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Sconfiggere il male
Le 100 domande e le 100 risposte per prevenire, conoscere e combattere i tumori
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Sconfiggere il male
Le 100 domande e le 100 risposte per prevenire, conoscere e combattere i tumori
Informazioni su questo libro
"La cellula cancerosa sa fare tutto. E se c'è qualcosa che ancora non sa fare, lo impara subito". Questa definizione del professor Lucien Israel, uno dei più grandi oncologi al mondo, spiega alla perfezione la terribile sfida di chi lotta ogni giorno contro la più temuta delle malattie. Proprio per questo la Medicina dev'essere "anche" narrazione da parte del medico per poter dare al paziente conoscenza, oltre che le cure. Concetto che è la pietra angolare di questo libro, pensato dall'Autrice non per gli addetti ai lavori, ma per tutti. Di qui, appunto, la scelta: una lunga intervista – 100 domande e 100 risposte – per rispondere agli interrogativi di chi medico non è. Usando un linguaggio semplice, diretto, sincero, mai equivoco. Perché la conoscenza è il primo strumento di prevenzione per chi è sano, ma al tempo stesso diventa un'arma in più a disposizione di chi sta lottando contro il male. Vi troverete, dette e spiegate, cose note e meno note. Ve ne saranno rivelate altre spesso taciute, forse perché sgradite a qualcuno. Così come vedrete messi in discussione tanti luoghi comuni che spesso sono pericolosi tanto quanto il nemico stesso: il tumore o, meglio, i tumori.
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Informazioni
Parte 1
LA MALATTIA
Che cos’è il tumore, perché nasce, come si sviluppa, con quali astuzie si riproduce, come si muove e si nasconde per poi magari riapparire altrove, anche a tanti anni di distanza
1. Dottoressa Di Fazio, partiamo dalla domanda in apparenza più banale e ovvia, ma al tempo stesso la più logica, quella che cioè il grande pubblico – spaventato – si pone prima di ogni altra: che cos’è esattamente un tumore, oltre che un sostantivo capace di incutere tanta legittima paura?
Faccio una doverosa premessa: in tutte queste mie 100 risposte parlerò così come ho già fatto nei miei primi due libri. Userò cioè un linguaggio accessibile a tutti, evitando nei limiti del possibile i termini tecnici (semmai spiegandoli, qualora sia doveroso citarli). Questo anche a costo di far sorridere gli addetti ai lavori. Perché sono convinta, lo predico da anni, che la capacità di narrazione sia una delle doti più importanti di un bravo medico; che non è, e non sarà mai un Gran Sacerdote, membro di un inavvicinabile Sinedrio da dove la scienza viene fatta calare dall’alto.
Adattandomi di volta in volta a quello che mi appare essere lo stato psicologico della persona che ho di fronte, e scegliendo le parole più giuste, io cerco sempre di far sì che il paziente possa CONOSCERE il più possibile della sua patologia. Perché il paziente informato ha una straordinaria arma in più per guarire; la sua conoscenza è infatti sinergica alla terapia e lui sarà il mio primo “aiuto” in quello che DEVE essere un lavoro di squadra.
Quindi io spiego sempre: senza spaventare, ma senza nascondere nulla. Dicendo le cose come stanno, evitando ovviamente atteggiamenti negativi o di rassegnazione, ma al tempo stesso senza far balenare soluzioni miracolistiche che non sono di questa Terra. E quindi nemmeno della Medicina. Per essere il più possibile comprensibile, nelle lunghissime visite vado anche oltre, usando per esempio i disegni, proprio per poter visualizzare in modo immediato come stanno agendo le cellule tumorali, ma anche come le cure che somministrerò potranno ostacolarne il letale progetto. Ne consegue che il mio paziente ha sempre una copia – costantemente aggiornata, visita dopo visita, terapia dopo terapia – della sua cartella clinica. E quanto al consenso informato, non può risolversi in un mero atto burocratico di poche righe standard da far firmare soltanto perché così è previsto per legge; dettaglia invece tutta la strategia, farmacologica e non, che metterò in atto contro la malattia.
Scusandomi per la premessa, vengo ora alla prima domanda. E alla mia prima risposta.
Dietro a quello che noi siamo soliti chiamare al singolare – cancro, tumore o, ancora, neoplasia – si nasconde invece una pluralità, un gruppo, un insieme: quello delle cellule tumorali. Le quali in modo “anarchico”, scatenate da una serie di cause e concause, decidono un giorno di ribellarsi al legittimo sistema, chiamato omeostasi. Termine, questo, che sta a indicare il perfetto esercizio di equilibrio con il quale un organismo vivente tende a mantenere costanti, virtuosamente, i propri parametri biologici, in maniera tale da poter conservare – appunto – il proprio equilibrio vitale. Una cellula sana, per intenderci, svolge il suo ciclo di vita nel tessuto dove nasce e al quale appartiene. Senza abbandonarlo mai. E fino al momento del proprio suicidio – anch’esso virtuosamente e saggiamente programmato dalla Natura e chiamato apoptosi – vive e agisce “per” quell’organo, a suo esclusivo favore, riproducendosi un numero di volte ben determinato; di norma non più di una cinquantina.
La cellula cancerosa, invece, a tutto questo non ci sta. Lei si ribella alla legge di Natura e in un certo senso “impazzisce”, iniziando a lavorare e a moltiplicarsi per conto suo e, peggio, per il numero di volte che vuole lei. Lo fa senza nessuna regola, assumendo altre identità, andando a invadere tessuti ai quali non appartiene, creando così i tumori secondari – quelli che chiamiamo metastasi – e costruendosi addirittura risorse autonome e “abusive” per sopravvivere. Ed è anche questa sua straordinaria quanto micidiale capacità di movimento a renderla pericolosa. Proprio perché entrando nel torrente ematico, e cioè nella nostra circolazione sanguigna, sfruttandola come fosse una rete autostradale, la cellula malata può “viaggiare” dove vuole, andando a fare danni dovunque e infischiandosene anche dei limiti di velocità. Decide lei anche quelli. Il tumore, spiegato in poche parole, consiste in questo. Ma come dice il mio Maestro, il professor Philippe Lagarde, dall’alto del suo mezzo secolo di lotta contro il cancro: “Bisogna demistificare la malattia cancerosa, perché il cancro deve occupare lo stesso posto, nella coscienza collettiva, delle altre malattie di cui si può morire”.
2. Lei combatte ogni giorno contro queste cellule malate e ha imparato a conoscerle bene. Ce le può descrivere più dettagliatamente? Si dice, per esempio, che siano intelligenti. Ce lo conferma?
Dire che le cellule tumorali siano intelligenti equivale, ahimè, a sottovalutarle. Cito in proposito il professor Lucien Israel, uno dei più grandi Maestri dell’oncologia del secolo scorso: “La cellula cancerosa sa fare tutto, e se c’è qualcosa che non sa ancora fare, lo impara subito. Per di più, lo impara troppo presto per noi”. Definizione perfetta quanto terribile, che posso purtroppo confermare: le cellule cancerogene sono molto più intelligenti di qualsiasi altra creatura vivente. Con l’aggravante di esserlo a fin di male. Ma sono anche peggio: sono furbe, astute, smaliziate, vigliacche, ingannatrici, trasformiste, mimetiche, capaci addirittura di sparire per un certo tempo per poi riapparire altrove, dove meno te lo aspetti e perfino “camuffate”, mutando aspetto per non farsi riconoscere dai pur perfetti sensori del nostro sistema immunitario.
Sull’altro fronte di questa guerra, quindi, non ci può essere soltanto un medico generico. Non fraintendetemi, lo dico con tutto il più sincero rispetto nei confronti di colleghi che svolgono un quotidiano, preziosissimo, spesso ingrato e ahimè sempre anonimo lavoro di sentinelle della Salute pubblica. E ringrazio tutti quelli – e sono tanti – che mi contattano per segnalarmi un caso sospetto, anche se poi si dovesse trattare di un falso allarme. Nessuno più di me è felice quando si tratta di falsi allarmi! Voglio dire che se io, da oncologa, non penserò mai di saperne più di un cardiologo nel suo specifico settore – e questo vale ovviamente per tutti gli altri specialisti, con i quali anzi mi consulto regolarmente – altrettanto mi corre l’obbligo di sottolineare che, quando si parla di tumori, la mole di informazioni e di casistica specifica è vastissima. Perché davvero infinite sono tanto le connessioni che possono portare a un “incastro” perfetto tra tutte le tessere del puzzle terapeutico, quanto i “pezzi estranei” in grado invece di scompaginarlo e lasciarlo incompiuto.
Alla stessa maniera, per opposti motivi, sono convinta che nella lotta contro i tumori non sia sufficiente nemmeno l’iperspecializzazione nella cura di un unico e determinato organo. Il rischio è infatti quello di avere inevitabilmente una visione parziale e circoscritta della malattia in atto. Per fare l’oncologo servono in fondo principalmente due cose: da un lato una frequentazione quotidiana, per anni e anni, di queste “stramaledette” cellule, come le chiamo io; dall’altro lato è indispensabile una visione olistica, a 360 gradi, del nostro organismo. Quello oncologico è infatti un malato particolarmente “fragile”, più di qualsiasi altro; nel senso che, per esempio, mentre lo stai curando per un problema ai reni, lui può “rompersi” all’improvviso a livello polmonare. O altrove.
Il fatto è che quelle “stramaledette”, come dicevo prima, sono sempre in veloce e indisciplinato movimento lungo la nostra “autostrada”. Per poterle combattere bisogna quindi conoscerle in ogni loro micidiale sfumatura. Una “frequentazione” di tipo teorico, generico o episodico, non è insomma sufficiente. Io dico che alle cellule tumorali bisogna arrivare a dare del “Tu”. Quindi non basta sapere tutto del fegato o del polmone, del colon oppure del seno, della prostata o del pancreas. Devi invece conoscere tutto di tutti questi organi. Devi sapere come essi lavorano all’unisono e come “si parlano”, comunicando tra loro. Dobbiamo tenerlo bene a mente: le nostre cellule si parlano. Le sane lo fanno a fin di bene, ma ahimè lo fanno invece a modo loro anche quelle tumorali, scambiandosi tempestivamente le informazioni necessarie a controbattere o a evitare le “armi” che tu oncologo stai usando per ucciderle. Di conseguenza devi saper ascoltare anche queste loro “voci” silenziose. Devi, insomma, conoscere tutto e tanto altro ancora e ben prima di decidere quali saranno le terapie chemioterapiche, radiologiche, chirurgiche o integrate che potrai usare.
3. La domanda, a questo punto, sorge spontanea: ma perché succede? Perché una ribellione così cattiva da parte di quelle che lei chiama le “stramaledette”? Perché lo fanno?
Sacrosanta domanda. E per rispondere ritorno all’omeostasi, dicendo che in certi soggetti, più che in altri, la tendenza virtuosa dell’organismo a mantenere costanti i propri parametri biologici può rivelarsi di per sé debole o alterata. Oppure è la stessa cellula tumorale a nascere o ad “apprendere” strada facendo la capacità di sconvolgere le regole. Queste sono perlomeno le due spiegazioni più correnti, accademiche, delle quali l’una non confligge comunque con l’altra. Tantomeno esse si smentiscono. Personalmente, preferisco darmi una risposta che le comprenda entrambe, fondendole.
Parlo cioè di un’azione combinata. Da un lato ci siamo noi, con i nostri errati stili di vita, che vanno dalla scorretta alimentazione all’abuso di farmaci, passando ovviamente dal pericolo numero uno, il vizio del fumo. Dall’altro ci sono colpe assolutamente non nostre come l’inquinamento atmosferico, quello elettromagnetico, in parte la genetica, oppure la familiarità, senza dimenticare mai le diverse forme di stress o i grandi dolori della vita. Tutte queste cause, o alcune di esse, possono combinarsi e sovrapporsi, sommandosi e diventando appunto concause. Il risultato è il medesimo: un serio danno al nostro perfetto sistema immunitario, ma anche ad altri equilibri vitali, come quello ormonale. E allora, pronte in agguato, ci sono quelle cellule potenzialmente ribelli che attendono soltanto di poter individuare i nostri punti di debolezza per rivoltarsi contro di noi.
4. Dando per scontata la prevenzione primaria – che spetta a noi – che cos’altro possiamo fare?
Se è vero che noi singoli possiamo fare ahimè ben poco contro le diverse forme di inquinamento, è altrettanto fuor di dubbio che siamo invece in grado di fare moltissimo per non “inquinarci” ulteriormente con le nostre mani. Mi spiego meglio: non è soltanto inutile, ma assolutamente idiota dirsi: “Se l’aria è già inquinata perché mai dovrei smettere di fumare?”. Perché così facendo aggiungiamo veleno a veleno, questo lo capirebbe anche un bambino, dal momento che i veleni si sommano tra loro, mica si annullano! Ciò significa assumere un corretto stile di vita basato su almeno tre facili presìdi alla portata di noi tutti e della nostra forza di volontà.
Primo presidio: l’irrinunciabile caposaldo di non fumare. E quando dico “Non fumare” intendo del tutto, senza nasconderci dietro all’alibi del “Tanto io fumo soltanto qualche sigaretta”; perché basteranno anche quelle “tre o quattro sigarette” a procurarci gravi danni.
Secondo presidio: un regime alimentare rispettoso del nostro vero primo cervello, e cioè l’intestino, lì dove si trova non a caso più del 70% del sistema immunitario, nostra prima e fondamentale difesa contro le aggressioni del male. Ficchiamocelo bene in testa: è dall’intestino che parte quasi tutto, in positivo così come in negativo. Quindi adesso, in questo momento, se magari stavate pensando di chiudere il libro per andare a fare un iperuntuoso, ipersalato, iperalcolico e quindi ipermalsano “apericena” con gli amici, rimanete a casa, datemi retta! Possiamo concederci uno “strappo” saltuario e ragionevole, questo lo dico sempre, ma non simili barbarie alimentari quotidiane.
Terzo presidio: una moderata attività fisica per mantenerci tonici e ossigenati.
Ignorare o sottovalutare questi tre presìdi e comportarci altrimenti, è un po’ come se noi stessi, da masochisti, “arassimo”, concimassimo e innaffiassimo il terreno davanti alle cellule ribelli, lasciandole poi libere di seminare e far crescere i loro chicchi avvelenati.
5. Immagine efficace quanto inquietante, dottoressa. Ma quali sono i fattori – evitabili o meno – che fanno da “aratro” a tutto vantaggio del male?
Sono ahimè tanti. Do per scontato il bagaglio genetico, inevitabilmente e individualmente nostro, ma che per esperienza non va sopravvalutato in termini di “colpa”, dato che gliene possiamo attribuire al massimo una percentuale tra il 12 e il 20%. Il primo fattore negativo “esterno” è invece uno di quelli contro i quali noi singoli umani possiamo fare ben poco. Mi riferisco all’inquinamento atmosferico e ambientale – incluso quello delle falde acquifere – con il suo carico di veleni, polveri sottili, metalli pesanti e scarichi derivanti tanto dall’industria quanto dall’attività agricola e zootecnica. Parlo di un crimine commesso contro Madre Natura e del quale noi, come genere umano, siamo tutti più o meno in parte responsabili per colpa collettiva, più che per dolo individuale.
Ci può essere però anche un inquinamento “indotto”, del quale siamo vittime per motivi di lavoro o per condizioni abitative, con un forzoso, quotidiano e prolungato contatto con sostanze tossiche e velenose. Penso all’amianto che, pur se teoricamente fuori legge, continua a produrre danni mortali sia per come viene spesso smaltito in modo abusivo e criminoso nell’ambiente, sia perché ancora non è stato eliminato del tutto da tetti o da intercapedini di tante abitazioni. Ma penso a chi lavora in certi comparti lavorativi, a contatto con vernici o materiali isolanti, prodotti per la pulizia o inchiostri da stampa; e ancora con antiparassitari, diserbanti e con tanti altri artifizi contro Natura usati abitualmente in agricoltura. L’elenco sarebbe infinito. Posso aggiungere che perfino respirare tutti i giorni normalissime e “innocue” farine alimentari, come quelle usate nella panificazione, può presentare un potenziale rischio di malattia professionale. Casi del genere, purtroppo, ne ho dovuti vedere e curare tanti. Non per nulla, la domanda su quale professione svolga, e da quanto tempo, a un nuovo paziente in visita da me è sempre tra le prime.
Penso però anche al quotidiano “bombardamento” elettromagnetico, una forma di inquinamento che purtroppo è stata ancora troppo poco indagata. Il che non mi stupisce: l’eventuale scoperta di qualche inoppugnabile verità in merito alla nocività di questa sorta di “fumo passivo” da onde elettromagnetiche nel quale ormai viviamo immersi, andrebbe a danneggiare uno dei più grandi e profittevoli business plurimiliardari di questi ultimi decenni, quello della telefonia cellulare e degli onnipresenti e “invasivi” wi-fi. Intendiamoci bene: certezze in materia non ne ho, così come peraltro non ne ha al momento nessuno. Ma posso dire che legittimi e “prudenti” sospetti ne nutro più d’uno, così come ne nutrono altri scrupolosi oncologi e medici vecchia maniera; quelli che cioè si rifiutano di infilare la testa nella sabbia e di nascondersi dietro al comodo alibi che “Non c’è finora evidenza scientifica”. Per non sbagliare, io continuo comunque a sospettare e quantomeno a mettere sull’avviso i miei pazienti. Lo faccio per perseguire sempre e in ogni modo il loro benessere. Ma anche per altri due validi motivi. Uno è di una banalità assoluta: qualsiasi evidenza dichiarata un certo giorno “scientifica”, era già tale prima. Nei fatti! Solo che non si sapeva. Lo era già, però, per qualche vox clamantis in deserto che forse l’aveva anche soltanto intuita. E che per questo era stata irrisa. Intanto, però, i danni alla salute, erano stati provocati.
L’altro motivo che mi autorizza a sospettare – sempre! – si chiama “casistica”. Oppure, se volete, capacità e volontà di osservazione. Mi riferisco a quell’insieme di esperienza che nella Medicina di un tempo, prima dell’ossessivo mantra dell’evidenza scientifica, derivava da due parole che erano da sole alla base dell’Arte medica, così come la chiamava Ippocrate: diagnosi e clinica.
Perché se io, oncologa, vedo da anni una crescente recrudescenza dei neurinomi del nervo acustico o, ancora peggio, di tumori cerebrali nei bambini, qualche domanda sulla supposta innocuità di queste onde elettromagnetiche che ci avvolgono 24 ore su 24 me la dovrei porre. Soprattutto sapendo quello che mi confermano i dati epidemiologici: e cioè che da noi in Italia i tumori cerebrali infantili sono ormai al secondo posto dopo le leucemie. Quindi io la domanda me la pongo e sinceramente non me ne importa nulla delle risate che potranno farsi, leggendomi, i tecnici e i manager delle imprese che queste onde le diffondono, le vendono e se ne “cibano”. Loro non sono oncologi e non danno del “Tu” ai tumori; io purtroppo sì. O forse dovrei chiudere gli occhi davanti all’evidenza tangibile della malattia e aspettare di vedere scritta nero su bianco – quando la sanciranno e chissà mai quando – quella futura “evidenza scientifica”? Lo dico soprattutto sapendo che certe “scomode” evidenze scientifiche vengono spesso nascoste o pilotate ad arte da chi ha i mezzi economici e il potere politico per farlo. Evidenze scientifiche che vengono lasciate da parte, nell’ombra, in quanto potrebbero “disturbare” il manovratore. O meglio, i manovratori e i loro interessi economici con tanti zeri.
6. Qualcuno di recente ha parlato della potenziale nocività dei virus come cause o concause di forme tumorali. Lei è d’accordo?
Assolutamente d’accordo. E infatti, a farmi arrabbiare, sono proprio due elementi involontariamente sottolineati nella formulazione della domanda stessa: il primo elemento è che purtroppo sia soltanto “qualcuno” a parlare della pericolosità oncologica di determinati virus; il secondo è che si sia iniziato a discuterne soltanto “di recente”. Paradossale, invece, è che l’unico virus di cui si parla in Italia, una volta all’anno, sia quello influenzale. Così, quando è stagione, viene fatto rimbalzare con esagerati colpi di grancassa sui media, nemmeno si trattasse di un’attuale e annuale riedizione della peste manzoniana. Ma il risultato lo ottengono: farmacie prese d’assalto da gente alla disperata ricerca di vaccini o addirittura di antibiotici. E dire che basterebbe avere il microbiota intestinale in perfetto equilibrio, mantenuto tale grazie a una alimentazione corretta e all’uso periodico di un buon probiotico, per renderci di fatto immuni all’influenza. E non solo a quella. Ma business is business, come al solito!
In compenso, di altri virus ben più micidiali non si parla quasi mai. Ignorandoli o sottovalutandoli. Facendoci dimenticare, in un modo o nell’altro, quali potenziali cause scatenanti di tante patologie possano rappresentare. Inclusi i tumori.
I principali virus dei quali è riconosciuta l’azione cancerogena sono quelli dell’epatite B e C; senza però dimenticare l’Epstein-Barr, responsabile della mononucleosi infettiva, nota anche come “malattia del bacio”. È un’infezione latente, asintomatica nei bimbi, ma devastante negli adulti e, quel che è peggio, diffusissima, dato che statistiche epidemiologiche ci dicono che a esserne affetto è un buon 90% della popolazione. Infezione che è inoltre sospettata di essere la fonte di diverse patologie ...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Prefazione
- Parte 1 - LA MALATTIA
- Parte 2 - LA PREVENZIONE PRIMARIA
- Parte 3 - LA PREVENZIONE SECONDARIA
- Parte 4 - LE TERAPIE