PARTE SECONDA
I TESTIMONI
Rex, Conte di Savoia e Augustus nel porto di Genova
CAPITOLO PRIMO
I TESTIMONI DIRETTI
Piero Ottone
C’è un bambino che sta camminando verso la spiaggia. Si chiama Piero Mignanego, vive a Cornigliano e ha sette anni. È una mattina d’agosto del 1931. Piero sta raggiungendo i “Bagni municipali Nettuno”, sulla spiaggia di Multedo, nel ponente genovese. Sa che quella è una mattina speciale, perché sta per accadere qualcosa di grande, di unico, come sente dire da giorni in famiglia. A casa gliene ha parlato il padre Giovanni Battista, detto Nanni, rappresentante per l’Italia della società americana United States Rubber Company. Lo ha sentito dire a scuola, dal suo maestro, e subito si sono accese le discussioni con i compagni. Ne hanno parlato anche ai bagni Nettuno, che sono in una posizione privilegiata per assistere allo spettacolo. A poche centinaia di metri di distanza, infatti, c’è il cantiere Ansaldo di Sestri Ponente, da cui escono le grandi navi. E quella mattina sta per essere varata la più grande di tutte, la più bella, la più imponente, il “Rex”. Il transatlantico, a fianco del quale è stato montato un palchetto d’onore per ospitare il re Vittorio Emanuele III e la regina Elena, scivolerà dallo scalo del cantiere nell’acqua per la sua prima prova di galleggiamento. È il momento più suggestivo, quello dell’incontro con l’ambiente per cui è stato costruito, l’acqua salata. E Piero è lì, distante dalla folla che ha invaso il cantiere di Sestri Ponente, ma vicino allo scafo del gigante.
“Ricordo la città euforica – racconta Piero Mignanego, più noto come Piero Ottone, nome scelto all’inizio di una carriera di giornalista e di scrittore densa di successi e che dura da quasi settant’anni – I tram verso Pegli si muovevano strapieni di gente, c’erano persone fin sui predellini, una schiacciata all’altra”. Tutti si spostano verso Sestri, chi ha il biglietto entra in cantiere, tutti gli altri prendono d’assalto spiagge e ogni altro punto da cui si possa vedere la scena. Piero entra ai bagni e va verso la spiaggia. Ai Nettuno lo spettacolo si osserverà da una panchetta di legno che il bagnino mette sul bagnasciuga, a pochi metri dal mare.
“L’immagine che è rimasta nei miei occhi e nel mio cuore – spiega Piero Ottone – è quella di un grande scafo, rosso di minio, che scivola in mare. E fa rumore, tanto rumore, sollevando pure una grande onda che arriva rapida ai nostri bagni e si infrange sulla spiaggia, contro di noi, lasciandoci tutti bagnati. Nessuno, infatti, si era mosso dal bagnasciuga. Tutto era rimasto immobile davanti a un evento che avrebbe dato a quell’Italia una gloria mondiale”.
Nessuna nostalgia, in queste parole. Verità, piuttosto. Perché nel suo soffio di vita, tredici anni soltanto sette dei quali passati avanti e indietro per l’oceano Atlantico, il Rex si impose non solo come la nave più veloce del mondo, vincitrice del Nastro Azzurro nel 1933, ma anche come quella più tecnologicamente avanzata e quella più raffinata nei suoi arredi e nei suoi spazi interni. Un primato che poche altre volte l’Italia ha potuto sbandierare.
Piero, che più tardi diventerà grande appassionato di vela, in quell’estate del 1931 ha già la passione per le barche. Ai giochi da spiaggia, alle biglie da far correre su improvvisati e tortuosi circuiti di sabbia, lui preferisce una piccola lancia, la “Cincia”, che il bagnino mette in acqua quando le condizioni del mare lo permettono. “Io mi imbarcavo sulla Cincia e remavo avanti e indietro – racconta – ero capace di starci anche tutto il giorno ed ero triste quando, arrivando alla spiaggia, vedevo il mare increspato. Con le onde, infatti, la Cincia restava sulla spiaggia. E allora, con grande delusione, mi dedicavo alle biglie”. Anche un ragazzino di sette anni avverte forte l’orgoglio per quel transatlantico che ha appena trovato il suo mare. “Sentivamo di far parte di un grande Paese, con le navi più importanti del mondo – spiega – Per noi era un fatto scontato, lo sapevamo”. Arriveranno presto i dubbi su quell’Italia, le leggi razziali, l’entrata in guerra, l’ineluttabilità della sconfitta. Ma in quella mattina di agosto c’è solo orgoglio. A casa, il padre racconta a Piero la storia del Nastro Azzurro, che cos’è, come si conquista. E gli spiega che il Rex cercherà di vincere questa sfida il più presto possibile. I ricordi corrono veloci nella mente di Piero Ottone. Dal varo si arriva agli anni del liceo, poi la guerra, la liberazione, l’inizio della professione, il primo maggio del ‘45. E poi il mestiere che proietta subito Ottone sulla scena internazionale, Londra, Bonn, Mosca, Parigi, reportage e corrispondenze favorite dalla sua straordinaria conoscenza delle lingue straniere (inglese, francese, tedesco). E ancora la carriera italiana che lo porterà fino alla direzione del Corriere della Sera. Si arriva così a un presente che non soddisfa certo Ottone. “Diciamolo, siamo un paese di serie C – spiega – Noi che abbiamo avuto politici come Alcide De Gasperi e imprenditori come Enrico Mattei, come abbiamo fatto a scendere così in basso? Se penso a quello che l’Italia ha rappresentato nel mondo, dal Rinascimento in poi, quando eravamo molto più evoluti e civili di Francia, Inghilterra e Paesi Bassi, provo un po’ di fastidio di fronte alle tristezze di oggi”. Ci sono però peculiarità, eccellenze, che emergono dalla mediocrità del quotidiano. “Chiamiamole isole di gloria, realtà di una grandezza assoluta, in grado di competere con chiunque a livello internazionale – aggiunge – Quali sono queste tre eccellenze? La prima è la Banca d’Italia, istituto stimato e considerato da tutti i grandi organismi finanziari. La seconda è il ministero degli Esteri, nella capacità dei suoi rappresentanti diplomatici e dei suoi funzionari. Ho visitato le ambasciate italiane di mezzo mondo e ho sempre trovato una preparazione e una conoscenza dei problemi davvero lodevoli. La terza è il mare. Quest’Italia spesso scadente sul mare diventa eccellente. L’esempio del Rex, ma anche quello del Conte di Savoia, da questo punto di vista sono ideali. Tanto di cappello a questi transatlantici che tutto il mondo ci ha invidiato, non solo per il prodotto finale, ma per come sono state condotte le operazioni, dalla progettazione al finanziamento fino alla gestione. Ritengo che queste due navi abbiano rappresentato l’apice della capacità italiana nella costruzione navale. Ma farei un torto a dimenticare quello che è accaduto ed è arrivato fino a noi”.
L’arrivo dei reali d’Italia alla cerimonia di varo
Il momento dell’entrata in acqua dello scafo
Un’altra immagine del varo
Passare in rassegna la storia della marineria italiana sarebbe lungo. Ma alcune stelle non hanno mai smesso di brillare, nemmeno quando si sono spente, perché il ricordo le ha tenute ancora vive e lucenti.
“Per un americano attraversare l’Atlantico sul Rex era un evento glorioso, il massimo che si potesse chiedere allora – ricorda ancora Ottone – Era una nave che gareggiava in lusso, bellezza e velocità con la Queen Elisabeth e il Normandia. Ma abbiamo avuto una grande stagione anche più avanti. Penso alla Michelangelo e alla Raffaello. E se oggi la Fincantieri è il primo gruppo mondiale nella costruzione di navi da crociera, questo non è affatto casuale”. Ecco allora che l’antica gloria passata arriva indenne fino a noi, trainata da un filo invisibile. “I nostri successi nel campo della Marina, intesa come mercantile e militare, ma anche come tecnologia e conoscenza, sono stati una costante, per tutti questi secoli – conclude Ottone - E mi piace pensare al Rex come a un simbolo, ma anche un segno di questa nostra eccellenza. La conferma che poi, tutto sommato, non siamo proprio da buttare”.
Ezio Starnini
Quanto mare davanti ai miei occhi prima di arrivare a casa di Ezio Starnini, il giovane ascensorista imbarcato sul Rex nel suo viaggio inaugurale il 27 settembre del 1932.
Il treno che da Quarto dei Mille a Chiavari sosta in ogni stazione, regala immagini sorprendenti. Il mare, oggi placido e solo un po’ meno azzurro per la pioggia, spunta dopo ogni galleria. E poi i i pini marittimi che si allungano verso la costa e le case colorate di giallo. Fotogrammi di una Liguria magica che, purtroppo, si dimenticano con facilità, per fare spazio a stati d’animo incerti, polemiche, tensioni. Difficile vivere serenamente, in questi tempi di crisi. Ma proprio guardando al suo territorio, al suo mare e alle sue colline verdi, la Liguria dovrebbe ritrovare gli spunti per riassaporare quel primato che a lungo le è appartenuto. Nel Medioevo era la finanza, poi ai tempi della Repubblica Superba, erano i commerci. E dall’Ottocento è stato il mare a scrivere una storia vissuta sempre da protagonista: i cantieri, le navi, i porti.
Inizia da qui, con lo sguardo teso verso il futuro, il mio incontro con Ezio Starnini, 97 anni portati con una sorprendente naturalezza. Mi attende sulla porta del suo appartamento che si affaccia sul mare di Chiavari e mi guida in una sala gonfia di coppe e di attestati, frutto della sua attività di scrittore e poeta, con un piccolo quadro del Rex a far da cerniera a tutto quanto.
Mi squadra e mi chiede delle mie origini, rivelandomi con grande candore che mi avrebbe preferito “genovese dalla nascita”, e non soltanto d’adozione. Ma questo non è certo un freno al suo racconto, reso ancor più scorrevole, per quanto mi riguarda, da un vermouth rosso.
In un attimo siamo già negli anni Trenta. Starnini non ha ancora compiuto sedici anni quando si imbarca sul Rex. E non è nemmeno il suo primo viaggio. “Avevo già compiuto la mia prima traversata sul Giulio Cesare qualche mese prima – racconta Starnini, classe 1916, genovese d’origine e chiavarese dagli anni Settanta, seduto sul divano della sala insieme alla moglie Flora, con la quale ha appena festeggiato i suoi primi settant’anni di matrimonio – Ero sceso a maggio e mi ero presentato alla Chiamata, trovando un nuovo imbarco sul Rex. Ricordo l’emozione per quell’imbarco. Era il gioiello della nazione, se ne parlava continuamente”. Anche l’esperienza sul Rex si sarebbe conclusa per Starnini con un solo viaggio, quello inaugurale, prima di spostarsi sul Conte di Savoia, per quattro anni, e passare poi al servizio militare. Ma in questa fine estate del ‘32 per Ezio l’unico pensiero è la partenza sul re dei transatlantici. Il compito che gli hanno affidato è quello di ascensorista e la compagnia lo manda in una sartoria di via XX Settembre per ritirare la divisa che dovrà calzargli a pennello.
“Quanti personaggi famosi ho visto alla partenza – racconta divertito – Salivano attori del cinema, cantanti d’opera, sportivi, uomini politici e religiosi. I passeggeri della prima classe arrivavano direttamente dal tunnel che collegava l’hotel Miramare alla Stazione Marittima. Io ero contento, felice, perché coronavo il mio sogno e anche perché speravo di fare qualche soldo in più della mia paga con le mance. Ma sono stato bravo, ho dato buoni risultati. E quando sono tornato a Genova mi hanno trasferito sul Conte di Savoia, dove sono rimasto quattro anni arrivando alla qualifica di “garzone di prima scelta con conoscenza inglese”. Un’esperienza straordinaria”.
Proprio il mare, infatti, diventa per Starnini una sorta di pretesto per formarsi alla vita di terra, quella che lo attende dopo quasi cinque anni di navigazione. “Gli anni passati in mare sono stati fondamentali non solo per gli incontri che ho avuto e i luoghi che ho visitato – spiega – ma anche perché, mentre navigavo, trovavo il tempo per studiare. Così, quando sono sceso a terra, ho potuto prendere il diploma di ragioniere. E una volta terminato il servizio militare, ho potuto imbarcarmi in una vita diversa. In fondo, il mare mi aveva dato la possibilità di vedere il Sud America e il Nord America. Mi ritenevo soddisfatto. Ora, con il mio diploma di ragioniere e la conoscenza della lingua inglese, potevo iniziare una nuova vita. Infatti, mi impiegai come contabile in una società petrolifera dove rimasi fino alla pensione, nel ‘73”.
Man mano che procede il racconto, si svela anche la formula della longevità di Ezio Starnini. Un uomo che, vivendo più di una vita, ha potuto avvicinarsi allo straordinario traguardo del secolo. Dopo la pensione, infatti, Starnini si trasferisce a Chiavari e qui può iniziare una nuova vita, quella di scrittore, poeta e saggista, che non si è mai interrotta e che l’ha portato, nel 2012, alla pubblicazione del suo ultimo lavoro, il romanzo “Il tassello mancante”.
“Quando navigavo leggevo anche molti libri – spiega – ero diventato amico del bibliotecario e quindi integravo i miei studi con la lettura di libri di ogni genere. Un’esperienza fondamentale, che ho continuato anche durante il mio lavoro di contabile. Così, quando sono andato in pensione, è venuto naturale per me iniziare a confrontarmi con la scrittura”.
Starnini si alza dal tavolo e va alla libreria. La moglie Flora lo segue con lo sguardo. “È lei il segreto della mia vita – dice tornando a sedersi con le mani piene di libri – Ci siamo sposati nel ‘43, quando l’Italia era in pieno marasma. Io ero un soldato, ferito a una gamba, lei un assistente sociale. Dopo il matrimonio, per sfuggire ai tedeschi, sono andato in montagna con i partigiani della Valcedra, nel Parmense. Fuggiasco in Valcedra, come il titolo di un mio libro, anche se questo è ambientato nell’Ottocento. Poi, nell’aprile del ‘45, sono sceso a Genova e ho partecipato alla Liberazione”.
Il Rex alla partenza del suo viaggio inaugurale
La squadra di basket del Conte di Savoia con il pugile Primo Carnera. Starnini è il primo seduto a sinistra
I pensieri di Starnini corrono con rapidità. E la sua mente viva si illumina davanti ai ricordi. “Mi chiede come ho fatto ad arrivare fino a oggi – risponde sorridendo a un quesito scontato, ma inevitabile – Non ho mai avuto odi per nessuno, mai rancori, ho vissuto e vivo con animo sereno, cercando sempre di scacciare i pensieri negativi. E mi dedico alle mie passioni, mettendomi in gioco ogni giorno. Lo studio e la lettura mi hanno dato la possibilità di conoscere e di approfondire. E questo si è tramutato nella scrittura, la mia passione ...