Strategie imperiali
eBook - ePub

Strategie imperiali

America, Germania, Europa

  1. Italian
  2. ePUB (disponibile sull'app)
  3. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Strategie imperiali

America, Germania, Europa

Informazioni su questo libro

Come scriveva Umberto Eco, l'Europa non è che la «periferia» dell'Impero Americano. Con i suoi poderosi strumenti retorici (imedia, le nuove tecnologie), l'Impero promuove da decenni la propria ideologia come un sistema di pseudo-valori – la crescita illimitata, la bulimia del consumo tecnologico, la religione dei diritti «universali», i «crimini contro l'Umanità» a senso unico, la religione del «gender» –, che il crollo del sistema sovietico ha trasformato in una egemonica e sedicente «democratica» visione del mondo. Questo piccolo libro intende richiamare l'attenzione su una «zona di resistenza» che può sembrare tutta interna ai confini dell'Impero (e non lo è): la Germania e la Mitteleuropa di cultura tedesca. Questa vastaarea – la Kerneuoropa dei geopolitici – è refrattaria sotto svariati punti di vista ai dogmi dell'«ideologia atlantica». Se la Germania riuscirà ad addomesticare i fantasmi del proprio passato e a guarire dal suo latente titanismo (l'utopia autodistruttiva della «scalata al Cielo»), potrà svolgere un ruolo essenziale di mediazione e di arbitraggio trail vecchio impero marittimo in declino e il nuovo impero terrestre che si profila ad Oriente.As Umberto Eco wrote many years ago, Europe is nothing but the "periphery" of the American Empire. With its powerful rhetorical tools (the media and new technologies) the Empire supports its own ideology with its pseudo-values—the boundless growth, the bulimia of technological consumerism, the religion of "universal" rights, one-way "crimes against Humanity", the "religion of gender"—, and the collapse of the Soviet System has made this ideology a hegemonic, compulsory and so-called "democratic" view of the world. The aim of this small book is to draw attention to an "opposition zone" apparently included in the boundaries of the Empire: Germany, and Middle Europe with its Germanic cultural imprinting. This vast area—the Kerneuropa of geopolitics—is resistant from many points of view to the dogmas of the "Atlantic ideology". If Germany is able to domesticate the phantoms of its past, and to heal from its fatal titanism (the ambition to climb to Heaven), then it will perform an essential role of arbitration between the Old Maritime Empire and the New Terrestrian Empire of the Far East.

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a Strategie imperiali di Flavio Cuniberto in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Politica e relazioni internazionali e Politica. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

1.
EUROPA, EUROPE
NOTE SULL’IDEOLOGIA IMPERIALE
Adesso infatti, da grande pesce il Leviatano si trasformò in macchina […]. Tuttavia, gli uomini del XIX secolo non se ne accorsero, perché il Leviatano, pesce o macchina che fosse, diventava in ogni caso sempre più forte e possente, e il suo regno sembrava non dovesse aver fine.
Carl Schmitt, Terra e mare, 1954
L’Europa come favola astuta e il «mitico» Manifesto di Ventotene
Tutto poggia fin dall’inizio sul fatale equivoco semantico che impone di chiamare «Europa» non il Continente europeo con le sue nazioni e le sue lingue, ma una sovrastruttura istituzionale con sede a Bruxelles (mentre a Strasburgo la retorica europeista assume la forma dispendiosa di un Parlamento ininfluente, la cui unica funzione è dare una parvenza democratica al Nuovo Palazzo, governato di fatto da una Commissione non elettiva). E proseguendo: il continuo richiamo ai Padri Fondatori, o, per il pubblico italiano, al famoso Manifesto di Ventotene, che un immaginario diffuso e poco informato considera la magna charta dell’europeismo nostrano.
Lettura sconcertante. Gli autori del celebre Manifesto – Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni – vedono l’Europa come uno spazio vuoto, un asettico laboratorio per il grande esperimento liberal-socialista: esperimento non ignobile, come «terza via» tra i due blocchi contrapposti della Guerra Fredda, ma cieco di fronte a una «comunità» europea portatrice di esperienze, lingue, tradizioni, la cui diversità è la vera ricchezza del Continente. Soffia, nel Manifesto di Ventotene, un’astrattezza dogmatica blandamente giacobina alla quale si ribella il concreto, saporoso pragmatismo del Risorgimento più intelligente, da Vincenzo Cuoco (che raccomandava costituzioni ad hoc per i singoli contesti nazionali) al federalismo geniale di Carlo Cattaneo, guida inascoltata1.
Il macchinoso artificio si regge su un precario equilibrio di interessi. Nel caso della moneta unica il tentativo (francese) di imbrigliare la nuova Germania dentro uno spazio monetario comune è fallito. Se però, con l’acrobazia dell’euro, Francia e Germania hanno perseguito finalità politiche opposte, sugli interessi politici nazionali plana, dall’alto, l’interesse sovranazionale di un capitalismo soprattutto finanziario bisognoso di mercati sempre più popolosi e omogenei. Ecco allora la nuova trovata retorica dell’Integrazione Europea come strumento per «competere con i giganti» ad armi pari: come se una nazione che non esiste potesse perseguire una propria politica di potenza (e come se la Germania, con la sua vasta area di influenza, non avesse già le dimensioni necessarie per giocare la partita per conto suo). Fumo retorico per rendere possibili – con una moneta comune – macroconcentrazioni finanziarie più redditizie, perché non più esposte alla volatilità dei cambi.
A sconvolgere gli equilibri della vecchia Europa comunitaria era già sopraggiunta infatti la Riunificazione tedesca del 1989-1990 (non concordata con gli alleati europei): la svolta tedesca del 1989-1990 segna, per l’Europa come sovrastruttura istituzionale su basi paritarie, l’inizio della fine. Perché l’Europa comunitaria nasce come patto tra uguali, il venire meno del vecchio equilibrio è l’inizio della fine.
L’utopia dell’unione politica, a cui le autorità istituzionali continuano a richiamarsi come al «toccasana» della crisi, diventa, da allora, un gioco d’azzardo (il Trattato di Maastricht, siglato nel 1992 poco dopo la Caduta del Muro, è come la belva ferita che si difende attaccando). Ma perché alzare la posta in una fase di crisi (se non addirittura preagonica)? Perché le istituzioni comunitarie si innestano fin dall’inizio sul terreno strategico-militare dell’Alleanza Atlantica e ne rispecchiano la logica espansiva. Il famoso «allargamento» dell’Unione non è che l’ombra di un altro, progressivo, allargamento: quello della NATO, come ombrello volto a tenere l’intera Europa compatta e disciplinata dentro lo spazio strategico americano (o nord-atlantico che dir si voglia). Anche quando il crollo dell’Unione Sovietica e del Patto di Varsavia svuota di fatto l’Alleanza Atlantica delle sue finalità storiche e statutarie. Che sia questo il vero collante ideologico dell’Unione, ormai estesa ai Paesi Baltici e alla Romania ma chiusa verso la Russia post-comunista, è un’ovvietà che i media fingono di ignorare, soffiando ancora e sempre sulla retorica stantia della «casa comune»2. (Quando poi la «casa comune» risulterà inadeguata per contenere l’egemonia tedesca – e il saldo costi-benefici diventerà negativo –, l’America non esiterà ad abbandonare l’Europa e anzi a favorirne la disgregazione, e per imbrigliare i teutoni batterà altre strade.)
Quale lingua per l’Europa?
In un saggio dei primi anni Novanta Peter Sloterdijk prospettava la nota immagine della terra vista dallo spazio come «pianeta azzurro», dove nessuno scorge confini e tantomeno bandiere3. L’idea suggerita dall’immagine è evidente: confini e bandiere sarebbero un artificio politico, una rete di barriere artificiali gettata su un paesaggio in realtà continuo, privo di soglie. Ma la tesi di Sloterdijk è fortemente ideologica: la negazione di un qualsivoglia diritto naturale alle divisioni etnico-linguistiche (e poi statuali) discende da un’utopia cosmopolitica che passa come uno schiacciasassi sopra l’iridato paesaggio delle differenze (linguistiche anzitutto, e in questo senso naturali, perché la lingua è l’ambiente in cui «si nasce», e si nasce in una sola lingua – la madrelingua – non in un’altra).
I confini statuali non sono tracciati fisicamente sulla carta, ma le isoglosse definiscono bacini piuttosto precisi (di qua le parlate italofone, per esempio a Chiavenna, di là, nei Grigioni, lo svizzero-tedesco). La vera pietra d’inciampo dell’utopia europeista sono infatti le lingue: un’eventuale confederazione europea sul modello svizzero comporterebbe una ventina di lingue ufficiali: perché infatti la Romania dovrebbe rinunciare al romeno, e la Boemia al ceco, e la Polonia al polacco, e la Finlandia al finlandese? Se anche potesse accadere, sarebbe una perdita grave e in totale contrasto con la politica di tutela delle lingue minori. L’assenza di una lingua comune non è accessorio, è sostanza: e sarà questa assenza a provocare il fallimento del progetto europeista, prima ancora delle infinite diatribe sulla difesa comune, sull’integrazione economica o sulle politiche migratorie4.
Muri e frontiere. Odi et amo
Tra le varie sfaccettature del fronte «populista», compatto nella difesa delle frontiere dalle nuove orde di Gog e Magog, non mancano i furori del cattolicesimo tradizionalista. L’Europa da difendere sarebbe allora una mitica Europa cristiana di cui restano ben poche tracce: ma le sacre memorie delle Crociate e di Lepanto restano, tra i cattolici tradizionalisti, un paradigma assoluto, una visione del mondo. Sul fronte opposto le frontiere, invece, vanno indebolite e se possibile soppresse. Anche soltanto lo spazio europeo diventa, nell’utopia globalista, uno spazio aperto e soprattutto unitario, omogeneo, dove la «generazione Erasmus» impara a sentirsi a casa propria a Göteborg come a Salamanca, parlando ovviamente inglese.
Esiste però un’ottima ragione per amare le frontiere, estranea ai crociati armati di scimitarra cristiana come ai sovranisti innamorati della bandiera e delle esibizioni muscolari. Ed è che le frontiere si possono amare come soglie: luoghi di transito da uno spazio linguistico a uno spazio linguistico diverso, da un «bacino semantico» a un «bacino semantico» diverso, dove tutto obbedisce a regole diverse e beninteso non scritte. Nel caso fondamentale delle lingue, è ciò che rende impagabile l’esperienza della traduzione, come se proprio il passaggio da una lingua all’altra permettesse di toccare o di sfiorare l’essenza stessa della Lingua. Le frontiere – quelle invisibili – sono infatti le articolazioni della diversità come ricchezza del mondo. In rotta di collisione con i cantori dello spazio omogeneo, dell’Europa Unita come tavolo da biliardo, poche esperienze di viaggio sono più istruttive della breve gita che porta da Trento a Bolzano, o da Freiburg in Brisgovia (riva destra del Reno) a Colmar (Alsazia, riva sinistra del Reno). È come, in musica, il fenomeno della modulazione tonale: come un passaggio di tonalità, in cui le cose sono le stesse eppure non sono le stesse. A questo tipo di esperienza i nuovi crociati sono del tutto indifferenti, come lo sono i fautori dello spazio omogeneo e fatalmente anglofono. Se per questi la frontiera è solo un ostacolo da abbattere, per i primi ha un significato essenzialmente protettivo: la amano perché difende ciò che contiene, come il cancello metallico e l’abbaiare dei cani difende la villa insidiata dai ladri5.
Nazioni, imperi, pseudo-imperi
Alle difficoltà preagoniche delle istituzioni europee nella forma attuale (Bruxelles, Strasburgo), è usanza contrapporre la cosiddetta «Europa dei Popoli». Questa formula – che è di fatto la bandiera dei movimenti antieuropeisti, o secondo il lessico attuale, «populisti» – sarebbe suonata due secoli fa come la più progressista delle formule: nel senso mazziniano di rilanciare il principio nazionale, il principio della «autodeterminazione» dei popoli, come fattore storico decisivo. Ma, come è noto, la retorica ottocentesca della nazione e del suo risorgere (l’Italia, la Grecia, la stessa Germania), e poi dei «sacri confini», è sfociata nella grande carneficina della Guerra Civile europea, che ha distrutto la retorica ottocentesca della Nazione. La Nazione degenera in nazionalismo, e l’orgia dei nazionalismi finisce per distruggere il vecchio tessuto ottocentesco delle Nazioni, prefigurando un futuro in qualche modo post-nazionale.
Strana vicenda. Non è forse vero che già il pensoso intellettuale ligure vagheggiava-teorizzava, accanto a una «giovane Italia», una «giovane Europa»? E non è forse vero che la retorica ottocentesca della nazione e del suo risorgere («dell’elmo di Scipio si è cinta la testa») fu alimentata da quegli stessi gruppi e movimenti che si riconoscevano, pochi decenni prima, nell’internazionalismo giacobino (e poi napoleonico)? Vedere nella malattia nazionalista la semplice degenerazione dell’ideale ottocentesco della Nazione rischia insomma di essere una troppo facile scorciatoia. È un fatto che i movimenti internazionalisti di stampo carbonaro-mazziniano (ma anche, in altra forma, i movimenti della sinistra radicale poi marxista-leninista) miravano in primo luogo alla distruzione degli Imperi continentali, visti come un residuo ingombrante dell’Ancien Régime. Meglio: miravano alla distruzione dell’idea stessa di Impero per costruire – sulle macerie degli imperi – una statualità sovrannazionale su basi economiche ed «esperantiche». I movimenti risorgimentali-nazionali hanno funzionato come un formidabile grimaldello per scardinare le vecchie compagini, sovrannazionali sì, ma arretrate e ingombranti: ostacoli fastidiosi all’avanzata del Grande Capitale sempre più anglofono. Un impero anche questo? Non c’è dubbio, ma l’Impero Britanni...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Indice
  3. Prologo
  4. 1. Europa, Europe. Note sull’ideologia imperiale
  5. 2. Logica e metafisica dell’Occidente capitalista
  6. 3. Germania, Germanie. Note sulla differenza tedesca
  7. Bibliografia
  8. Abstract
  9. Notizia biografica