Se
è vero che il mondo di oggi è lontano da Cristo, se dobbiamo
dolorosamente constatare quanto siano spesso ignorati e incompresi
i supremi valori del cristianesimo e come molti, troppi battezzati
vivano completamente fuori della Chiesa da pagani, non possiamo
però dimenticare che il mondo di oggi ha un’ansia veramente
cristiana di giustizia e di pace, che, – stanco per tanti
esperimenti falliti – l’uomo cerca un’idea trascendente che
illumini la sua vita e le dia un senso.
Il cristiano vero opera dunque in queste condizioni difficili ma
anche favorevoli: è necessario, perché la sua opera di diffusione
della parola di Cristo possa essere fruttuosa, che in lui divenga
sovrabbondante la vita interiore e che i metodi e i mezzi del suo
apostolato siano adeguati alle particolari esigenze dei tempi. Con
l’istituzione dell’Azione Cattolica si è già compiuto un
notevolissimo passo innanzi in questa via: l’unione dei laici in
associazioni che vivono con il proprio assistente inserite nella
Chiesa, permette più continuativamente un’opera di formazione
completa dell’individuo rendendo più fervida la vita di pietà, più
intimo – nella collaborazione di tutti – il contatto col Signore,
più profondo e vivo il senso della comunità. Ma l’Azione Cattolica
tende anche, per la sua stessa definizione, ad agire per
diffondere, fra tanti che non credono, la parola di Cristo: l’opera
del laico permette infatti più facilmente la santificazione della
famiglia, della professione, della società e rende più continua,
per la sua mediazione, l’opera di ammaestramento e di
santificazione che la Gerarchia Ecclesiastica è chiamata a svolgere
in ogni settore della vita sociale.
Ma nel momento presente, se deve essere compito di tutti coloro
che vogliono riportare la società a Cristo, un’opera di
perfezionamento delle strutture e dei metodi di lavoro dell’Azione
Cattolica, ci sembra che ulteriori passi ci siano da fare e che un
rinnovamento di tutta la vita cristiana sia necessario. Forse non
si tratta tanto di escogitare nuove formule più o meno felici
quanto di effettuare un ritorno a quelle che erano le prime e più
genuine forme di vita cristiana.
In questa sede non possiamo certo essere noi – che del resto non
ne avremmo la competenza necessaria – a formulare delle proposte;
ci contentiamo quindi solo di riportare alcune interessanti
esperienze che il clero francese è venuto facendo in questi anni e
che ci sono presentate da un’interessante collana di
«Documentazioni ed esperienze pastorali» edite dalla editrice
Morcelliana di Brescia.
Partendo da un’analisi onesta e cruda anche se dolorosa della
attuale situazione in Francia (e molto impulso ha dato a questa
serena critica il famoso libro di
Don Godin e Don Daniel:
Francia, paese di missione?) il clero francese è giunto ad
individuare le principali deficienze che esistono nella vita
cristiana di oggi, e sulla base di ciò ha indicato le varie vie da
seguire per un risanamento completo che permetta un più rapido ed
efficace ritorno a Cristo.
L’attenzione si è innanzi tutto rivolta alla Parrocchia.
Nei giorni 23-27 aprile del 1946 si è riunito a Besançon
[1] un Congresso con oltre 1.800 partecipanti tra
sacerdoti del clero diocesano e regolare, assistenti di Azione
Cattolica, parroci di campagna e di città, professori e rettori del
Seminario e in più circa 300 suore rappresentanti delle
Congregazioni che svolgono la loro missione nella parrocchia. Nel
discorso di apertura tenuto da S. E. Mons. Dubourg Arcivescovo di
Besançon si è innanzi tutto affermata l’esistenza di un problema
della parrocchia: «Sarebbe ben cieco chi non lo vedesse e ben
ostinato chi cercasse di negarlo (il problema). Lo stato
compassionevole delle chiese di Francia di cui parlava un giorno
Maurizio Barrés non è che la conseguenza dello stato
compassionevole di tante nostre parrocchie… Accanto a tante nostre
parrocchie di campagna, che in molte regioni della Francia
languiscono per mancanza di sacerdoti che vi dimorino, ci sono
quelle che muoiono – e che sono già morte – per mancanza di
abitanti e quelle più numerose, ahimè!, in città e in campagna che,
vittime della scristianizzazione di questa nazione, hanno bisogno
per rivivere che s’inoculi loro del sangue nuovo.
Esiste un problema delle parrocchie anche per un altro motivo.
Vi è un fatto innegabile e dolorosissimo per il cuore dei veri
pastori: molti cristiani, che vogliono vivere la loro fede, vanno a
cercare fuori della comunità parrocchiale il nutrimento spirituale
di cui le loro anime hanno fame». È necessario, dice l’Arcivescovo
di Besançon, studiare il problema della parrocchia per rendere
questa istituzione fattiva e conquistatrice. «Essa non deve essere
una istituzione vetusta che termina di morire. Deve essere un’opera
vivente che partecipa dell’eterna giovinezza della Chiesa, la
quale, forte del suo passato, preoccupata di adattarsi ai bisogni
presenti, fiduciosa nella grazia di Dio, non teme né le
contraddizioni né la concorrenza. La Parrocchia non è proprietà di
un uomo per quanto intelligente e attivo; è cosa di tutti o, più
esattamente, un’opera alla quale tutti collaborano.
La parrocchia non è una fortezza che si erge orgogliosa e fiera
di fronte alla città terrena, considerata come una rivale. No, essa
è e deve essere una casa di famiglia, accogliente, felice di aprire
le sue porte a chi vuole adorarvi Dio e farlo penetrare nella
propria vita. La parrocchia non è un’amministrazione severa e
inaccessibile ai sentimenti umani. Dev’essere un focolare dove ci
si ami, anche senza conoscersi, perché si ha tutti un’origine
comune e si lavora per la stessa causa.
Non è una sovrapposizione di individui che nei giorni di
domenica e di festa si radunano alla rinfusa in chiesa, con grande
scandalo di certe persone distinte che soffrono per questa
promiscuità e con imbarazzo forse maggiore di coloro che soffrono
di essere relegati, perché mal vestiti, in un angolo. Essa è, e
deve essere, una fraternità dove ci si aiuta reciprocamente perché
non è solo il povero che ha bisogno di essere soccorso, ma anche il
ricco ha bisogno dei servizi del povero.
La parrocchia non è un corpo senz’anima. È innanzi tutto uno
spirito che anima e vivifica un corpo. Non è, non deve essere un
ostacolo allo sviluppo delle opere, ma al contrario dev’essere il
luogo di incontro di tutti coloro che in organizzazioni diverse
lavorano, agiscono, combattono per l’estensione del Regno di
Dio».
Cercando di chiarire ulteriormente quale sia la natura della
parrocchia si è specificato che essa non deve essere considerata un
beneficio (e la parrocchia sarà nella Chiesa ciò che deve essere,
solo il giorno in cui si assegneranno i sacerdoti alle parrocchie
in funzione delle capacità di lavoro, in modo che per esempio i
migliori sacerdoti siano naturalmente mandati nelle cattive
parrocchie); non dev’essere soltanto una circoscrizione
amministrativa (nel costituire le varie parrocchie si deve tener
conto delle realtà umane e dei comuni bisogni di determinati
agglomerati umani, senza distinzioni empiriche che formano
parrocchie profondamente eterogenee come bisogni e come mentalità);
non deve essere soltanto un centro di culto e un focolare di
santificazione perché essa deve essere la Chiesa in quel
determinato spazio territoriale.
La parrocchia di oggi deve essere riformata proprio perché è
rimasta arretrata nel tempo, non essendo riuscita a seguire le
profonde mutazioni che si sono operate nell’uomo stesso a causa
delle trasformazioni sociali. Bisogna dunque modificare le
parrocchie su queste basi:
1) Un nuovo spirito di evangelizzazione perché ci troviamo
spessissimo di fronte a un mondo pagano che dobbiamo conquistare.
«Non si tratta dunque di amministrare la comunità, né di
assicurarne il culto, ma di evangelizzare». Per fare questo non può
più bastare un sacerdote per ogni campanile. «Nell’ora attuale in
cui vi è penuria di sacerdoti ma soprattutto paganesimo largamente
diffuso e vita così profondamente dipendente dai centri di
influenza, bisogna che la Chiesa dapprima si stabilisca solidamente
nei centri dove passa la vita, là dove parte e si irradia e che là
faccia sentire con abbastanza forza la sua influenza perché tutto
l’ambiente sia trasformato… Perciò è necessaria una orchestrazione
d’insieme dell’apostolato, dell’evangelizzazione attraverso tutta
la Francia, che faccia capo a una integrazione della parrocchia
nella diocesi e della diocesi nella Chiesa. Non vi debbono più
essere parrocchie che vivono in regime di autarchia».
2) Sul piano più strettamente parrocchiale è necessario che i
capi (parroco e curati) non siano più animati da quello spirito
amministrativo, giuridico e cultuale che si vede troppo sovente e
che fa tanto male; si deve operare più profondamente nel settore
liturgia e nel settore vita profana.
Di due caratteristiche principali della parrocchia del giorno
d’oggi si è poi a lungo parlato: della caratteristica comunitaria e
di quella missionaria.
Perché la parrocchia debba essere comunitaria è evidente:
vediamo piuttosto come si deve articolare questa comunità. Innanzi
tutto ci deve essere una comunità di preghiere e di vita spirituale
nella S. Messa, nell’assistenza alla recita dell’Ufficio serale,
nelle visite al SS. Sacramento, nei mesi di Maria ecc. «Una vita
cristiana interamente incentrata sulla preghiera individuale, che
si astenesse volutamente o per principio da ogni partecipazione
alla preghiera pubblica, ala vita comunitaria non sarebbe una vita
cristiana, qualunque fosse il suo fervore apparente».
È necessario poi che nella parrocchia si realizzi una comunità
di scambievoli servizi. I cristiani di una stessa parrocchia non
possono accontentarsi di vivere gli uni accanto agli altri come
angeli, ignari del volto umano del loro fratello, dei suoi
problemi, delle sue pene, dei suoi bisogni. La parrocchia per
questo deve organizzare delle istituzioni di carità, dei servizi.
Deve perciò preoccuparsi di «raggruppare i suoi membri per motivi
diversi da quelli della preghiera: per una formazione più completa,
religiosa, sociale, matrimoniale, od anche solo perché si conoscano
meglio e si divertano sanamente insieme, eccola preoccupata della
sorte sia spirituale che materiale dei suoi malati, li fa visitare
a domicilio, curare, assistere; impianta laboratori, asili
d’infanzia, colonie estive».
Deve ancora la parrocchia essere una comunità di azione
cattolica per far sì che la redenzione si compia più rapidamente.
Ma oltre a questa profonda comunità tra fedeli la parrocchia deve
essere una comunità tra fedeli e sacerdoti. Il sacerdote, è vero, è
il responsabile della preghiera, ma «se vogliamo che la comunità
dei fedeli senta che la preghiera è cosa sua, bisogna che ne possa
scoprire da se stessa la necessità; bisogna che suggerisca, che
proponga ogni tanto delle formule nuove, con docilità nei riguardi
del clero che giudicherà in ultima istanza, ma che talvolta
troverà, in queste invenzioni della coscienza cristiana, il sigillo
dello Spirito Santo». Il sacerdote è incaricato dell’insegnamento
ma «anche ora – nella penuria di sacerdoti – troviamo laici
incaricati di preparare il lavoro al sacerdote, di insegnare i
rudimenti di una scienza che la famiglia avrebbe dovuto far
conoscere, di preparare un testo di cui il sacerdote farà il
commento, di dirozzare i ritardatari. D’altro canto la parola del
sacerdote ha bisogno a sua volta di essere commentata, spiegata,
trasmessa».
Inoltre per rendere più efficace la sua parola il sacerdote deve
riuscire a penetrare nella vita vera dei contemporanei, portando
una risposta ai problemi della vita d’oggi. Può bastare dello
spirito di osservazione e della psicologia da parte del sacerdote?
Forse sì; ma una efficacia reale la si avrà solo «il giorno in cui
l’insegnamento sarà il risultato di una collaborazione, di un
lavoro, di uno studio comune tra i sacerdoti e la comunità dei
fedeli».
È logico e assolutamente necessario che il sacerdote governi ma
è anche necessario che la comunità dei fedeli sia trattata da
adulta e prenda le sue responsabilità. Così per es. gli si potrebbe
affidare le questioni finanziarie e potrebbe curare per es. la
pulizia della cappella, il mantenimento materiale della Chiesa
ecc.: sarebbe questo un ottimo metodo per interessare sempre più la
comunità dei fedeli alla vita religiosa.
L’altra caratteristica della parrocchia di oggi è quella di
dover essere missionaria. Non ci si può più contentare di creare
una buona comunità, e di ammaestrare e di amministrare i
Sacramenti: di fronte a un mondo pagano è necessario che anche la
parrocchia diventi dinamica per conquistare e riportare a Cristo
tanti che se ne sono allontanati. «La parrocchia deve avere un
compito missionario; è essa che ne ha la responsabilità prima e le
altre organizzazioni solo per un mandato e sovente per un mandato
del parroco sono anche esse responsabili della conquista degli
altri parrocchiani che non sono praticanti. Inoltre la parrocchia è
attrezzata, ha la sua Chiesa, ha i suoi sacerdoti: è sempre a loro
che ci si rivolge quando si ha bisogno di una cerimonia o d’un
documento ufficiale».
È necessario per questo che il parroco non faccia
l’amministratore del culto, ma realmente il missionario, cercando
di seguire i suoi parrocchiani senza aspettare che essi si
rivolgano a lui, divenendo amico delle famiglie in occasione dei
battesimi, matrimoni, funerali ecc.
È necessario che dalla parrocchia partano delle missioni, che
portino, rione per rione, casa per casa, con coraggio, la parola di
Cristo; che in parrocchia si facciano di tanto in tanto delle
manifestazioni religiose adeguate alla mentalità di chi non
crede.
Molte altre questioni sono state trattate dal Congresso: non
potendo riportarle tutte, riferiamo le conclusioni approvate dai
Rev.mi Vescovi presenti:
«1) Il movimento che spinge le nostre parrocchie a orientarsi in
senso missionario è da incoraggiare. La parrocchia non è soltanto
il centro di rifornimento dei fedeli, ma è anche responsabile di
tutte le anime che popolano il suo territorio, e deve preoccuparsi
con tutti i mezzi di far giungere loro la buona novella e di far
vedere loro il vero volto della Chiesa.
2) In quanto cellula della Chiesa, animata dalla carità di
Cristo, la parrocchia sarà sempre più comunitaria. E questo non si
riferisce soltanto alla comunità costituita dal parroco e dai suoi
coadiutori, ma a tutta la parrocchia, clero e fedeli, che devono
essere una vera comunità, una vera famiglia. Questa comunità sarà
largamente aperta, non si ripiegherà sui soli fedeli. In unione
stretta coi suoi sacerdoti, si sentirà tutta responsabile della sua
vitalità e del suo sviluppo
3) Il movimento che spinge attualmente un buon numero di
sacerdoti a lavorare uniti, sia sul piano parrocchiale, sia su un
piano più largo come quello della vicaria foranea, è ugualmente da
incoraggiare. La collaborazione sarà per i sacerdoti un prezioso
conforto nella loro vita sacerdotale e un mezzo di amplificare i
risultati dei loro sforzi apostolici.
4) Il clero parrocchiale avrà a cuore di moltiplicare i contatti
con la popolazione, di cui ha la responsabilità spirituale. Si
guarderà bene dal lasciarsi isolare dall’ambiente reale tra alcuni
elementi fedeli ma talvolta insufficientemente rappresentativi.
L’apostolato parrocchiale ordinario offre ai sacerdoti che lo
vogliano mezzi molteplici per assicurare il contatto. Altri mezzi
più straordinari saranno riservati a casi eccezionali, di cui il
Vescovo è giudice.
5) Tra i mezzi per stabilire il contatto con l’ambiente
parrocchiale reale, l’unione stretta, confidente e piena di umiltà
reciproca con i militanti dei movimenti di Azione Cattolica è
certamente uno dei più fecondi.
6) Il clero parrocchiale, poiché deve avere la sollecitudine di
tutte le anime che popolano il territorio parrocchiale, non
trascurerà nessuna delle categorie che costituiscono la totalità
della popolazione: né una categoria sociale, né una categoria di
età. Ma il suo apostolato terrà conto delle vere strutture umane,
quali dovranno essere ricostruite a poco a poco secondo l’ordine
provvidenziale, grazie ai suoi sforzi zelanti e intelligenti.
7) Numerose iniziative si fanno strada, iniziative che hanno lo
scopo di perfezionare i mezzi di evangelizzazione, specie nel campo
liturgico. I sacerdoti si ricorderanno sempre che la liturgia
propriamente detta è sottomessa a regole fissate dall’autorità
della Chiesa. Riguardo alla paraliturgia e agli altri mezzi di
istruire i parrocchiani o di farli pregare, è necessario che siano
utilizzati con prudenza e buon senso e nella linea delle direttive
dell’autorità religiosa.
8) Esperienze che sono potute riuscire in una parrocchia non
sono necessariamente valevoli per tutte le parrocchie. Bisogna
tener conto delle differenze di ambiente, di livello cristiano, dei
temperamenti apostolici ugualmente diversi. L’essenziale è capir
bene che non vi sono ricette valevoli per se stesse, che si possono
adoperare come processi magici. Non hanno valore che per lo spirito
che le anima e per il grado di adattamento alla vita.
9) Le religiose posso costituire un elemento preziosissimo
nell’opera di evangelizzazione della parrocchia. Si deve dunque
augurare che siano molto numerose per rispondere a tutti i bisogni.
Il discernimento e la coltura della loro vocazione devono essere
una delle grandi preoccupazioni del clero parrocchiale.
10) Qualunque siano i perfezionamenti delle nostre tecniche di
apostolato, per quanto possa essere perfetta la nostra
organizzazione parrocchiale moderna, rimane incontestabile che il
cemento della comunità parrocchiale o, meglio il sangue che
vivifica gli organi di questa comunità è la carità di Cristo quale
sgorga da un cuore sacerdotale totalmente e lealmente dedicato al
suo sacerdozio».
Vedremo nel prossimo numero le interessanti esperienze di Padre
Remillieux su la liturgia nella vita parrocchiale e l’esperienza di
Padre Loew, che ha fondato una missione proletaria alla periferia
di Marsiglia.
Alfredo Carlo Moro