Altrenapoli
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Altrenapoli

  1. 192 pagine
  2. Italian
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Altrenapoli

Informazioni su questo libro

Questo libro si interroga sul modo in cui alcuniscrittori e registi cinematografici hanno descritto ilrapporto tra intellettuali e plebe a Napoli dal secondodopoguerra a oggi e come esso si sia articolatoin alcuni momenti decisivi della storia della città.
Il popolo o la «classe» dotati di soggettività e unità, sorta di aristocrazia degli oppressi, sono stati soventeopposti alla plebe, considerata con disprezzocome un sottoproletariato manipolabile dal fascismoe dal populismo. Questa distinzione è troppo rigida.
Il capitale produce simultaneamente, continuamente, lavoro salariato e plebe e determina una trasmigrazionecontinua tra le due condizioni, secondo lacurva dominante del suo ciclo. L'esistenza dei senzavoce e dei senza parte non è un accidente dellastoria, o una sua fase arretrata, destinata a svanirecon l'estensione universale del lavoro produttivo: come il capitale – nelle più diverse parti del mondo– non può fare a meno di ricorrere alla violenzaper nulla estinta dell'accumulazione originaria, cosìcrea – strutturalmente – l'essere della plebe, l'ombraperturbante e minacciosa, in cui – a ogni crisi –minaccia di sprofondare anche il lavoratore piùqualificato. Il tempo che porta dalla plebe alla classequindi non è lineare, ma curvilineo, regressivo espezzato. L'inespressività miserabile – se considerata come un dato di natura, come prossimità alla condizioneanimale – non è che un mito: essa è prodottadalla distruzione di codici simbolici preesistenti odi una soggettività prima vitale. I senza voce hannoperso una parola che possedevano, sono stati espropriatidella identità originaria, e non hanno accessoal linguaggio astratto della modernità capitalista.

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Informazioni

La città senza grazia

1. In una prefazione scritta nel 1994 per una nuova edizione del libro1, Anna Maria Ortese sembra quasi turbata dalla violenza della sua scrittura di quarant’anni prima, rivolta contro Napoli e gli scrittori suoi amici, che costituivano allora l’élite intellettuale della città: una personale «nevrosi» l’avrebbe spinta a tanto, «un che di esaltato» ella avrebbe proiettato sulle persone e le cose. In effetti – dice la scrittrice – è la realtà in quanto tale, tutta e nel suo insieme, che ella detestava, patologicamente. Dopo aver scritto quel libro, non solo Ortese abbandonò Napoli, ma cambiò anche radicalmente modi di scrittura, affinando lo stile favolistico e le delicate trame per cui è più conosciuta, quasi arretrando di fronte all’orrore una volta intravisto2. Tuttavia, la violenza della scrittura di Ortese non nasceva solo da una «personale nevrosi». Forse nessun libro come Il mare non bagna Napoli (a parte il Diario d’Algeria di Vittorio Sereni) rende conto in modo tanto inflessibile dell’umiliazione e della disgregazione seguite alla disfatta della guerra, che il mito della «conciliazione nazionale» ha edulcorato e attenuato, se non addirittura cancellato dalla memoria. Come comprendere il disgusto e l’angoscia del capitolo del libro dedicato ai Granili, La città involontaria, se non come il riflesso nella realtà e nell’anima di chi scrive di un trauma storico collettivo, che pietrifica ogni forma di reazione e di umanità? È vero che il degrado e la miseria della plebe di Napoli hanno radici e storia più antiche: ma in quella forma e con quella radicalità sono indissociabili dalla decomposizione delle forme di vita più elementari, seguita al periodo dell’occupazione e della sconfitta. Non è simile la Napoli del dopoguerra descritta da Ortese alla Berlino distrutta di Germania anno zero di Rossellini? In effetti alcuni dei personaggi caduti nell’inferno dei Granili evocano una vita perduta, come il maestro Cutolo: «Lo guardavo, e mi pareva che quel viso me ne ricordasse un altro. Improvvisamente, ritrovai l’uomo ch’era stato vent’anni prima, quando chi scrive abitava in un edificio sito nella zona portuale della Napoli d’allora, piena di traffici, di bandiere, di vele, di carichi, e dell’allegria del denaro» (84). Ma la sua casa è stata distrutta dalla guerra ed è finito ai Granili. È vero però che in altre parti del libro questa rovina storica assume piuttosto una dimensione metafisica di destino e di fato naturale.
Nota 1. In che misura la cultura italiana dopo il secondo conflitto mondiale ha dato testimonianza del trauma storico della disfatta e della guerra civile? Come ha notato Claudio Pavone3, essa ha preferito in molti casi la rimozione e l’oblio, privilegiando la grande immagine di riscatto offerta dalla Resistenza e trascurando la differenza esistente tra il Nord e il resto del paese. Se i partigiani del Nord, nella realtà, avevano ben presente lo stato di umiliazione e di oppressione contro cui combattevano, nella conciliante ricostruzione togliattiana e democristiana degli anni Cinquanta la Resistenza perde il suo carattere di rivolta politica e diviene l’atto di fondazione di una Unità del popolo italiano, superiore a ogni scissione e divisione di classe. L’immagine mitica occupa il posto della dialettica reale. In quel contesto storico, una naturalis oboedi...

Indice dei contenuti

  1. Pezzella_00
  2. Pezzella_00a
  3. Pezzella_00b
  4. Pezzella_00c
  5. Pezzella_00d
  6. Pezzella_00e
  7. Pezzella_01
  8. Pezzella_02
  9. Pezzella_03
  10. Pezzella_04
  11. Pezzella_05
  12. Pezzella_06
  13. Pezzella_07
  14. Pezzella_08
  15. Pezzella_09
  16. Pezzella_10
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