Libero commercio: Cos'è e come ci rende tutti più ricchi
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Libero commercio: Cos'è e come ci rende tutti più ricchi

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Libero commercio: Cos'è e come ci rende tutti più ricchi

Informazioni su questo libro

Cos'è il libero scambio e come funziona? Perché accresce il benessere delle persone che vi prendono parte?Il commercio internazionale è antico quanto la civiltà umana. Ma il suo peso non è mai stato tanto rilevante come oggi: è decollato davvero solo con la Rivoluzione industriale e l'abolizione dei dazi sul grano in Inghilterra nel 1846. L'esplosione del commercio internazionale ha così giocato un ruolo fondamentale nell'incredibile crescita economica che si è registrata in tempi recenti: il PIL mondiale pro-capite è infatti passato dai 1.000 dollari del 1800 ai 16.000 del 2018. Come spiega Don Boudreaux in questo libro, lo scambio rende possibile e incentiva la specializzazione, incoraggiando anche l'automazione e l'innovazione. E più si allarga la divisione del lavoro, più aumentano beni e servizi disponibile per ciascuno di noi.

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Informazioni

Editore
IBL Libri
Anno
2019
eBook ISBN
9788864404080
Argomento
Business

1. Adam Smith, la specializzazione e le dimensioni del mercato

Solo le persone in carne e ossa commerciano
Prendiamo l’avvio da un fattore tanto importante quanto troppo spesso trascurato: il commercio avviene esclusivamente tra individui. I paesi non commerciano. Le regioni non commerciano. Gli emisferi non commerciano. Le entità collettive, in qualunque modo concepite o descritte, non commerciano. Solo gli individui commerciano. Spesso questi ultimi lo fanno senza essere associati con qualcuno, come accade quando si spendono i propri soldi per comprare per sé un gelato, o quando si accetta un determinato lavoro per un determinato stipendio. Altre volte, gli individui commerciano associandosi a qualcun altro: l’esempio più comune, ai giorni nostri, si ha quando più persone combinano le proprie risorse in imprese plurisoggettive, ognuna delle quali ha membri che sono autorizzati a comprare e vendere in nome della società, come accade quando la Ford impiega una parte delle risorse degli azionisti della compagnia per acquistare le lamiere necessarie per produrre le automobili.{1}
Ma anche nelle aziende più grandi del mondo, i dirigenti comprano e vendono in nome e per conto degli azionisti, ognuno dei quali ha scelto, in modo individuale, di entrare a far parte di questa relazione tra agente (dirigenti) e principale (azionisti). Questo rapporto crea singole entità – quale, per l’appunto, la Ford – con una consapevole direzione e uno scopo. Come per ogni uomo, donna o famiglia, ha senso, nell’analisi del commercio e delle politiche commerciali, considerare le società commerciali e altre organizzazioni plurisoggettive come fossero individui. Al contrario, poiché questa stessa consapevole direzione e questo stesso scopo non esistono quando si discorre di paesi, regioni o nazionalità, trattare queste ultime allo stesso modo in cui si tratta un individuo, che agisce e opera in modo consapevole e con uno scopo, finirebbe per essere indebito e fuorviante. Mentre, volendo fare un esempio, gli acquisti e le vendite dei tedeschi (o della Germania) potrebbero essere misurate e registrate in modo analogo agli acquisti e alle vendite della Ford, solo queste ultime fanno parte di una pianificazione voluta: le prime sono semplicemente il risultato aggregato dei vari individui che perseguono i propri obiettivi secondo i propri piani. Vedremo in seguito quanto importante sia evitare di pensare alle nazioni o ai paesi come fossero entità consapevolmente coinvolte negli scambi commerciali.
Il commercio è un modo pacifico di trasferire i diritti di proprietà a chi li valuta maggiormente
Un motivo fondamentale del perché commerciamo è rappresentato dal fatto che gli altri possiedono cose che vogliamo. Queste ultime possono avere consistenza fisica, come le mele o le automobili, o possono essere servizi, come riparare tubature che perdono o tagliare i capelli. Ma il fatto che altre persone possiedono le cose che vogliamo non basta a spiegare perché commerciamo. Esistono altri modi di ottenerle, come furto, frode o accattonaggio. O, ancora, è possibile produrle personalmente. Ed effettivamente ognuno di questi mezzi è impiegato: ma il più comune di essi è il commercio. Questo si realizza ogni qualvolta due individui scambiano tra di loro volontariamente i propri diritti di proprietà: Tizio trasferisce volontariamente la proprietà che vanta su una mela a Caio, in cambio del volontario trasferimento che Caio fa in suo favore della proprietà di un pompelmo.
Per sua stessa natura, lo scambio è volontario e pacifico. E sebbene alcune transazioni avvengano con l’inganno – ad esempio quando Caio spinge Tizio a credere che la palla di plastica gialla nella sua mano sia un pompelmo – io assumerò come esempi di “commercio” solo quegli scambi volontari realizzati in assenza di frode: e non lo faccio solo perché la grande maggioranza degli scambi volontari non prevede il ricorso a raggiri, ma anche perché le critiche mosse al commercio – e che vengono affrontate nel corso di questo scritto – non hanno nulla a che spartire con l’accusa di truffa.
Essendo volontario, il commercio richiede che ciascuna delle parti coinvolte creda di trarre beneficio da quello scambio (beneficio da misurare rispetto a ciò che essa avrebbe avuto se non avesse partecipato allo scambio). Se un tale pensa che un accordo che gli è stato offerto possa danneggiarlo, lo rifiuterà, senza tante storie. E come esiste la possibilità di frode, esiste sempre anche la possibilità dell’errore. Tizio potrebbe essere seriamente convinto di preferire il pompelmo di Caio alla sua mela, salvo poi rendersi conto – una volta realizzato lo scambio tra i due frutti – che avrebbe preferito mangiare la mela. E come per gli scambi viziati dai raggiri, non terrò in considerazione neanche questo tipo di errore, non perché convinto che non si verifichi – è ovviamente vero il contrario – ma perché questo interessa solo una piccola frazione del totale degli scambi e perché esso non gioca alcun ruolo in nessuna delle principali obiezioni che sono mosse nei confronti del libero scambio.
Dunque, la ragione motrice del commercio è semplice e ovvia: il commercio è un mezzo con cui ciascun individuo prova a migliorare il proprio benessere. Per farlo, è necessario rinunciare a qualcosa che si valuta come meno prezioso, in cambio di qualcos’altro che si stima come più prezioso. E poiché ciascuna parte in uno scambio ragiona in questo modo, ogni scambio migliora il loro benessere. Nella sua forma più basilare – quale lo scambio di una mela per un pompelmo – il commercio incrementa il benessere umano anche in assenza della produzione di un nuovo bene. Il semplice trasferimento dei diritti di proprietà di beni già esistenti, attraverso lo scambio, accresce il benessere umano.
Sebbene questa verità non dovrebbe mai essere dimenticata, è ovvio che un aumento significativo nel benessere umano richiede ben altro, rispetto al semplice riallineamento dei diritti di proprietà su beni già esistenti. La quantità di beni deve crescere, così come deve crescere la capacità di fornire servizi: e non si può separare il commercio dalla cooperazione sociale che è necessaria per produrre nuovi beni e servizi.
Il commercio promuove la specializzazione nella produzione – ed è a sua volta promosso dalla specializzazione
Nel primo capitolo del suo monumentale lavoro, Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni (1776), un libro che è considerato come fondativo della moderna scienza economica, il filosofo morale scozzese Adam Smith (1723-1790) ha indicato l’inimmaginabile misura di cooperazione sociale che è necessaria per produrre un comune capotto di lana. Vale la pena riportare per intero il passo di Smith:
L’abito di lana, che veste il lavorante a giornata, per quanto grossolano e ruvido possa apparire, è ad esempio il prodotto del lavoro congiunto di una grande moltitudine di operai. Il pastore, il selezionatore di lana, il pettinatore o cardatore, il tintore, il cardatore di grosso, il filatore, il tessitore, il follatore, l’apprettatore e molti altri devono mettere insieme le loro differenti arti al fine di portare a termine anche solo questa produzione casalinga. Quanti mercanti e vetturali devono inoltre essere stati impiegati per trasportare i materiali da qualcuno di questi operai ad altri che spesso vivono in parti remotissime del paese! In particolare, quanto commercio e navigazione, quanti costruttori di navi, marinai, velai, cordai, devono essere stati impiegati al fine di mettere insieme le differenti sostanze usate dal tintore, spesso provenienti dagli angoli più remoti della terra! Quale varietà di lavoro è pure necessaria per produrre gli strumenti del più infimo di questi operai! Per tacere di macchine così complicate come le navi, il molino del follatore, o anche il telaio del tessitore, basti riflettere sulla varietà di lavoro necessaria a formare anche solo quella macchina semplicissima che sono le forbici con le quali il pastore tosa le pecore. Il minatore, il costruttore della fornace per fondere il minerale, il taglialegna, il bruciatore del carbone da usare nella fonderia, il fabbricante e il posatore di mattoni, gli operai che accudiscono la fornace, il costruttore del molino, il fonditore, il fabbro, tutti devono unire le loro differenti arti per produrle. [...] Insomma, se esaminiamo tutte queste cose e consideriamo quale varietà di lavoro è impiegata in ognuna di esse, ci renderemo conto che senza l’assistenza e la cooperazione di molte migliaia di persone l’essere più meschino di un paese civile non potrebbe godere nemmeno del tenore di vita di cui comunemente gode, che noi erroneamente riteniamo semplice e facile.{2}
Un comune giubbotto è fatto da numerosissimi e diversi materiali, ciascuno dei quali proviene da numerosissimi e diversi paesi, ed è realizzato solo perché ciascuno in una moltitudine di individui – oggi sparsa per tutto il globo – contribuisce al processo produttivo attraverso la propria creatività, la propria conoscenza, i propri sforzi e la propria volontà di sopportare dei rischi. E ciascuno di essi fa ciò – meglio: può far ciò – solo perché commercia con altri produttori.
In modo piuttosto scontato, dal momento in cui non confezioniate personalmente il vostro giubbotto, lo comprerete: in altre parole, scambierete qualcosa per averlo.
Dall’altra parte di questa transazione si trova la moltitudine di individui i cui sforzi combinati sono risultati nella produzione materiale del vostro giubbotto, così come nella sua consegna al negozio in cui lo avete comprato.
Ciascuna di queste persone – dall’allevatore di pecore, all’operaio dello stabilimento tessile, passando per l’autista del furgone delle consegne, fino all’attuario impiegato dalla compagnia assicurativa, i cui servizi sono fondamentali per rendere economicamente fattibile l’attività del negoziante al dettaglio – ha scambiato la propria capacità produttiva per una ricompensa in denaro, che ha poi usato per acquistare altri beni e servizi per sé e per la propria famiglia. Se nessuna di queste persone fosse stata in grado di scambiare con altri i beni e i servizi che desiderava consumare, allora nessuna di esse avrebbe volontariamente impiegato il proprio tempo e la propria fatica per produrre i materiali del giubbotto a voi destinato.
E lo stesso è vero per voi. Avete guadagnato i soldi necessari per acquistare il vostro giubbotto lavorando. Magari siete davvero innamorati del vostro lavoro, ma è improbabile che continuereste a farlo se il vostro datore di lavoro dovesse smettere di pagarvi: continuerete a lavorare perché è il modo attraverso il quale scambiate il vostro tempo e la vostra fatica per guadagnare il denaro che poi scambierete a vostra volta per i beni e i servizi che altri hanno prodotto per voi. Alla fin fine, non lavorate per i soldi, ma per ciò che i soldi possono comprare.
Fermiamoci un attimo per mettere in evidenza il fatto che voi siete completamente estranei a ciascuno o quasi di coloro i quali hanno lavorato per fabbricare il vostro giubbotto. Siete completamente estranei anche a ciascuno o quasi di coloro i quali hanno tratto beneficio dai vostri sforzi lavorativi. Gli estranei aiutano gli estranei, un giorno sì e l’altro pure. E ciò che mette in comunicazione tutti questi estranei, nella rete mondiale della produzione e della mutua assistenza, è il commercio.
È importante riconoscere quanto straordinariamente produttivo sia il sistema mondiale di cooperazione economica. Attraverso una ricerca online, ho verificato i prezzi al dettaglio dei giubbotti di lana nel Regno Unito:{3} 200 £ è il prezzo medio. Lo stipendio orario mediano di un lavoratore a tempo pieno inglese è, correntemente, 13,94 £. Pertanto, in media, si deve lavorare solo 14,3 ore per guadagnare abbastanza soldi da potersi permettere un nuovo giubbotto di lana. Il che vuol dire che, per sole 14,3 ore del proprio tempo, il lavoratore medio può disporre di parte del frutto del lavoro di (letteralmente) milioni – forse di centinaia di milioni – di estranei. E, ovviamente, ciò che è vero per un giubbotto è vero per ogni altro bene e servizio che consumiamo ogni giorno: ognuno di essi, con rare eccezioni, ci costa soltanto qualche minuto o ora del nostro tempo. Eppure, in ogni caso, quello che compriamo in cambio di una così piccola frazione del nostro tempo è un bene o un servizio la cui realizzazione ha richiesto lo sforzo di milioni di altre persone. Difatti, ci costa così poco esattamente perché la sua produzione è stata resa possibile dallo sforzo di milioni di individui, ciascuno dei quali ha contributo con il proprio, specializzato, talento.
Adam Smith sul perché la specializzazione dei lavoratori è produttiva
La spiegazione di questa fenomenale verità da parte di Adam Smith prende avvio dall’osservazione per cui il livello di produzione complessivo di qualunque gruppo di persone aumenterà se ciascun componente si specializzerà nell’assolvere un determinato compito, anziché produrre qualsiasi c...

Indice dei contenuti

  1. Titolo pagina
  2. Sommario
  3. Introduzione
  4. 1. Adam Smith, la specializzazione e le dimensioni del mercato
  5. 2. I vantaggi comparati (e non solo)
  6. 3. Commercio e posti di lavoro
  7. 4. Deficit commerciali
  8. Conclusioni
  9. L’autore