La cooperazione presentata ai millennials
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La cooperazione presentata ai millennials

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La cooperazione presentata ai millennials

Informazioni su questo libro

Scritto da uno dei più importanti economisti italiani, il volume illustra alle nuove generazioni (ma non solo) la genesi e il ruolo della cooperazione, le sue diverse forme, la forte incidenza che questo tipo di impresa ha sull'economia nazionale. L'autore si interroga poi su quale potrà essere il futuro della cooperazione e su come gestire gli eventuali conflitti interni a una cooperativa, comunque differenti rispetto a quelli che si generano nelle imprese capitalistiche. Non manca, infine, un capitolo in cui il noto studioso fornisce risposte alle domande più frequenti (faq) in tema di cooperazione.

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1. Uno sguardo d’assieme

1.1 Le organizzazioni economiche che non perseguono fini di lucro, come le imprese cooperative, non sono una novità. In realtà, se guardiamo la storia, il modo normale di fare impresa era espressione di ragioni non solo o primariamente economiche. Nascevano arsenali per sostenere le guerre, abbazie per dar lode a Dio, le banche dei francescani (i Monti di Pietà) per occuparsi della povertà diffusa delle città italiane tra Quattro e Cinquecento. Anche l’attività dei mercanti era profondamente intrecciata con la vita civile, politica e soprattutto religiosa del loro tempo, il che faceva sì che il movente che li spingeva a intraprendere fosse assai più articolato della sola massimizzazione del profitto.
In età moderna, il movimento cooperativo, sviluppatosi soprattutto in Europa, è stato – ed è ancora oggi – una grande esperienza economica non capitalistica, al momento l’unica del genere per dimensione economica e rilevanza sociale. E ciò non solo perché l’obiettivo che lo muove è la mutualità, grazie alla quale si soddisfano i bisogni dei soci e della comunità.
Mentre la governance interna dell’impresa cooperativa è di tipo democratico, basata sul principio “una testa, un voto”, la governance dell’impresa capitalistica, invece, è di tipo oligarchico, basata sul principio "un’azione, un voto”.
Negli ultimi tre secoli, mentre il sistema economico occidentale si è, per così dire, emancipato dai suoi presupposti religiosi e simbolici, le imprese hanno sempre più concentrato il fine della propria attività sulla massimizzazione del profitto, dando vita all’economia capitalistica. Mi pare utile una precisazione: l’economia di mercato è nata tre secoli prima dell’avvento del capitalismo: dunque, l’economia capitalistica è una specie dell’economia di mercato, la quale è piuttosto il genere. Tuttavia, anche nell'economia capitalistica un buon numero di imprese, a prescindere dalla loro veste giuridica, agiscono ancor’oggi mosse da obiettivi diversi, e non solo dai profitti, nonostante quello che una certa stampa e certi centri culturali lascerebbero intendere. Si pensi ad un esempio illustre, quello di Adriano Olivetti, e con lui tanti altri imprenditori civili la cui azione era ed è ancora un intreccio virtuoso di motivazioni e elementi sociali, comunitari, politici, ecc., e dunque non riducibile alla mera ricerca di profitti individuali.
Il modo sbrigativo, un po’ troppo semplicistico, di esprimere questa diversità di rapporto con lo scopo del profitto è, oggi, quello di distinguere tra imprese for profit – le imprese di tipo capitalistico – e imprese not for profit che vengono considerate come l’eccezione che conferma la regola. Per gli economisti civili questo non è un buon sistema di guardare alla realtà economica contemporanea per due ragioni principali. Primo, perché in tale maniera non si è in grado di spiegare come mai in un mercato ormai globale e ipercompetitivo possano vivere in buona salute strane creature che non hanno come principale obiettivo il profitto. Nel mondo sono più di un miliardo i soci di imprese cooperative, presenti in quasi tutti i paesi. Secondo, perché così si accoglie supinamente un assunto che è fattualmente falso, e cioè che i consumatori siano indifferenti rispetto alla provenienza dei prodotti che intendono consumare, scegliendo, a parità di qualità, quei beni che vengono offerti a prezzi di mercato inferiori. Tale postulato porta a far credere che nell’istruzione, nella sanità, nella spesa quotidiana, nell’assistenza e così via, il consumatore, ai fini della propria scelta, considera ininfluente il movente dell’attività d’impresa. Il che non è, come è ampiamente dimostrato dalle varie espressioni del consumo critico (commercio equo e solidale, voto col portafoglio, cash-mob, ecc.) e dalle tante forme di investimento socialmente responsabile (cooperazione di credito, finanza etica, finanza sociale, ecc.).
Il paradigma dell’economia civile propone di superare l’ideologia (ancora maggioritaria tra studiosi e policy-maker) secondo la quale il mercato è qualcosa di irrimediabilmente diverso rispetto alla vita in società. Per tale visione ideologica – ancora dura da scardinare – mercato è sinonimo di interesse personale e l’impresa è un ente che non può non tendere alla massimizzazione del profitto. È solo come conseguenza di ciò (e non di una teoria confermata dai fatti) che soggetti, mossi da altre motivazioni e da altre passioni (sociali, relazionali, simboliche), non possono generare imprese, né, tantomeno, essere soggetti di mercato. Possono solo essere chiamati organizzazioni non profit, assai utili e quindi da rispettare per quel che fanno, purché non diano fastidio alle imprese for profit, le sole in grado di assicurare il progresso economico e l’avanzamento tecnico-scientifico. Ma, guai a dimenticarlo, tutto ciò è conseguenza di una tipica distorsione culturale che continua ad oscurare la mente perfino di validi e influenti economisti.
Chi oggi osserva il rapporto tra economia e società si accorge che la società civile più matura non chiede alle imprese solo di produrre ricchezza, fare prodotti di qualità a basso costo, pagare le tasse e rispettare le leggi; chiede loro anche di farsi carico di compiti e funzioni che fino a pochi anni fa erano considerati competenza dello stato, delle chiese, della famiglia. D’altro canto, i cittadini più evoluti chiedono alla società civile di farsi carico di aspetti di efficienza che in passato venivano considerati dall’opinione pubblica né rilevanti, né pertinenti. I cittadini chiedono che i rapporti umani nascosti dentro le merci vengano alla luce, si rivelino dal guscio delle cose dove sono nascosti. Questa richiesta di “riapparizione” dei rapporti umani sottostanti gli scambi di mercato è stata raccolta quasi due secoli fa dalla cooperazione e oggi anche da tante esperienze di economia civile (come le imprese sociali, le imprese di economia di comunione, le società benefit, le imprese di comunità, ecc.).
Questo processo ha conosciuto un’accelerazione attorno agli anni ’50 del secolo scorso e nell’ultimo ventennio – anche sotto la forte spinta della crisi ambientale globale – e ha superato il punto critico raggiungendo il grande pubblico e le istituzioni politiche.
Un primo dato importante da sottolineare è il progressivo processo di convergenza verso il “centro”. Da una parte, imprese nate all’interno della tradizione capitalistica hanno iniziato, sotto la pressione proveniente dal movimento cooperativo, a prestare attenzione alla dimensione sociale; dall’altra, r...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. La cooperazione presentata ai millennials
  3. Indice dei contenuti
  4. 1. Uno sguardo d’assieme
  5. 2. La realtà cooperativa nell’economia di oggi
  6. 3. Perché esistono le cooperative
  7. 4. Dell’identità della forma cooperativa di impresa
  8. 5. Il futuro della cooperazione nella stagione della post-modernità
  9. 6. Come gestire il conflitto interno alla cooperativa
  10. 7. Dieci risposte alle più frequenti domande e critiche rivolte alla cooperazione
  11. 8. Anziché una conclusione, un rinvio