degli accordi tra stranieri. Possiamo trovare una conferma di carattere letterario a tutto ciò nelle commedie goldoniane, un archivio straordinario di situazioni e logiche sociali che sono assai rappresentative della nuova dimensione mercantile (e borghese) che la città interpreta. Ed è significativo come il piccolo mondo dei campielli veneziani veda spes...
Indice dei contenuti
- Titolo pagina
- Premessa - Città, libertà e diritto
- Parte prima
- Capitolo 1 - La città del mercato e quella del potere
- Capitolo 2 - Per la rinascita della città
- Capitolo 3 - Pianificazione e mano invisibile: alleate o avversarie?
- Parte seconda
- Capitolo 4 - Regolamentazione dell’uso del suolo e mercato immobiliare
- Capitolo 5 - Abitare liberamente. Oltre i pregiudizi sull’auto-organizzazione residenziale
- Capitolo 6 - La liberalizzazione del commercio come indice di libertà delle città
- Capitolo 7
- Parte terza
- Capitolo 8 - Servizi pubblici locali tra pubblico, privato e concorrenza
- Capitolo 9 - Un’altra volta la megautility. La retorica alla base di un inesistente progetto industriale
- Capitolo 10 - Una città senz’auto? Forse non si può
- Capitolo 11 - Politiche culturali. La città, l’intervento pubblico e lo sviluppo delle arti
- Note biografiche