Fondazioni. Volume 1
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Fondazioni. Volume 1

Modellazioni. Verifiche Statiche e Sismiche - Strutture - Terreni

Pierfranco Ventura

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Modellazioni. Verifiche Statiche e Sismiche - Strutture - Terreni

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La nuova edizione di Fondazioni, aggiornata alle NTC2018 e divisa in due volumi, è una summa nata dall'esperienza di quarant'anni di lavoro e insegnamento che racchiude i fondamenti delle discipline dell'Ingegneria Civile, evitandone le frammentazioni e valorizzandone i collegamenti culturali. Rivolta ai professionisti del settore e agli studenti universitari e dei master, illustra le modellazioni e le applicazioni statiche e sismiche riguardanti le strutture e i terreni, soprattutto quelli interagenti con l'acqua, e analizza le oggettive modellazioni 'perfette' e le scelte dei parametri di progetto (vol. 1) che incidono sulle soggettive applicazioni 'imperfette', in modo da consentire un giudizio motivato di accettabilità dei risultati dei programmi di calcolo (vol. 2). Nel volume 1, Modellazioni, si analizzano i contributi e i limiti dei modelli rigido, elastico e plastico solidi e porosi, rispettivamente 'drenati' e 'non drenati', ponendoli a confronto con i dati di prove sui materiali sottoposti ad azioni statiche e sismiche di norma. Si approfondisce poi la storia del modo di valutare la distanza di sicurezza 'perfetto-imperfetto' passando dai criteri deterministici a quelli semiprobabilistici, ripercorrendo le norme passate per le verifiche sull'esistente fino alle NTC2018.

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Informazioni

1 L’interdisciplinarietà
1.1 Geotecnica
1.1.1 Principi di modellazione
L’interazione fra le strutture artificiali ed il terreno naturale è analizzata sia in campo statico che sismico ricorrendo alle teorie classiche della Scienza delle Costruzioni e dell’Idraulica, calandole “di peso” nei campi della Geologia, da cui i nomi: Meccanica dei terreni, Meccanica delle rocce ed in generale Geotecnica, (Géotechnique 1948, in italiano 1956) passando alla progettazione ed alla valutazione della sicurezza.
Si analizza in termini meccanici non solo la struttura (cap. 2), ma specialmente il volume significativo di terreno o di roccia (cap. 3) il cui stato tensionale naturale è coinvolto dalle tensioni indotte dall’opera artificiale che si vuole far interagire con la natura (cap. 4), evitando nel miglior modo possibile che le caratteristiche dei materiali (cap. 5) subiscano azioni (cap. 6) ed “impatti ambientali”, cercando anzitutto la “sicurezza naturale” fondata sull’assecondamento idrogeomorfologico, a fianco di quello meccanico (cap. 7).
L’importanza dell’interdisciplinarietà fra Architetti, Ingegneri e Geologi, perseguita sin dalla prima ideazione e finanziamento di un’opera, materializza proprio tale sicurezza e l’adattamento preventivo al sito, che riduce fortemente i rischi e gli sperperi.
Di seguito si passano in breve rassegna gli ampi settori di applicazione della Geotecnica, per la quale si evidenzia subito l’importanza di agganciarsi alla “sicurezza meccanica” dei modelli “perfetti” (cap. 2, 3 e 4) tramite congrui studi, rilievi ed indagini “reali” (cap. 5) a partire da quelli a tavolino e di laboratorio, per passare a quelli in sito, fino al monitoraggio in vera grandezza a seconda della complessità geologica.
L’Ingegnere però non può valutare la sicurezza limitandosi a chiedere quali sono i parametri meccanici da inserire nei modelli di calcolo per sopportare i carichi allo spiccato del terreno, precisione senza inclusione fig. 7.3, così l’Architetto non può limitarsi a valutare la sola “sicurezza artistica” dell’opera, specie nei campi del Restauro, dell’Archeologia o del Paesaggio; parallelamente il Geologo non può limitarsi ad essere solo un laboratorista gestore distaccato delle indagini e di prove generiche.
Solo il dialogo consente di cogliere nel progetto la ricchezza di ognuno, altrimenti si snatura tutto, a cominciare proprio dalla Geotecnica, affascinante Arte mediatrice fra la mentalità naturalistica del Geologo, razionale dell’Ingegnere ed artistica dell’Architetto.
La Geotecnica non può altrettanto dimenticare i collegamenti con le varie origini etiche (fig. 1.30) e scientifiche, le uniche che possono arricchire modelli reologici più generali, come quelli tipo cam-clay studiati a Cambridge (fig. 3.38).
È fondamentale che, nei Laboratori Universitari delle varie Facoltà di pertinenza, si contemperi fortemente l’interdisciplinarietà, in modo che ciascuno acquisisca pariteticamente anche i linguaggi di base dell’altro, per promuovere la “sicurezza naturale, meccanica ed artistica” e favorire il lavoro di gruppo, veramente creativo se svolto con giusti tempi e mezzi di progettazione.
Si è voluto definire, in tale ottica, la Geotecnica come una sorta di “quarto” linguaggio fra i 3 predetti, proprio per evidenziare che non appartiene, né accademicamente né professionalmente, in modo esclusivo alle 3 Facoltà consorelle, pur essendo di taglio teorico principalmente ingegneristico.
La Geotecnica moderna è nata nel 1925 con gli studi dell’Ingegnere elettrotecnico cecoslovacco Carlo Terzaghi sul comportamento meccanico dei terreni su cui doveva fondare una turbina, studi descritti nel suo famoso testo “Erdbaumechanik” Deuticke-Vienna, riedito con una visione generale tutt’oggi attuale nel 1943 in “Theoretical Soil Mechanics”, Wiley-New York, basato sul Principio delle tensioni efficaci, chiamate anche effettive.
La figura 1.1a mostra un insieme di granuli che caratterizzano lo scheletro solido del mezzo poroso terreno su cui agiscono le classiche componenti di sollecitazione a sforzo normale e taglio, applicate anche alla fase interstiziale nei pori che possono essere saturi (Sr = 1) o meno di acqua, a seconda dei pesi P e dei volumi V delle 3 fasi: solida, liquida e gassosa.
I granuli presentano un vasto assortimento granulometrico che spazia dalle ghiaie, sabbie, limi ed argille, passando da forme rotondeggianti centimetriche, e millimetriche dei terreni incoerenti, alle forme lamellari micrometriche tipiche dei terreni coerenti e proprie delle argille, come di seguito evidenziato nella figura 1.10 con l’analisi granulometrica, che simula la sedimentazione.
Nelle argille in particolare l’acqua si lega anche chimicamente tramite gli ossidrili ai minerali argillosi (acqua adsorbita) offrendo un particolare modo di resistere alle predette sollecitazioni per coesione, che risulta elevata per volume dei pori molto ristretto, fino a valori bassissimi per volumi dei vuoti elevatissimi come nel caso delle argille sensitive, ed in cui il legame chimico attivo A' e reattivo R' ha un ruolo molto spiccato (fig. 1.1).
In tale ottica viene distinto subito nella figura 1.1a il caso incoerente da quello coerente della figura 1.1b in cui il principio delle tensioni efficaci ed i fenomeni deformativi e resistivi che ne conseguono risentono molto delle azioni chimiche dei minerali argillosi, oltre che della presenza delle 3 fasi.
Il comportamento meccanico di tali terreni viene anzitutto interpretato con il classico modello di Terzaghi usato per spiegare la ripartizione delle tensioni totali σ indotte, in un terreno poroso saturo di acqua, in tensione efficace σ' od effettiva applicata allo scheletro solido ed in pressione interstiziale u applicata all’acqua (udos in greco), ovvero il Principio delle tensioni efficaci:
In assenza di acqua (fig. 1.1a) le forze F in gioco ovvero le tensioni totali coincidono con le efficaci e pertanto agiscono sullo scheletro solido in modo in tutto simile ai mezzi solidi tipici elasto-plastici delle strutture e dei canoni della Scienza delle Costruzioni (cap. 2) dei mezzi non porosi.
In presenza di sola acqua (fig. 1.1b) le tensioni totali coincidono con le pressioni interstiziali come in un martinetto idraulico, secondo i canoni dell’Idraulica (par. 4.3).
In presenza di ambedue le fasi, limitandosi al caso di mezzo poroso saturo, vale in pieno la ripartizione delle forze in gioco T, N, U secondo il principio delle tensioni efficaci, ovvero secondo i canoni della Geotecnica, specie poi per il successivo drenaggio, filtrazione e consolidazione nel tempo (cap. 3).
Figura 1.1 Principio delle tensioni efficaci: a) scheletro solido di un terreno incoerente asciutto; b) idem coerente saturo con attività chimica e ripartizione in fase gassosa, liquida e solida; c) modello edometrico di Terzaghi sulla ripartizione delle tensioni in efficaci; d) ruolo delle condizioni di drenaggio, della saturazione, della viscosità e dell’attività chimica, per valutare le caratteristiche meccaniche dei terreni durante la consolidazione.
Il modello fu posto alla base dell’ideazione appunto dell’edometro, apparecchio per la misura sperimentale della compressibilità dei terreni e dell’apparecchio di taglio per la misura della resistenza dei terreni, evidenziando le notevoli differenze di comportamento meccanico fra le prove “non drenate” e quelle “drenate” (cap. 5).
L’evoluzione nel tempo della pressione interstiziale indotta Δu o fenomeno di consolidazione è evidenziata tramite le curve isocrone nella figura 1.1c (fig. 3.25), ed in funzione dell’attività chimica e della saturazione nella figura 1.1d.
La consolidazione parte dalle condizioni perfettamente “non drenate” fino a quelle “drenate”, con decorsi dei cedimenti molto diversi dal caso di “mezzo poroso” saturo inerte, o di interstizi non saturi o se lo scheletro solido è molto attivo chimicamente con deformazioni viscose (v. creep in fig. 2.15b).
Il ruolo delle azioni chimiche A' attrattive (fig. 1.1b) è molto importante sulle tensioni efficaci ed incide più o meno sensibilmente sulla coesione (par. 3.2.3) e la viscosità dissipativa (par. 2.2.3) dei terreni, per cui è importante non distruggerle durante le operazioni di campionamento: la meccanica deve “collaborare” con la chimica (par. 1.2.4).
Lo stato tensionale indotto mentre per un materiale solido assume la classica definizione vettoriale, per il mezzo poroso con interstizi colmati di fluido, ovvero in generale di acqua ed aria, si suddivide fra le fasi, migrando solo nella fase dello scheletro solido in termini vettoriali e naturalmente perdendo per la fase fluida l’orientamento vettoriale, riducendosi a pressione interstiziale scalare pascaliana (l’acqua adsorbita fa da transizione anche reologica).
Per tale ragione un urto subito dalla testa si ripartisce in tensione vettoriale nelle ossa del cranio e fortunatamente in pressione scalare uniforme nel liquido di sospensione cefalorachidiano, salvando spesso così il cervello e il midollo spinale.
La famosa esperienza della botte di Pascal fatta scoppiare solo per innalzamento h, con poca acqua, del livello del liquido in un tubo innestato sul tappo della botte, descrive proprio la pressione idrostatica o piezometrica (piezein significa premere, nome dell’antica unità di misura della compressibilità di un liquido, poi bar), attualmente misurata in onore di Newton e di Pascal in Pa = N/m2, per cui:
con: 1 atm = 1 kg/cm2 = 10 t/m2 = 100 kN/m2 = 100 kPa = 0, 1 MN/ m2 = 0, 1 MPa.
Tale pressione corrisponde alla pascaliana altezza d’acqua h = 10 m essendo γw = 1 t/m3 = 10 kN/m3 il peso specifico del fluido coincidente, in assenza di aria, proprio con quello dell’acqua: si è passati dalla simbologia u greca (udos) a quella w (water) inglese, quasi a sottolineare il passaggio da una geotecnica umanistica ad una pragmatica.
Si è inoltre approssimata l’accelerazione di gravità g = 9,81 a 10,0 m/s2, per cui 1...

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