Parte prima.
Ingresso e vita
al Carmelo
Cara Mirjam,
mi hai chiesto di scrivere i miei pensieri sul Carmelo. Trovo bello e commovente che questa richiesta mi sia stata rivolta proprio la prima domenica di Avvento. Inizio a scrivere guidata dall’attesa, dalla vigilia, dal nuovo anno liturgico, sorgente di forza e di grazia, che ci regala la possibilità di un nuovo inizio. Confesso che mi sembra un compito molto difficile: ho timore di scrivere cose incomprensibili.
Il Signore mi ha condotto su una via molto semplice e nascosta, ma l’obbedienza mi dà la forza d’iniziare questa impresa. Mi rivolgo a Lui come due anni fa, quando mi hai chiesto di pregare per le novizie:
«Mio Signore, mio Dio, in nome dell’obbedienza
ascolta la mia richiesta!
Ti prego di farlo anche per l’umiltà
con la quale questa intenzione è stata affidata alla mia preghiera».
Prego ora il buon Dio che, grazie alla tua umiltà, mi assista e mi sussurri ogni giorno che cosa scrivere. Dopo questa lunga premessa, che cosa dovrei scrivere? Del Carmelo, della nostra comunità, della mia vocazione, del posto, del compito, dello scopo che abbiamo nel mondo? Ma come parlare di tutto ciò? Prima di mettermi a scrivere, mi sono imbattuta in questa frase:
«È ben detto dal profeta: “Il Signore dona la sua grazia, di giorno e di notte la rivela”. La misericordia di Dio viene data di giorno perché, se la percepiamo e la comprendiamo nel tempo della serenità, è di notte che si rivela, perché il dono che riceviamo nel tempo della pace, si rende manifesto nel tempo del tormento» (san Gregorio Magno).
Di questo mi hai parlato anche tu. Ora ho ricevuto una nuova luce, perché i problemi di ogni giorno si sono come sbiaditi e mi trovo sempre più spesso in situazioni-limite. Questa mia attuale condizione certamente mi pone nuovi limitazioni, ma può arricchire le mie sorelle, se condivido con loro i tesori che mi sta donando il Signore.
Infanzia e vocazione
Mi chiedevi, suor Mirjam, come avessi raggiunto la mia attuale maturità. Per risponderti, ti racconto il percorso che mi ha condotto al Carmelo, per poi condividere con te l’esperienza dei miei dieci anni da carmelitana.
Vengo da una famiglia religiosa osservante. La nostra vita cristiana era semplice, lontana dalle grandi questioni teologiche. Ma ogni giorno pregavamo insieme, se riuscivamo a radunarci tutti, ed era del tutto naturale che qualcuno di noi andasse a Messa anche durante la settimana. Diventati grandi, abbiamo frequentato i corsi di catechesi nelle diverse comunità di appartenenza. Ciascuno di noi considerava molto importante la sua fede.
La nostra era una famiglia numerosa: questo era uno “scandalo” per i nostri parenti, addirittura una vergogna per i nostri nonni. Da bambina non me ne rendevo conto, ma una volta cresciuta, non ho potuto più ignorarlo. Papà e mamma erano molto amareggiati, nonostante tutti gli sforzi, di non soddisfare le aspettative dei loro genitori. Tutto ciò che facevano era sbagliato e i confronti impietosi con altri nuclei familiari erano all’ordine del giorno. Anche a Budapest, nel nostro ambiente, l’incomprensione – se non un vero e proprio disprezzo – per le famiglie numerose era purtroppo assai comune.
La nostra infanzia è stata segnata anche dalla povertà del vivere. Ogni mese i miei genitori mettevano da parte una piccola somma dei loro salari, già modesti, per il futuro dei quattro figli più grandi e così spesso ci mancava anche lo stretto necessario.
Forse ho parlato abbastanza della mia famiglia; aggiungo solo che, nonostante il disappunto dei nostri parenti, convinti che “bastasse che i figli diventassero buoni operai”, i miei genitori consideravano estremamente importante provvedere alla nostra educazione, affinché ciascuno di noi possedesse almeno un diploma universitario. Hanno permesso che sviluppassimo la nostra umanità e per questo sono loro molto grata.
Mia madre andava a Messa tutti giorni. Penso abbia cominciato dopo la nascita dei miei fratelli gemelli, per esprimere la sua gratitudine al Signore che fossero riusciti a sopravvivere. Mi portava spesso con lei alla prima celebrazione del mattino e poi mi lasciava all’asilo o a scuola; in seguito ho iniziato ad andarci da sola, e con gioia. Mi piaceva molto servire Messa e aiutare in sagrestia: consideravo la chiesa la mia seconda casa e mi ci recavo tutti i giorni, anche solo per sedermi o inginocchiarmi quando era buia e vuota. Pregavo in modo molto semplice, ma durante la mia infanzia mi era del tutto naturale pensare di fare la mia strada insieme al Signore.
Egli è sempre con me. Posso rivolgermi a Lui in tutte le mie difficoltà.
Il mio convincimento era rafforzato dal fatto che i miei rari amici facevano parte del gruppo dei ministranti. A scuola ero molto sola, perché non avevo niente e non possedevo alcun talento che potesse interessare gli altri. Non so perché, ma anche a casa non parlavo, non facevo partecipe nessuno delle cose che erano veramente importanti per me. Mi piaceva stare in silenzio, da sola e leggere.
Le ore più belle, le più amabili, erano quelle che trascorrevo in chiesa. Cercavo aiuto e tenerezza e quello era il luogo dove più spesso li trovavo: là, dinanzi al Signore. Mi piaceva leggere ogni sorta di libri, ma quelli che preferivo erano le vite dei santi. Per lungo tempo il libro che ho amato di più è stata la biografia di santa Margherita d’Ungheria. La vita delle religiose mi colmava d’ammirazione.
Il “caso” ha voluto che compissi i miei studi in una scuola non laica, il Liceo “La Patrona”. Per me era una gioia enorme stare fra le suore e poter passare ancora più tempo con il Signore.
Non sono mai stata una bambina malaticcia, ma ho sofferto molto per via di frequenti mal di testa e di stomaco; durante gli anni del liceo, poi, ho perduto la voce, un disturbo probabilmente di origine psichica. Non sopportavo i conflitti ma, sia a casa che a scuola, i contrasti erano all’ordine del giorno e accumulavo tensioni, che mi rimanevano dentro, anche quelle che non mi riguardavano personalmente: così facendo non si risolvevano, né si dissolvevano.
Sto raccontando i miei primi anni in modo forse troppo schematico, noioso da leggere. Di certo sarebbe più interessante narrare qualche aneddoto, ma mi porterebbe lontano dal mio scopo, che non è certo quello di scrivere un’autobiografia.
Tutto sommato, non ho avuto un’infanzia difficile, non ho vissuto grandi tragedie, ma non ne rimpiango nemmeno un giorno. Non è stata un’infanzia gioiosa, spensierata, ma la colpa è solo mia, della mia introversione: la vita mi sembrava una tragedia. Tuttavia posso essere riconoscente alla mia famiglia: ero la prediletta di mio padre e i miei genitori hanno fatto per noi tutto quello potevano, considerata la loro modesta condizione. Mi trovavo bene anche con i miei fratelli e sorelle, a volte più in sintonia con uno, a volte con l’altra. Rita è stata la mia “piccola mamma” e io ho portato i miei fratelli minori prima all’asilo e poi a scuola, studiando anche con loro. Insieme abbiamo vissuto belle esperienze, giorni gioiosi. Una famiglia numerosa è una splendida scuola che insegna a vivere insieme, a essere attenti verso l’altro, a saper rinunciare.
Ogni estate, dai dieci ai diciotto anni, ho lavorato almeno un mese in un Foyer de Charité. Ho iniziato prendendomi cura degli anziani residenti nel Foyer Giovanni XXIII e lavorando nella “Casa di Cura per Malati Terminali Lékai László” a Budapest. In seguito mi sono occupata dei bambini disabili nel villaggio di Ipolytölgyes. Ho amato molto quel lavoro, accogliendo nel mio cuore sia anziani che bambini. Penso che il mio lavoro fosse efficiente, considerato che all’età di undici anni mi sono state affidate alcune donne anziane, che seguivo dalla toletta del mattino al sonno della sera. Questo incarico è stato un grande dono, come anche il fatto che i miei compagni di lavoro, giovani tra i venti e i venticinque anni, fossero profondamente credenti; pregavamo insieme l’Ufficio delle Ore e insieme andavamo a Messa la mattina. Quando il nostro orario di lavoro ce lo consentiva, andavamo insieme alla chi...