capitolo quinto
Il mutuo appoggio nella città medievale
(prima parte)
Crescita dell’autorità nella società barbara – Il servaggio nei villaggi – Rivolta delle città fortificate, loro liberazione, loro costituzioni – La gilda – Doppia origine della città libera medievale – Autogiurisdizione e autogoverno – Posizione onorevole del lavoro manuale – Il commercio della gilda e della città
La socievolezza e il bisogno di mutuo appoggio e aiuto reciproco sono talmente intrinseci alla natura umana che in nessuna epoca storica gli uomini hanno vissuto in piccole famiglie separate, combattendosi gli uni con gli altri per assicurarsi i mezzi di sussistenza. Al contrario, le moderne ricerche, come abbiamo visto nei due capitoli precedenti, mostrano che fin dagli albori della loro vita preistorica gli uomini si sono raggruppati in gentes, clan o tribù, tenute insieme dall’idea di una discendenza comune e dal culto dei comuni antenati. Per migliaia e migliaia di anni questa forma di organizzazione ha unito gli uomini, sebbene non vi fosse alcuna autorità che lo imponesse, segnando profondamente tutti i successivi sviluppi del genere umano; e quando i legami della discendenza comune vennero allentati dalle grandi migrazioni, e l’emergere della famiglia separata all’interno dello stesso clan distruggeva progressivamente l’antica unità, il genio sociale dell’uomo diede vita a una nuova forma di unione fondata su un principio territoriale: la comunità di villaggio. Di nuovo, questa forma organizzativa tenne insieme gli uomini per molti secoli, permettendo loro di sviluppare ulteriormente le proprie istituzioni sociali, di passare attraverso alcuni tra i periodi più bui della storia, evitando la dissoluzione in aggregati sconnessi di famiglie e individui, e di compiere un altro passo nella loro evoluzione, elaborando una molteplicità di istituzioni sociali secondarie, molte delle quali sono sopravvissute fino ai nostri giorni. Dobbiamo ora seguire gli sviluppi successivi di questa eterna tendenza verso il mutuo appoggio. Prendendo dapprima in considerazione le comunità di villaggio dei cosiddetti barbari al tempo in cui, dopo la caduta dell’Impero Romano, esse stavano compiendo un nuovo passaggio di civiltà, volgeremo poi la nostra attenzione sulle nuove forme assunte dall’attitudine socievole delle masse nel Medioevo, in particolare nelle gilde e nelle città medievali.
Ben diversi dagli animali rissosi ai quali sono spesso stati comparati, i barbari dei primi secoli della nostra era (così come tanti Mongoli, Africani, Arabi e così via, che vivono ancora in quello stesso stadio) preferirono invariabilmente la pace alla guerra. Con l’eccezione di alcune tribù, spinte dalle grandi migrazioni in deserti o altipiani improduttivi, e quindi costrette periodicamente a depredare i loro più fortunati vicini, la gran parte dei Teutoni, dei Sassoni, dei Celti, degli Slavi, e così via, appena stabiliti nei nuovi territori conquistati tornarono ben presto alla vanga o al gregge. I più antichi codici barbari ci presentano già società composte da pacifiche comunità agricole, e non orde di uomini in guerra gli uni contro gli altri. Questi barbari popolarono le campagne con villaggi e fattorie1, dissodarono le foreste, costruirono ponti sui torrenti, colonizzarono la natura selvaggia in precedenza del tutto disabitata, e lasciarono le incerte attività bellicose a confraternite, scholae, o compagnie di uomini irregolari, radunati attorno a capitani temporanei, che girovagavano offrendo il loro spirito avventuroso, le loro armi e le loro competenze belliche a protezione delle popolazioni, la cui maggiore aspirazione era di essere lasciate in pace. Le bande di guerrieri andavano e venivano, tenendosi impegnate con le loro faide familiari; ma la gran massa continuava a coltivare la terra, prestando poca attenzione ai suoi aspiranti dominatori, fintanto che non ostacolavano l’indipendenza delle sue comunità di villaggio2. I nuovi occupanti dell’Europa svilupparono i regimi di possesso della terra e di coltivazione che sono ancora in vigore tra centinaia di milioni di uomini; elaborarono i loro sistemi di compensazione dei torti, al posto della vecchia vendetta di sangue tribale; impararono i primi rudimenti dell’industria; e mentre fortificavano i loro villaggi con palizzate o innalzavano torri e forti dove rifugiarsi nel caso di una nuova invasione, presto lasciarono il compito di difendere quelle torri e quei forti a coloro che avevano fatto della guerra la loro specialità.
Questa stessa tendenza pacifica dei barbari, e non certo i loro presunti istinti bellicosi, fu quindi la causa del loro successivo asservimento ai capi militari. È evidente che il genere di vita delle confraternite armate offriva maggiori possibilità di arricchimento di quelle che i lavoratori della terra potevano formare nelle loro comunità agricole. Ancora oggi vediamo che degli uomini armati a volte si riuniscono per massacrare i Matabele e rapinarli delle loro mandrie di bestiame, nonostante i Matabele vogliano solo la pace e siano disposti a pagare un alto prezzo per averla. Le scholae di una volta non erano certamente più scrupolose delle scholae di oggi. Le mandrie di bestiame, il ferro (che a quel tempo era estremamente costoso)3 e gli schiavi venivano procurati in questo modo; e anche se molti beni venivano sperperati sul momento in quei gloriosi banchetti di cui la poesia epica parla tanto, una parte dei bottini rapinati era destinata all’arricchimento. C’erano terre incolte in abbondanza e non mancavano uomini pronti a coltivarle, se solo riuscivano a procacciarsi il bestiame e gli arnesi necessari. Interi villaggi rovinati dalle malattie del bestiame, dalle pestilenze, dagli incendi e dalle incursioni di nuovi migranti, erano spesso abbandonati dai loro abitanti, che se ne andavano alla ricerca di nuove dimore. Ciò avviene ancora in Russia in circostanze simili. E se uno degli hirdmen delle confraternite armate offriva ai contadini alcune bestie per ricominciare, del ferro per fare un aratro, se non l’aratro stesso, la sua protezione contro nuove incursioni e un certo numero di anni liberi da qualsiasi obbligo prima di dover iniziare a ripagare il debito contratto, essi si stabilivano su quella terra. E dopo una dura lotta con i cattivi raccolti, le inondazioni, le pestilenze, quando questi pionieri cominciavano a restituire i loro debiti, incorrevano nei doveri di servitù verso il protettore del territorio. In questo modo la ricchezza si accumulava, e il potere segue sempre la ricchezza4. Ma più penetriamo nella vita di quei tempi, il sesto e settimo secolo della nostra era, più vediamo che un altro elemento, oltre alla ricchezza e alla forza militare, era necessario per istituire l’autorità dei pochi. Fu un elemento che atteneva alla legge e al diritto, il desiderio delle masse di mantenere la pace e di stabilire la loro idea di giustizia, che diede ai capi delle scholae – re, duchi, knyaz e altri ancora – la forza che consolidarono due o tre secoli più tardi. L’idea di giustizia concepita come una vendetta commisurata al torto commesso, che si era sviluppata nel periodo delle tribù, ora attraversava come un filo rosso la storia delle istituzioni posteriori, per diventare, ancor più delle cause militari ed economiche, la base sulla quale venne fondata l’autorità dei re e dei signori feudali.
Infatti, una delle principali preoccupazioni della comunità di villaggio dei barbari era (ed è tuttora, tra i barbari a noi contemporanei) di mettere rapidamente fine alle faide che derivavano dalla concezione di giustizia allora corrente. Quando avveniva un litigio, la comunità interveniva immediatamente e, dopo che l’assemblea di villaggio aveva ascoltato le parti, stabiliva l’ammontare della composizione (wergeld) da pagare alla persona lesa o alla sua famiglia, oltre al fred, un’ammenda per la violazione della pace che doveva essere pagata alla comunità. I dissidi interni erano facilmente appianati in questo modo. Ma quando scoppiavano delle faide tra due diverse tribù o due confederazioni di tribù, nonostante tutte le misure prese per prevenirle5, la difficoltà stava nel trovare un arbitro la cui decisione fosse accettata dalle due parti, tanto per la sua imparzialità quanto per la sua conoscenza della legge antica. Il che era molto difficile, in quanto il diritto consuetudinario delle diverse tribù e confederazioni in materia di compensazione dovuta variava notevolmente. Divenne quindi abituale scegliere l’arbitro tra le famiglie o le tribù che si riteneva avessero conservato l’antica legge nella sua forma pura e che fossero esperte in materia di canti, triadi, saghe, e così via, grazie alle quali la legge si era perpetuata nella memoria. Questo modo di conservare la legge divenne una sorta di arte, un «mestiere» accuratamente trasmesso in alcune famiglie di generazione in generazione. Così in Islanda e in altri paesi scandinavi, a ogni Althing, o assemblea nazionale, un lövsögmathr recitava a memoria l’intera legge a edificazione dell’assemblea; e in Irlanda esisteva, come è noto, una classe speciale di uomini rinomati per la loro conoscenza delle vecchie tradizioni, che proprio per questo godevano di grande autorità come giudici6. Quando poi ...