Buon gioco
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Giocare bene per vivere bene

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Giocare bene per vivere bene

Informazioni su questo libro

Condividere e rispettare delle regole, proseguire il gioco o abbandonarlo, avere fiducia nei propri compagni, vincere, perdere o arrendersi: De Koven spiega, con una chiarezza rara, come funziona un gioco, se vuole essere un buon gioco. E come ogni gioco è un'opportunità per sviluppare senso di comunità, creatività, leggerezza e integrità. In due parole, per vivere bene.Questo libro, apparso per la prima volta nel 1978 e ripubblicato dal MIT nel 2013, è considerato la bibbia del gioco da studiosi e appassionati.Buon gioco è un capolavoro: rispetto alla maggior parte dei libri sul tema, esce dagli schemi. Non è una guida per sviluppatori di giochi, con dritte e trucchi per creare prodotti di maggiore successo. Non è un manuale didattico per educatori, pieno di strategie per insegnare meglio usando i giochi. E non è stato scritto per tranquillizzare genitori o opinionisti riguardo al giocare.È un libro per chi gioca. Parla di come giocare bene. E di come, imparando a giocare bene, si diventa persone migliori. Ovviamente questo libro è anche per sviluppatori di giochi, per educatori, per studiosi e per chiunque altro. Non soltanto perché imparare a giocare meglio può far bene a tutti, ma anche perché sotto la prosa vivace di Bernie c'è un tesoro di idee sconvolgenti e stupefacenti sul gioco.Eric Zimmermann

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Informazioni

1

Alla ricerca del buon gioco

Se dobbiamo ottenere un buon gioco insieme a qualcun altro, dobbiamo arrivare a un’idea condivisa di che cosa stiamo cercando.
Il modo più logico per riuscirci è giocare in coppia, così avremo qualcosa in comune. Quando troveremo un gioco al quale entrambi giochiamo bene insieme, lo capiremo.
Capiremo anche a quali giochi non giochiamo bene insieme. E questa scoperta potrebbe deluderci. Ma se rimarremo delusi entrambi, allora sapremo anche che, perlomeno, stiamo cercando la stessa cosa.
Ma da quali giochi dovremmo partire? Siamo riluttanti. E se il gioco che scegliamo non ci piacesse per niente? E se non trovassimo mai quello giusto? Quanta delusione possiamo sopportare prima di iniziare a sentirci delusi l’uno dell’altro?
E allora andiamo a vedere insieme qualcun altro che gioca. Così saremo più obiettivi. D’altronde, anche se non giocassero bene, potremo parlarne senza attribuirci alcuna colpa se è stato tanto brutto.
Andiamo a vedere qualcuno che gioca da «professionista». È noi contro di loro. Dato che tifiamo tutti per la stessa squadra, almeno il punteggio non ci farà finire a odiarci l’un l’altro.
Eccoci allo stadio. È una giornata magnifica. E che stadio! Un’autentica dimostrazione da milioni di dollari del valore del buon gioco!
Vogliamo veramente vedere un buon gioco. Anche gli altri lo vogliono. Vogliamo veder dispiegarsi questo gioco. Vogliamo vedere il raggiungimento dell’eccellenza: non da parte di una singola persona, e neanche di una sola delle due squadre, ma di entrambe, composte di persone che sono in una tale condizione di benessere fisico, mentale e spirituale da fare azioni fantastiche, passaggi incredibili, prese al volo sbalorditive, prodezze di bravura e forza… Sì, è questo che tutti noi vogliamo vedere.
Quando inizia la partita siamo eccitati. Abbiamo un presentimento di eccellenza. È bello osservare la coordinazione dei giocatori, la disinvoltura professionale con cui si dispongono nella propria posizione.
Con il proseguire del gioco, rimaniamo veramente stupefatti. Qualcosa, un qualche tipo di eccellenza comincia a emergere. Quello era un bel lancio. La nostra squadra gioca bene. Hai visto con che grazia ha fatto quel passaggio?
Adesso stiamo saltando su e giù e urliamo a squarciagola per noi. Sì, è questo il genere di eccitazione che stiamo cercando.
Dopo un po’ si direbbe che saltiamo più giù che su. Il punteggio è 12 a 0 e siamo ancora al primo tempo. Sì, bene, bravi, la nostra squadra sta vincendo. Ma l’altra…
Sembra completamente assente. I giocatori non stanno neanche provando a vincere. Sono a malapena in campo, per così dire.
Dovremmo rimanere fino alla fine, almeno per curiosità? Ma il gioco si sta facendo noioso. Pare che anche la nostra squadra stia perdendo slancio. È troppo facile così. A questo punto potremmo anche andare via subito, così evitiamo la ressa.
Allora, cosa abbiamo scoperto?
Abbiamo effettivamente visto alcuni istanti di eccellenza, delle azioni di gioco davvero belle. Questo è ciò che succede in un buon gioco — come quel lancio, quella presa spettacolare, quella corsa. E ci sono state anche cose straordinarie, mosse inaspettate che si sono rivelate vincenti, come quando uno dei giocatori è passato in mezzo al campo invece che attorno. E quella piroetta a mezz’aria incredibile che ha fatto quando l’ha presa! Sì, parte di un buon gioco è questo: fare cose inaspettate che però sono quelle giuste da fare. E come la nostra squadra ha saputo anticipare il gioco: bello, anche questo fa parte di un buon gioco.
Ma di fatto questo non è stato un buon gioco. Il gioco in sé non è stato giocato bene. Anche se la nostra squadra ha sbaragliato l’altra, siamo rimasti delusi. L’avversaria ci ha delusi enormemente, era in pessima forma, ha giocato malissimo. Non c’è stata sfida. Non c’è stata occasione di rendere l’intero game eccellente. Anche la nostra squadra si è annoiata, ha fatto azioni pasticciate e a un certo punto ha mollato: anche se ha vinto, anche se ha raggiunto l’obiettivo per il quale era pagata, ci è rimasta male.
Questo ci dice altro su cosa per noi è un buon gioco. Giocare bene deve essere una condizione generale. Se vogliamo un buon gioco, questa condizione non può essere limitata a una sola squadra o a un solo giocatore.
Che ne diresti di una partitina a ping-pong? Sai, sono bravo a ping-pong. Be’, non è che giochi sempre benissimo, ma mi è capitato di giocare bene.
Facciamo prima un po’ di palleggi? Giusto per riprenderci la mano.
Sì, mi piace come sta andando, e a te?
Facciamo dei palleggi per decidere a chi va il servizio? Voglio dire, dato che stiamo cercando di capire cosa sia un buon gioco, tanto vale giocare.
Grande! Bel tiro! Sono stupito di quanto gioco bene oggi. Scusa, pensavo che il servizio fosse mio. Adesso sta iniziando a piacermi. Bella schiacciata.
Che te ne pare come rinvio?
Guarda qua. Sto giocando più veloce di quanto riesca a pensare. Non mi sono nemmeno accorto di avere deciso di mandare la pallina lì: l’ho fatto e basta. Sono concentratissimo: sono qui, esattamente dove dovrei essere, e rispondo alle tue battute proprio là dove dovrei rispondere. E guardati! Rispondi a tutto quello che provo: anche ai miei virtuosismi, ai tiri che riservo per le gare più agguerrite.
Adesso sappiamo cos’è un buon gioco? Be’, ho vinto io, ma devi comunque ammettere che è stata una bella partita, giusto quello che cercavamo.
Perché mi guardi così?
Oh.
Giocavi con la destra invece che con la sinistra e tu sei mancino.
È stato molto gentile da parte tua mostrare rispetto per i miei sentimenti, credo. Già: non sapevo che fossi nella squadra intergalattica. È stato leale da parte tua darti uno svantaggio. Ha reso la partita più ad armi pari, no?
Quindi dici che alla fine non è stato un buon gioco? No. Però sono sicuro che anche se giocavi con la mano sbagliata hai fatto del tuo meglio.
Probabilmente hai ragione. È stato un buon gioco. Va bene. Va bene. Corrisponde alla descrizione. Sì, abbiamo condiviso eccellenza.
Ma la mia vittoria! La mia vittoria! Mi hai portato via la vittoria!
Vedi, ero convinto che io ti stessi davvero battendo, che tu stessi giocando meglio che potevi e che comunque stessi vincendo io. Voglio dire: ho pensato, dato che ti stavo battendo, di essere più bravo di quanto credessi. La verità è che tu eri parecchio più bravo di quanto credessi. Sì, sono più bravo di te quando usi la destra. Ma questo cosa dimostra?
Sai, potevi dirmi che giocavi con la mano sbagliata prima che iniziassimo la partita. Se me lo avessi detto prima, adesso almeno non mi sentirei così stupido.
Be’, forse sì, è stato veramente un buon gioco. Tutti e due abbiamo giocato bene insieme.
Il fatto di vincere non dimostra niente, no? Uno di noi doveva vincere; lo sapevamo fin dal momento in cui abbiamo deciso di giocare tenendo il punteggio.
Strano però come io mi senta imbrogliato. So che in realtà non importa chi vince la partita — o almeno l’intesa a cui siamo arrivati insieme è questa —, e allora perché ho la sensazione che sia stato sleale da parte tua non dirmi prima che giocavi con la mano sbagliata?
Mi rendo conto che la ricerca di un buon gioco è già in sé un distacco radicale da quello che, in quanto adulti, facciamo quando giochiamo insieme a qualcosa.
In genere, l’unica intenzione comune che riusciamo a stabilire tra noi è che ognuno vuole vincere. Anche se abbiamo già giocato insieme, l’unico sforzo che di solito ci accomuna, il risultato che tutti riusciamo a riconoscere come valido è la vittoria.
Ora mi è chiaro che il risultato di un’unione di questo tipo è la separazione, sempre la separazione. Ci divide tra vincitori e vinti, tra quelli che ce l’hanno fatta e quelli che non ce l’hanno fatta. Questa divisione ci porta poi ad altre divisioni. Dal momento che alcuni di noi hanno vinto e altri hanno perso, diventa difficile trovare un gioco al quale siamo tutti disponibili a giocare bene insieme. Non è mai stata la nostra priorità. Anche se quello che ci è sempre piaciuto di più è il gioco al quale tutti giochiamo bene insieme, vincere è la priorità.
Ho capito anche che i vecchi valori sono ancora molto radicati in me. Per quanto contrari allo scopo che abbiamo stabilito, hanno una presa troppo forte. Pensavo di poter dimostrare qualcosa — a me stesso, a te — vincendo. Tu hai capito cosa dovevamo fare per ottenere un buon gioco, io no.
Quello che dimostriamo giocando bene insieme è che possiamo farlo. Vogliamo farlo.
È una cosa difficile da ricordare. Alcuni, come me, vanno facilmente in confusione.
Qualunque vittoria, ora che sappiamo a cosa puntiamo insieme, è condivisa. Non importa chi vince una partita: se abbiamo giocato bene, siamo riusciti in quello che volevamo fare. La vittoria non è determinata da chi fa più punti e neanche dal gioco a cui giochiamo, ma dalla qualità del giocare che siamo riusciti a creare insieme.
In altre parole, non è la partita a decidere chi di noi gioca bene, così come non è la vittoria in una partita a determinare il successo.
Nella ricerca del buon gioco, il nostro successo può essere misurato soltanto nei termini di quanto bene siamo riusciti a giocare insieme. O lo raggiungiamo tutti e due o non lo raggiungiamo affatto. Non lo determinano i punteggi, né le partite: lo determina chi sta giocando.
Questa è davvero una cosa nuova per noi. Ed è strano che lo sia. È strano il fatto stesso di aver usato le partite o i punteggi come metro di valutazione del nostro giocare bene insieme; è strano aver permesso che la nostra autorità stesse in mano a qualcosa che non siamo noi. È strano che l’idea stessa del buon gioco possa essere qualcosa con cui abbiamo una profondissima familiarità e al contempo mandarci in confusione con tanta facilità. Come ho fatto a credere che vincere la partita fosse più importante del piacere che provo quando giochiamo bene insieme?
Che ne dici di un’altra partita a ping-pong?
Senti, ho un’idea. Non teniamo i punti stavolta. Palleggiamo e basta. Forse così riusciremo a capire meglio quand’è che giochiamo bene insieme. Saremo meno distratti.
Non sto dicendo che tenere i punti sia una cosa brutta. Sto semplicemente ammettendo che, sulla base della nostra ultima esperienza, non serve a granché.
E ho un’altra idea. Dato che tu sei più bravo di me, perché non mi fai usare di più il rovescio? Me la cavo meglio con il rovescio, sai, e, se per te va bene, penso che ci aiuterà ad arrivare a un buon gioco. Magari potresti anche continuare a giocare con la destra invece che con la sinistra.
Sì, così mi piace. Sembra una specie di meditazione, battiamo e rispondiamo cercando solo di tenere la pallina sul tavolo.
Ma il gioco è proprio cambiato, non trovi? Voglio dire, non stiamo più cercando di far sbagliare l’altro. Quando la pallina che ho lanciato è arrivata proprio lì sul bordo del tavolo e tu l’hai mancata ci sono restato malissimo. Volevo che riuscissimo a tenere la pallina in gioco, tutto qui.
Non ti stai stufando, vero? Ammetto di non essere uno sfidante alla tua altezza. Guarda come giochiamo piano!
Ops! Non me l’aspettavo. Mi è sembrato che la pallina perdesse un po’ la traiettoria. Sono dovuto arretrare in fretta per riportarla sul tavolo. Mi è piaciuto, comunque.
Sì, inizia ad andare per il verso giusto, come se stessimo veramente giocando insieme. Forse se arretrassi ancora un po’… Be’, forse così è troppo. Magari qui. Sì, qui va bene.
Hai visto che tiro? Proprio non pensavo di riuscire a prenderla.
Lo senti anche tu, vero? Anche se sei tanto più bravo di me nel ping-pong, senti anche tu che stiamo iniziando a giocarci bene insieme, vero?
Bel recupero! Proprio non pensavo che saremmo riusciti a salvarla, questa.
Ho detto «saremmo»? Sì, inizio a sentire che siamo in due a fare questo gioco. Voglio dire, abbiamo già giocato insieme altre volte. Ora non potrei giocare a ping-pong con te se tu non giocassi con me. Ma adesso riesco veramente a sentire che giochiamo ins...

Indice dei contenuti

  1. L’autore
  2. Premessa
  3. Prefazione alla nuova edizione
  4. Prefazione all’edizione originale
  5. Capitolo 1. Alla ricerca del buon gioco
  6. Capitolo 2. Linee guida
  7. Capitolo 3. La comunità di gioco
  8. Capitolo 4. Far andare avanti il gioco
  9. Capitolo 5. Cambiare il gioco
  10. Capitolo 6. Terminare il gioco
  11. Capitolo 7. Ancora!
  12. Capitolo 8. Persone, posti, cose
  13. Capitolo 9. Giocare d’azzardo
  14. Capitolo 10. Giocare per vincere e dover vincere
  15. Capitolo 11. Compimento
  16. Appendice. Un milione di modi (almeno) di giocare a biglie