J. F. Kennedy. Una non-biografia
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J. F. Kennedy. Una non-biografia

Informazioni su questo libro

Marisa Deswaef, belga residente da tempo in Italia, si riconosce nella gioventù degli anni '60 che vide nel presidente Kennedy una speranza. Come la maggioranza dei belgi, legati alla loro monarchia, anche lei vedeva in Kennedy un re, come spesso la stampa d'allora lo descriveva, e nella famiglia Kennedy una famiglia reale. Le pallottole spazzarono via come un fulmine a ciel sereno le speranze di tutta una generazione che ancora oggi lo rimpiange.----In questo volume Marisa Deswaef raccoglie il frutto di un lungo lavoro di ricerca e di passione, iniziato con la stesura della tesi di laurea e incoraggiato epistolarmente anche da Ted Kennedy, un lavoro dal quale la vita e la figura di John Fitzgerald Kennedy emergono tassello dopo tassello da un intricato mosaico di cronache, racconti, citazioni, aneddoti e testimonianze.

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Informazioni

oblò
Grafica: Stefano Roffo
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I diritti d’autore verranno tutelati a norma di legge.
Marisa DeSWaef
J.F.Kennedy
Racconti, testimonianze, aneddoti e curiosità
del presidente più amato
PREFAZIONE
John F. Kennedy “entrò” nella nostra vita, della mia famiglia e mia, all’inizio del 1960 quando dichiarò di essere candidato alla Presidenza degli Stati Uniti. Anche se eravamo, i miei fratelli ed io, soltanto dei bambini, nostro padre amava che ci interessassimo pure alla politica. Dio sa quanti discorsi di de Gaulle ci fece “sorbire”. Kennedy era nostro favorito perché rappresentava la giovinezza, la speranza, l’avvenire. Mi rivedo a tavola con la mia famiglia durante la cena ad ascoltare alla radio (un transistor verde) praticamente tutte le sere, l’evoluzione della campagna elettorale: prima le primarie, in seguito le presidenziali. Si, tutte le sere, Europe nr.1 (se non sbaglio) dava un riassunto di qualche minuto. Da gennaio a novembre, il giorno dell’elezione, Kennedy si era insediato a casa nostra. Lui, senza saperlo, noi senza rendercene conto.
Il risultato definitivo delle presidenziali con il fuso orario non arrivava mai. Anzi, Nixon riagguantava il divario delle preferenze... e dovemmo andare a dormire, era notte. Al mattino ricordo che Papà venne a svegliarmi per andare a scuola annunciando che Kennedy aveva vinto. Che felicità volevamo festeggiare ma la campana della scuola suonava alle 8.30.
Un mese dopo c’erano gli esami di Natale e i titoli dei temi erano ben tre. Scelsi “Suspense” e descrissi la notte di quel famoso giorno di novembre che aveva finalmente aperto le porte della Casa Bianca a John Kennedy. Il mio prof doveva essere democratico… perché ebbi il miglior voto della mia classe.
Il tempo passò e il grado della nostra stima saliva e scendeva secondo gli eventi, ma Kennedy rimaneva comunque un punto fermo. Passava regolarmente sul piccolo schermo e dunque faceva parte della vita di tutti i giorni. Avevamo letto il suo “Profiles in Courage”, eravamo a conoscenza del suo atto di coraggio durante la guerra. Quando avvenne la Crisi dei Missili di Cuba ero in un collegio inglese e le ragazze originarie di varie e lontane parti del mondo erano terrorizzate dal dover forse affrontare una guerra distante dalle loro famiglie e paesi.
In piena crisi una notte, una fabbrica ubicata vicino al School “pensò” di far suonare la sua sirena... e ci ritrovammo suore e collegiali, certune in lacrime e in panico, nei corridoi a caccia del LA notizia che meno male grazie a Kennedy non cadde mai. Aveva a cuore la sorte di tutti i giovani.
Quel giorno fatidico del 22 novembre ero a casa, sola con la nostra tata. I miei genitori erano invitati a un gala. I miei fratelli erano all’università. Così mi ritrovai da sola davanti alla televisione a seguire il telegiornale. La vigilia avevano inaugurato un telex speciale che collegava Bruxelles e dunque quel che allora si chiamava il Mercato Comune e la sua capitale, con Washington e New York. Terminata la sigla vidi il presentatore in lacrime, nell’impossibilità di parlare. Pensai «se hai dei problemi perché non startene a casa». Si riprese dopo pochi secondi e disse: “Kennedy è stato vittima d’un attentato a Dallas, sarebbe morto. È il primo telex che ci giunge sulla nuova linea!!!” Scoppiai a piangere. Maria, nostra tata, entrò in salotto e, vedendomi piangere si domandò cosa mi succedeva, ma ebbe la mia identica reazione.
I miei genitori tornarono tardi nella notte. Quel gala di beneficenza era stato tenuto all’oscuro della notizia, anche se un attimo il sindaco d’Ostenda soffiò nell’orecchio di mio padre incredulo: “Kennedy è stato colpito in un attentato”. Mia mamma che non aveva mai vinto niente nelle lotterie quella sera guadagnò una piccola abat-jour in ottone che maledisse visto che le ricordava l’orrore di quella data.
Leggere in seguito tutti i libri pubblicati da: sua mamma, suoi fratelli, suoi amici, suoi collaboratori, non fu che un seguito logico. Scrivere una tesi? Non poteva avere che un unico soggetto nella persona del 35° Presidente degli Stati Uniti John F. Kennedy. Fu molto apprezzata e allora ho voluto farne un lavoro più approfondito a 50 anni della sua elezione e oggi purtroppo a 50 anni del suo assassinio.
Gradirei tanto che i giovani imparassero a conoscere quest’uomo e prendessero esempio da lui, che avrebbe potuto benissimo trascorrere giornate liete in ozio in riva al mare o sulla sua barca. Ma voleva cambiare il mondo. Voleva vederlo vivere in pace, e credo di non essere lontana dalla verità se mi è permesso di pensare che la ricerca della pace gli fu fatale. Solo la guerra e le armi fruttano!!! Questa lunga ricerca è il mio umile modo di attizzare la fiamma che arde per sempre sulla sua tomba.
“Do not pray for easy lives.
Pray to be stronger men.”
“Non pregate per vite facili.
Pregate per essere uomini più energici.”
John F. Kennedy
“A man does what he must –
in spite of personal consequences,
in spite of obstacles and dangers and pressures –
and that is the basis of all human morality.
“Un uomo fa il suo dovere
– malgrado le conseguenze personali,
malgrado gli ostacoli, i pericoli e le pressioni –
e questo è la base di ogni moralità umana.”
John Fitzgerald Kennedy
“Profiles in Courage”
INTRODUZIONE
1961... un po’ più di cinquanta anni fa il 35° Presidente degli Stati Uniti d’America
John Fitzgerald Kennedy
entrava alla Casa Bianca.
“KENNEDY”
Un nome che spesso abbiamo sentito pronunciare. Un nome che ci risulta quasi famigliare, per aver letto qualcosa su varie riviste, per la nomea della famiglia....
Un terribile attentato il 22 novembre 1963 a Dallas, Texas, mise fine alla sua Presidenza. Più che alla sua Presidenza mise fine ad una “SPERANZA” che le generazioni d’allora riponevano in lui.
“Con lui l’America ha perso un sogno splendido!” disse suo fratello Robert.
La sua morte improvvisa fece di lui un eroe.
Cinquanta anni dopo la domanda è:
Chi era Kennedy?
Che Presidente è stato?
Come era l’uomo Kennedy?
Tenterò alla luce di racconti, testimonianze ed aneddoti dei suoi fratelli e famigliari, dei suoi più stretti collaboratori ed amici di dare una risposta a queste domande e cosi di trasmettervi l’immagine di John Kennedy, Jack per gli intimi.
JFK
Quel che rende il giornalismo cosi affascinante, mi disse un giorno JFK, e la biografia cosi interessante, è lo sforzo che dobbiamo fare per rispondere a questa semplice domanda:
Come è questa persona?
Ebbene JFK era cosi ai tempi e luoghi nei quali ci siamo conosciuti e visti.
Un essere pieno di “charme”, allegro, bizzarro, spiritoso, malizioso e che si lasciava stuzzicare, perdonando tutto, affamato di sapere, incapace di esprimere una banalità, sempre in movimento, interessante e interessato, esuberante, schietto, irriverente e tenero. Era un insieme di tutto questo, ed anche qualcosa di più!!!
(Benjamin C. Bradlee: “Conversazioni con Kennedy”)
Jack Kennedy si definisce
Un giorno Jacqueline Bouvier, sua futura moglie gli chiese come Jack si definirebbe:
“Un idealista senza illusioni”, rispose. Ed una settimana prima del loro matrimonio, settembre 1953, Jackie gli chiese quale era la sua più grande dote ed il suo maggior difetto. Jack pensava che la sua più grande dote fosse il “suo essere curioso di conoscere le cose” ed il difetto maggiore “l’irritabilità”. Con irritabilità intendeva l’intolleranza verso ciò che annoia, la banalità e la mediocrità. Per curiosità intendeva, più che una caratteristica intellettuale, la fame d’esperienza che lo portò a vivere un’esistenza intensa e febbrile. “Viveva a questo ritmo, disse più tardi Jacqueline, perché voleva essere a conoscenza di tutto. Sembrava essere conscio che non aveva tempo da perdere.”
(Arthur Schlesinger Jr.: “The Thousand Days”)
La brillante carriera di John Kennedy, per gli amici ed intimi Jack, s’interrompe a metà strada, quel maledetto venerdì a Dallas. L’attimo in cui la notizia cadde rimane nitida a quella generazione.
È la data della sua morte che tutti ricordano, non la data di nascita. La storia sembrò fermarsi....
e quando lo shock fu passato iniziò la mistificazione di “ciò che avrebbe potuto essere”.
Una ventina d’anni dopo la sua morte Gallup fece un sondaggio d’opinione: la domanda era:
“di tutti i Presidenti degli USA quale vorreste oggi come Presidente”? Kennedy vinse con 30%, secondo F.D.Roosevelt 10%, e cosi via!!! La seconda domanda era: “pensate che la società americana sarebbe stata diversa se JFK non fosse stato assassinato”? Si 65 %, No 23%, Non so 12%
Il mito non ha lasciato spazio ad un giudizio obiettivo. La sua immagine è ben presente nella generazione d’allora e non tiene conto delle sue effettive realizzazioni. Molto probabilmente non è stato abbastanza a lungo Presidente per poterlo giudicare con i soliti criteri.
(Time)
Qualche anno dopo la sua morte un reporter chiese a Robert Kennedy: “Cosa ti manca di più di tuo fratello?” “Semplicemente il fatto che non sia presente!!!”
Questa risposta riflette il sentimento di tutti quelli che hanno avuto la fortuna di conoscerlo da vicino. Pensate che nei sondaggi è apparso che 98% delle persone interrogate ricordano con precisione dove erano e cose stessero facendo nell’attimo in cui vennero a sapere della morte di JFK. Sessanta percento si sentirono coinvolti come della perdita d’un parente.
Quando morì, il cinquanta percento ebbe il sentimento che gli fosse stato tolto una grande speranza per l’avvenire.
Questa speranza, quest’uomo, se avesse vissuto, avrebbe cambiato il mondo scrissero le scolaresche.
Kennedy ha realizzato certi obbiettivi.
Con il suo ingresso alla Casa Bianca cancellò per sempre il tabù religioso dalla politica americana.
Quando Edmund Muskie lanciò la sua candidatura per le elezioni presidenziali il fatto d’essere cattolico venne considerato un dettaglio biografico.
Kennedy era il brillante primo attore di una nuova generazione politica in America.
Portò gioventù e idealismo, “charme” ed eleganza alla Casa Bianca.
Diede un tocco di freschezza alla politica per via della sua convinzione che il mondo poteva essere cambiato, che l’improvvisazione intelligente poteva realizzare dei miracoli.
Poco prima di morire Kennedy stava uscendo dalla tempesta della “guerra fredda”.
Era giunto ad un accordo convincente per mettere fine agli esperimenti delle armi nucleari.
Aveva un progetto per la sanità e per i diritti civili.
Lanciò la sfida dello spazio e la conquista della luna…
La pace
Nel Campus dell’American University in California, giugno 1963, Kennedy tenne il più importante discorso in materia di politica estera e forse una delle sue migliori prestazioni d’oratore della sua vita. L’indomani la stampa pubblicò il testo integrale di quello che Jackie Kennedy e gli storici considerarono in seguito uno dei tre migliori “speech” insieme al suo discorso inaugurale e il suo “messaggio” a Berlino, due settimane dopo.
Affrontò quello che lui chiamò “il più importante dei problemi che vi sia sulla Terra: la pace mondiale”. “Per pace, disse, non intendo una Pax Americana imposta al mondo con le armi americane, né intendo la pace della tomba o, la sicurezza dello schiavo. Intendo una pace che permetta agli uomini e alle nazioni di crescere e di sperare, e di costruire una vita migliore per i loro figli, non semplicemente una pace per il nostro tempo, ma per sempre. Nell’era nucleare, la pace è diventata lo scopo necessario e razionale di uomini razionali”.
Ripeté tale concetto più esplicitamente diciotto giorni dopo nel suo discorso davanti al parlamento irlandese, quando disse: “Noi dobbiamo ricordarci che, al di là degli abissi e delle barriere che oggi dividono il mondo, non vi sono nemici irriducibili. L’ostilità è oggi un fatto reale, ma non una legge assoluta. La realtà suprema del nostro tempo è che siamo figli di Dio e che su questo pianeta siamo tutti ugualmente vulnerabili”.
Giorgio Torelli, un giornalista italiano, racconta: “Un giorno approdai su un isolotto delle Isole Fidji, scampandomela per poco da un tifone. Un isolotto in mezzo all’Oceano dove gli alberi da frutta sono la cosa più preziosa e uccelli paradisiaci la fanno da padrone. Attraccai a una piccola banchina di legno. Avevo una valigetta rossa ed ero attorniato dagli indigeni a torso nudo. Potevamo capirci soltanto a gesti. Unicamente il capotribù parlava un po’ d’inglese allorché mi scortava verso una grande capanna con un tetto di rami…
Lì, in mezzo alle conchiglie dell’oceano, Kennedy sorrideva, a colori. La sua foto era appesa a
un pannello di legno c...

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  2. Sommario
  3. PREFAZIONE