Tutti gli errori di Piketty
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Tutti gli errori di Piketty

Saggi su Il capitale nel XXI secolo

Geoffrey Wood, Steve Hughes

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Saggi su Il capitale nel XXI secolo

Geoffrey Wood, Steve Hughes

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Il capitale nel XXI secolo di Thomas Piketty è il libro più influente di questi ultimi anni. Ha fatto discutere e ha prodotto un acceso confronto fra economisti e studiosi. Secondo Piketty, le differenze di reddito tra ricchi e poveri tendono inesorabilmente a crescere in un'economia capitalista, che per questa ragione avrebbe bisogno di forti "correzioni", ovvero di un robusto intervento pubblico.I saggi raccolti in questo volume – opera di importanti economisti come Martin Feldstein, di divulgatori come Matt Ridley e di uomini di finanza come Charles Gave – criticano l'impostazione e i risultati di Piketty, contestando le inesattezze metodologiche così come le discutibili prescrizioni di policy dell'economista francese.L'edizione italiana include anche tre contributi di Anthony de Jasay, Antonio Foglia e Deirdre McCloskey.

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Informazioni

Editore
IBL Libri
Anno
2018
ISBN
9788864403533
Argomento
Economics

1. I numeri di Piketty non quadrano, di Martin Feldstein

 
 
Thomas Piketty ha suscitato un interesse molto vasto affermando che il capitalismo tenderà ormai inesorabilmente verso una crescente disuguaglianza di reddito e di ricchezza, a meno che non intervengano radicali cambiamenti nella tassazione. Benché il suo libro, Il capitale nel XXI secolo, sia stato apprezzato da coloro che invocano una redistribuzione del reddito, la sua tesi si basa su una falsa teoria circa il modo in cui la ricchezza si evolve in un’economia di mercato, su un’interpretazione scorretta dei dati sull’imposta sul reddito statunitense e sulla non comprensione dell’attuale natura della ricchezza delle famiglie. L’analisi teorica di Piketty prende le mosse da un fatto, ossia che il tasso del rendimento del capitale – il reddito eccedente che proviene dall’investimento di un dollaro addizionale in impianti e attrezzature – supera il tasso di crescita dell’economia. Salta poi alla falsa conclusione che questa differenza tra il tasso di rendimento e il tasso di crescita porti nel corso del tempo a una crescente diseguaglianza di ricchezza e di reddito, a meno che il processo non sia interrotto da una fase di depressione del ciclo economico, da una guerra o da una tassazione confiscatoria. Raccomanda un’aliquota fiscale massima di oltre l’80% sugli stipendi molto alti, combinata con un’imposta globale che cresca con l’ammontare della ricchezza fino al 2% e oltre.
La sua conclusione circa una diseguaglianza che continua a crescere potrebbe essere corretta se le persone vivessero per sempre. Ma non è così. Gli individui risparmiano durante gli anni lavorativi e spendono la maggior parte degli attivi che hanno accumulato durante la vecchiaia. Trasferiscono una parte della loro ricchezza alla generazione seguente. Tuttavia l’effetto cumulativo di questi lasciti è diluito da una combinazione delle imposte sulle successioni esistenti e del numero di figli e nipoti che si dividono le eredità.
Il risultato è che la ricchezza totale cresce nel tempo all’incirca in modo proporzionale al reddito totale. Dal 1960, i dati relativi al flusso dei fondi della Federal Reserve riportano che la ricchezza totale reale delle famiglie negli Stati Uniti è cresciuta al tasso del 3,2% all’anno, mentre il reddito personale totale reale calcolato dal Dipartimento del commercio è cresciuto del 3,3%.
Il secondo problema a proposito delle conclusioni di Piketty sulla disuguaglianza crescente è il suo uso delle dichiarazioni dei redditi senza tener conto dell’importanza dei cambiamenti avvenuti nella legislazione fiscale. I dati dell’Internal Revenue Service (l’agenzia esattoriale del governo federale degli Stati Uniti d’America, NdT), osserva Piketty, mostrano che il reddito riportato nelle dichiarazioni dei redditi del 10% più ricco dei contribuenti è stato relativamente costante come quota del reddito nazionale tra la fine della seconda guerra mondiale e il 1980, ma da allora in poi il rapporto è aumentato in misura significativa. Tuttavia, il reddito riportato nella dichiarazione fiscale non coincide con il reddito totale reale degli individui. I cambiamenti nelle norme fiscali a partire dal 1980 creano una falsa impressione di disuguaglianza crescente.
Nel 1981 l’aliquota fiscale più alta su interessi, dividendi e altri redditi da investimenti è stata ridotta dal 70 al 55%, quasi raddoppiando la quota al netto dell’imposta che restava ai proprietari di reddito da capitale tassabile. Questa riduzione delle aliquote forniva di conseguenza un forte incentivo a spostare le attività da investimenti a basso rendimento, esenti da imposta, a investimenti ad alto rendimento tassabili. I dati fiscali perciò hanno segnalato un incremento della disuguaglianza di reddito misurato benché non ci fosse alcun cambiamento nella disuguaglianza reale.
Il Tax Reform Act del 1986 ha abbassato l’aliquota massima su tutti i redditi dal 50 al 28%. Ciò ha rafforzato l’incentivo ad aumentare i rendimenti tassabili tra gli investimenti di portafoglio. Ha anche incrementato altre forme di reddito tassabile incoraggiando di più il lavoro, facendo sì che una quantità maggiore di lavoro fosse pagata con stipendi sottoposti a tassazione piuttosto che con benefici accessori e retribuzione differita, e riducendo l’uso di deduzioni ed esenzioni.
La riforma fiscale del 1986 ha inoltre abolito la General Utilities Doctrine, una disposizione che aveva incoraggiato gli individui percettori di alti redditi a condurre le loro attività imprenditoriali e professionali sotto forma di società di tipo C, che erano tassate con un’aliquota inferiore a quella applicata al loro reddito personale. Questo reddito societario di attività professionali e di piccole imprese non compariva nei dati sull’imposta sul reddito che Piketty ha studiato.
L’abrogazione della General Utilities Doctrine e l’abbassamento dell’aliquota fiscale massima al di sotto dell’aliquota gravante sulle società ha indotto i contribuenti ad alto reddito a trasferire il reddito delle loro attività imprenditoriali dalle società soggette a imposta alle dichiarazioni dei redditi personali. Alcune di queste trasformazioni sono state realizzate facendosi pagare dalle proprie società interessi, affitti o stipendi. Alternativamente, la loro società poteva essere convertita in una società di tipo S, i cui profitti sono inclusi nel reddito imponibile personale.
Questi cambiamenti nel comportamento dei contribuenti hanno sostanzialmente incrementato l’ammontare di reddito incluso nelle dichiarazioni degli individui che percepiscono alti redditi. Ciò crea la falsa impressione di un netto aumento dei redditi dei contribuenti ad alto reddito, anche se in realtà vi è stato solo un cambiamento nella forma giuridica di quel reddito. Questa trasformazione è avvenuta gradualmente nel corso di molti anni a mano a mano che i contribuenti cambiavano i loro comportamenti e le loro pratiche contabili per riflettere le nuove norme. Il solo reddito d’impresa delle società di tipo S è aumentato da $500 miliardi nel 1986 a $1.800 miliardi nel 1992.
La pratica del confronto dei redditi dei contribuenti più ricchi con il reddito nazionale totale seguita da Piketty ha un altro difetto. Il reddito nazionale esclude il valore dei trasferimenti pubblici, comprendenti previdenza sociale, prestazioni sanitarie e buoni spesa per i meno abbienti che costituiscono una parte ampia e crescente dei redditi personali dei nuclei familiari a reddito medio e basso. Confrontare i redditi del 10% più ricco della popolazione con i redditi personali totali del resto della popolazione evidenzierebbe un aumento molto più piccolo della dimensione relativa dei redditi più alti.
Infine, l’uso da parte di Piketty dei dati relativi all’imposta sulle successioni e le donazioni per esplorare quella che considera una crescente disuguaglianza di ricchezza è problematico. La ragione è, in parte, dovuta ai cambiamenti avvenuti nella disciplina dell’imposta su successioni e donazioni, ma principalmente risiede nel fatto che gli asset trasmissibili per via ereditaria sono solo una piccola parte della ricchezza che la maggior parte degli individui detiene per gli anni della vecchiaia. Tale ricchezza comprende il valore attuariale delle prestazioni della previdenza sociale e dell’assistenza sanitaria ai pensionati nonché il reddito che affluirà sotto forma di pensioni pagate dai datori di lavoro. Se questa ricchezza fosse presa in considerazione, la concentrazione di ricchezza misurata sarebbe molto minore di quanto indicato dai numeri di Piketty.
Il problema della distribuzione del reddito negli Stati Uniti non è che alcune persone guadagnano alti redditi in ragione della loro competenza, preparazione o mera fortuna. Il problema è la persistenza della povertà. Per ridurre questa povertà persistente occorrono una crescita economica più forte e un approccio differente all’istruzione e alla formazione, non le tasse confiscatorie su reddito e ricchezza che Piketty raccomanda.
 
 
 

2. Ciò che Piketty non vede, di Herbert Grubel

 
 
Il capitale nel XXI secolo è un bestseller mondiale che ha ricevuto più recensioni di accademici e intellettuali di qualsiasi altro libro di economia che la mia memoria ricordi. Verso la metà di maggio 2014, una ricerca su Google evidenziava la cifra stupefacente: 12,5 milioni di risultati su Piketty e la sua opera.
Nessuna delle molte recensioni ha rilevato che le ingombranti statistiche usate da Piketty sono di rilevanza limitata per giungere alla sua conclusione neo-marxiana circa l’inevitabile aumento della disuguaglianza, dell’instabilità sociale e il crollo delle economie di mercato esistenti. Le statistiche che utilizza sono fotografie della distribuzione del reddito e della ricchezza che ritraggono una popolazione la cui composizione muta a ogni foto scattata.
Ciò che è più rilevante per la valutazione dei problemi che sono oggetto delle sue previsioni sono le informazioni che seguono i redditi degli stessi individui nel corso del tempo. Solo in anni recenti i governi hanno cominciato a pubblicare alcune di queste informazioni. Negli Stati Uniti un insieme di dati è stato prodotto dal Tesoro. In Canada, Statistics Canada ha pubblicato alcuni dati che non hanno ricevuto praticamente nessuna attenzione da parte dei media. Il Fraser Institute ha recentemente pubblicato uno studio che utilizza dati specificamente compilati dall’agenzia a un costo considerevole.
Questi dati canadesi forniscono informazioni sorprendenti: su 100 lavoratori che si trovavano nel quintile di reddito più basso nel 1990, 87 si erano spostati nei quintili superiori 19 anni dopo e 21 di loro avevano raggiunto addirittura il quintile più alto. La mobilità di reddito si manifesta anche nei movimenti verso il basso. Di 100 canadesi del quintile più alto nel 1990, 36 si trovavano nei quintili più bassi 19 anni dopo.
Un’altra importante informazione fornita dai dati del Fraser Institute smentisce molte affermazioni sulla decadenza della classe media. Le stesse famiglie canadesi che avevano ricevuto redditi medi corretti per l’inflazione nel quintile più basso nel 1990, nel 2009 percepivano redditi aumentati del 280%. Durante lo stesso periodo le famiglie del quintile più alto negli anni Novanta registravano un incremento pari a soltanto il 112%. I redditi medi dei tre quintili centrali sono aumentati del 153%. Questi dati mostrano che tutti i canadesi sono diventati più ricchi, i poveri lo sono diventati più dei ricchi e la classe media ha più che mantenuto il passo con i ricchi.
La dinamica della distribuzione del reddito rivelata da queste statistiche è principalmente il risultato di un modello di reddito del ciclo vitale: retribuzione e produttività sono basse quando i lavoratori fanno il loro ingresso nella forza lavoro, aumentano con l’età e l’esperienza di lavoro e, successivamente, decrescono con l’emergere delle inabilità in relazione con l’età e il ritiro dall’attività lavorativa.
L’evoluzione nel tempo del reddito degli individui è inoltre determinata da influenze di breve durata sulla capacità di lavoro quali le malattie e le decisioni personali relative all’educazione dei figli, l’acquisizione di ulteriori livelli di istruzione e i cambiamenti nello stile di vita. Nelle economie di mercato dell’Occidente l’impatto di questi eventi sul reddito è limitato dall’accesso alle prestazioni della sicurezza sociale e delle assicurazioni private.
Gli alti redditi tendono inoltre a essere guadagnati solo per limitati periodi di tempo in seguito a eventi una tantum quali la realizzazione di capital gains, l’ottenimento di premi di rendimento o persino le vincite alla lotteria.
Gli atleti professionisti, gli attori di film di successo, gli autori di bestseller e persino i manager solitamente ottengono alti redditi per brevi periodi. I dati di Statistics Canada mostrano che, in anni recenti, i percettori dell’1% più alto dei redditi non aveva redditi a quel livello cinque anni prima. I dati di Forbes sui miliardari mostrano che solo il 10% di coloro che erano nella classifica del 1982 si trovava ancora nello stesso elenco nel 2012, anche dopo aver corretto per l’inflazione per gli ultimi trent’anni.
La maggior parte della recente crescita fuori dell’ordinario del reddito dei maggiori percettori di reddito, il famigerato 1%, è dovuta alla crescita del mercato per i loro servizi, che è stata guidata dall’introduzione dei nuovi media elettronici, dalla globalizzazione e dalla crescita dei redditi dei loro pubblici: atleti professionisti, creativi ed esponenti del mondo dello spettacolo ora raggiungono non centinaia di persone come sulle scene o migliaia come nelle sale cinematografiche, ma milioni.
La globalizzazione degli scambi ha accresciuto la dimensione delle imprese ed elevato il valore in dollari dei contributi che i manager possono dare ai loro risultati economici. Un’impresa con vendite a livello nazionale di $100 milioni può offrire a un top manager da cui ci si aspetta un incremento delle vendite dell’1% meno di quanto può pagare dopo che la globalizzazione ha portato le vendite della stessa impresa a $10 miliardi. I guadagni di Bill Gates e di Steve Jobs e dei loro top manager sarebbero stati molto più bassi se le loro innovazioni fossero state vendute solo negli Stati Uniti invece che in tutto il mondo.
Piketty ha usato i dati sbagliati per concludere che i ricchi stanno diventando più ricchi e i poveri stanno diventando più poveri. Le statistiche dinamiche del reddito mostrano che tutti stanno diventando più ricchi, e i poveri più dei ricchi. Inoltre, Piketty attribuisce erroneamente la maggior parte della crescita della disuguaglianza della ricchezza ai risparmi eccessivi che accrescono la ricchezza dei ricchi quando in realtà essa è dovuta alle recenti rivoluzioni tecnologiche e alla globalizzazione delle imprese che hanno beneficiato super-manager e imprenditori innovativi come Gates e Jobs.
La perorazione di Piketty a favore di imposte confiscatorie sul reddito e di prelievi sulla ricchezza per prevenire eventi “potenzialmente terrificanti” è molto debole per i paesi occidentali dove le persone per lo più si aspettano giustamente redditi e ricchezza crescenti nel corso delle loro vite e dove i trasferimenti delle assicurazioni sociali proteggono i redditi dei (temporaneamente o permanentemente) bisognosi.
Eppure, il libro e l’analisi di Piketty sono stati ampiamente lodati da molti economisti e commentatori bene informati. La ragione di questo apprezzamento può essere ravvisata nel fatto che molte persone sono invidiose del successo degli altri. Tuttavia, queste persone hanno il problema che, come scriveva François de La Rochefoucauld nel 1665: «Spesso ci vantiamo delle passioni più criminali, ma l’invidia è una passione timida e vergognosa che non osiamo mai riconoscere».
Il messaggio di Piketty, secondo il quale gli inevitabili aumenti della disuguaglianza di reddito e di ricchezza condurranno a problemi molto gravi per la cultura e le società dell’Occidente, proprio come già fece motivando le rivoluzioni popolari del XVIII secolo in Francia e nel XX secolo in Russia, offre agli invidiosi l’opportunità di invocare più politiche di redistribuzione del reddito e della ricchezza con il pretesto che sono necessarie a preservare la cultura e le società occidentali esistenti. Questo è un motivo molto più nobile e socialmente accettabile dell’invidia per rivendicare politiche redistributive. I redistribuzionisti di ogni dove amano Piketty per averglielo fornito.
 

3. Il problema di Piketty, di Charles Gave

Thomas Sowell ha coniato una frase meravigliosa per descrivere i benintenzionati ingegneri sociali che sanno sempre che cosa fare per migliorare il benessere degli oppressi. Li ha chiamati “gli eletti” e ha spiegato come i loro ragionamenti seguano sempre gli stessi tre stadi:
– Identificano un problema, che può esistere o non esistere. Ma, reale o no che sia, insistono sempre nel sostenere che il problema è causato da fallimenti del mercato.
– Propongono una soluzione che inevitabilmente implica un maggior ruolo per lo Stato, e p...

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