PARTE II – IL CAMBIAMENTO
L’essere umano è l’unico essere vivente che si sa adattare ad ogni habitat.
Gli esseri umani sono progettati per gestire il cambiamento molto meglio di ogni altro essere vivente sulla terra. Il nostro cervello processa le informazioni in un modo talmente avanzato che ci permette di fare nostre nozioni, procedure, lingue e abitudini.
Oltretutto, non siamo solo bravi a replicare quello che ci viene insegnato, ma siamo anche maestri nell’elaborare quello che stiamo apprendendo e svilupparlo in maniera originale, innovando e migliorando rispetto al passato.
Insomma, siamo una forza della natura, capaci di realizzare grandi cose, eppure questa dinamica straordinaria, questa potenzialità unica, la lasciamo fin troppo spesso a prendere la muffa da qualche parte.
“Il più grande spreco nel mondo è la differenza tra ciò che siamo e ciò che potremmo diventare”
- Ben Herbster -
Per l’imprenditore è vitale imparare a gestire il cambiamento. L’azienda e il mercato sono entità vive, in continuo mutamento. Prova a pensare a dieci anni fa. Facebook era ai suoi inizi ed il fenomeno social sembrava destinato ad universitari o adolescenti. Se qualcuno ti avesse suggerito, all’epoca, di investire tutta la tua comunicazione aziendale in quel nuovo strumento, lo avresti fatto?
Solo pochi hanno saputo cogliere l’opportunità, e questo per un semplice motivo: il vento del cambiamento viene troppo spesso sminuito o sottovalutato, perché ci costringerebbe a modificare le nostre abitudini.
Ogni azienda “matura” ha le sue procedure e protocolli. Ha un suo portafoglio clienti, un target definito, un messaggio chiaro da comunicare all’esterno. Ha dipendenti abituati a svolgere determinate mansioni e gestire problemi specifici.
Più la struttura è ben rodata e organizzata, più – paradossalmente – ha difficoltà ad affrontare un cambiamento importante nel mercato. Questo perché l’imprenditore molto spesso pensa che ha troppo da perdere – o troppo lavoro da fare – per apportare rivoluzionarie modifiche al modello di produzione o di comunicazione che fino a quel momento ha prodotto buoni risultati.
“Dopo aver fatto sempre la stessa cosa nello stesso modo per due anni, inizia a guardarla con attenzione. Dopo cinque anni, guardala con sospetto. E dopo dieci anni, gettala via e ricomincia di nuovo tutto”
Alfred Edward Perlman
2.1 – Attraversare l’abisso
Per comprendere quanto è difficile il processo di cambiamento ho necessità di spiegarti la mia personale rielaborazione delle teorie di Rogers e Moore sull’attraversamento dell’abisso, o “Crossing the Chasm”.
Everett M. Rogers (1931-2004) è stato un sociologo e un teorico della comunicazione americano che ha all'attivo più di una dozzina di libri pubblicati e numerosi articoli. Il suo libro “The Diffusion of Innovations” è ad oggi uno dei testi più citati all’interno delle scienze sociali e anch'io mi unirò a questa lunga schiera per poi procedere con un personale ragionamento in merito.
La sua teoria sulla diffusione delle innovazioni, infatti, parte dal concetto espresso dal grafico riportato qui sotto:
Rogers, quando guarda alle innovazioni, divide grossomodo gli esseri umani in due macro-categorie, divise a loro volta in sottogruppi:
Persone che vogliono cose nuove:
Innovatori – 2,5%
I primi che adottano (e testano) le nuove idee/tecnologie/prodotti – 13,5%
Persone che vogliono soluzioni complete, già testate da altri e convenienti:
Prima maggioranza – 34%
Tarda maggioranza – 34%
Ritardatari – 16%
Nel varco che si crea tra gli “Early Adopters” (le persone che amano le novità) e la “Early Majority”(la prima maggioranza) si crea il “Chasm”, ovvero “l’Abisso” in cui un’idea innovativa vive o muore.
Come puoi facilmente comprendere dalle percentuali, è solo una piccolissima parte (neanche il 20% dell’intero mercato o società) a sposare il cambiamento. Infatti la maggior parte della cultura di massa è per sua natura conservatrice. Questo, con buona probabilità, è un ricordo delle regole che permettevano alle società primitive di sopravvivere solo se ogni membro del gruppo faceva quello per cui era destinato fin dalla nascita: l’uomo a cacciare, la donna a procurare bacche e radici o a conciare le pelli e cucinare, gli anziani a controllare i piccoli ecc. Eppure, se persino in quei tempi di grandi pericoli, non ci fossero stati degli innovatori e dei primi adottatori di tali innovazioni saremmo rimasti bloccati all’età della pietra.
Su questa idea si è basato di recente Geoffrey Moore, teorico organizzativo e consulente di management, per il suo libro “Crossing the Chasm: Marketing and Selling High-Tech Products to Mainstream Customers”, che applica tali principi al mondo del marketing e delle start-up moderne:
Ripartendo dalla curva di Rogers, Moore divide le categorie in:
- Gli “entusiasti” della nuova tecnologia
- I visionari
- I pragmatici
- I conservatori
- Gli scettici
Anche qui abbiamo le prime due figure (sempre poche) che spingono affinché una nuova innovazione prenda piede, adottandola e testandola per primi, mettendo da parte le paure e assumendosi in pieno i rischi.
Saranno loro che dovranno far saltare l’abisso a quest’ultima, in modo che arrivi ai pragmatici, gente intelligente ma prudente, che se fiuta che la cosa può funzionare ed è stata già testata, è la seconda categoria ad adottarla (stavolta in massa). Solo in seguito, con diverse remore e sempre pronti a fare subito marcia indietro, arrivano i conservatori.
Questi ultimi sono spesso quei leader di mercato che vivevano bene nel periodo precedente all’avvento della nuova tecnologia, e non sono così entusiasti di introdurla nei loro processi ormai ben rodati e in cui si trovano comodi.
Infine, anche qui abbiamo i “ritardatari” che, in questo caso, assumono una sfumatura persino più negativa, diventando “scettici”. Sono coloro che, anche se la massa dei pragmatici e dei conservatori si è, volente o nolente, convertita alla nuova tecnologia (che pian piano diventa uno standard consolidato), non solo rimangono sulle proprie posizioni, ma sono anche estremamente critici. Si lamentano di come le cose andassero meglio prima, si comportano da uccelli del malaugurio, profetizzano un crollo imminente e manifestano disillusone generale a proposito della follia collettiva che ha contagiato tutti.
Questa suddivisione tra gli attori del mercato diventa determinante per la vita o la morte non solo di aziende, ma di interi segmenti economici, quando ad impattare il mercato arrivano delle tecnologie disruptive1. In tali casi, quando i manager o i titolari di grandi strutture non sono capaci di fiutare l’avvento del nuovo che avanza, investendo risorse ed energie nel riprogrammare i loro processi nell’ottica di integrare, cavalcare o riposizionarsi in relazione a queste innovazioni rivoluzionarie, sono quasi sempre destinati al fallimento, come abbiamo visto nel capitolo precedente.
Ho notato, vista la mia grande passione per lo studio delle potenzialità dei social media in campo aziendale, che questa dinamica è stata perfettamente rispettata proprio con il loro avvento dirompente nel mercato contemporaneo.
Furono poche le aziende e men che meno i professionisti che, in Italia, ebbero il coraggio di lanciarsi sui social aprendo blog, profili Facebook e, un po’ più di recente, persino Instagram.
Eppure i vantaggi erano molto chiari, soprattutto qualche anno fa (ora sta diventando quasi obbligatorio, specialmente dopo l’adozione in massa degli smartphone).
Si passano sulla rete, in media, oltre sei ore al giorno, più del doppio rispetto a quelle destinate alla televisione (anche perché spesso la guardiamo distrattamente, mentre aggiorniamo lo status Facebook o postiamo qualcosa su Instagram) e un terzo di quelle ore sono dedicate ai social.
Oltre 34 milioni di italiani hanno un profilo su Facebook e la metà di loro (circa 16 milioni) ne ha uno anche su Instagram, che cresce più velocemente giorno dopo giorno.
Quando organizziamo un evento o un corso di marketing questi dati aprono sempre le mie riflessioni, perché troppo spesso mi trovo ad avere in aula qualche “conservatore” e persino “scettico” relativamente all’utilizzo di questi strumenti per la comunicazione e la promozione delle loro aziende.
Questa dinamica si sviluppa in tutte le attività che implichino una necessità di cambiamento. Esistono infatti una serie di barriere mentali che, se non gestite, ci faranno sprofondare nell’Abisso di coloro che gettano la spugna e decidono di non compiere quello sforzo extra necessario a fare il grande balzo in avanti e sfruttare appieno le potenzialità insite nelle nuove idee.
2.2 – Le barriere che ostacolano il cambiamento
Ho elaborato a mia volta una versione del “Crossing the Chasm” relativa al grande tema oggetto di questo libro. Questa ci servirà ad introdurre i fattori che incidono pesantemente sul cambiamento, rallentandolo e talvolta bloccandolo per sempre, facendoti perdere le splendide occasioni che la vita ti offre e che ti meriteresti.
Nei processi di cambiamento abbiamo innanzitutto i visionari. Sono loro i primi pionieri che, spinti da una grande meta, puntano a cambiare o a rivoluzionare il mercato. I visionari sono guidati da un’intuizione o da un sogno e cercano a tutti costi una svolta decisiva. Animati da questa forza dirompente e da una grande energia, tendono a non essere preoccupati dalle possibilità di guadagno immediate e non hanno paura a mettere in gioco sforzi extra per lanciare la loro idea, spesso giocandosi il tutto per tutto nel processo.
Queste persone si trovano ad affrontare i primi ostacoli (collaboratori contrari, banche non convinte, soci scettici, famiglia preoccupata) e quindi il “Piccolo Abisso” che ho indicato nell’immagine in alto.
Se non sono capaci di ...