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Informazioni su questo libro
Una guida facile, chiara e utile per le famiglie, che conduce per mano il risparmiatore, specialmente quello con minori disponibilità economiche, alla scoperta degli strumenti finanziari sui quali investire, dal conto in banca ai titoli di Stato, dalle azioni ai fondi comuni, ma anche a molti altri "prodotti" dai nomi altisonanti che possono però nascondere delle trappole.
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Informazioni
Argomento
Personal DevelopmentCategoria
Investments & SecuritiesCapitolo 1
FAI-DA-TE O GESTIONE?
I risparmi di una vita di lavoro. L’eredità arrivata inaspettatamente. Liquidità temporanea, magari dopo aver venduto un immobile e in attesa di comprarne uno nuovo. Sono solo esempi di casi in cui una famiglia si trova a disporre di capitali e non sa come impiegarli.
Aggiungiamo poi una constatazione: gli italiani, insieme con i giapponesi, sono nel mondo il popolo più abituato ad accantonare. Anche se questa consuetudine tende un po’ ad affievolirsi di fronte alle tentazioni del consumismo sempre più in agguato, siamo ancora delle formichine. Ragioni storiche, sociali e anche politiche sono alla base di questo primato. Le dominazioni straniere, le guerre, le vicissitudini che hanno caratterizzato l’evoluzione del nostro Paese hanno fatto sì che si radicasse nelle nostre famiglie un forte sentimento di preoccupazione per il futuro, che ha creato prima di tutto l’esigenza di “mettere da parte” e di conseguenza la propensione a risparmiare, a qualunque livello di reddito e di appartenenza sociale.
Le famiglie italiane, insomma, considerate globalmente, hanno nel tempo accumulato risorse e oggi rappresentano un enorme serbatoio di risparmi. Tanto da riuscire a finanziare uno dei più grandi debiti pubblici del mondo industrializzato. E che in Italia il risparmio privato abbondi lo sanno anche le banche e le grandi istituzioni finanziarie mondiali, che guardano costantemente al nostro Paese come a una specie di terra promessa per la loro raccolta. Ebbene, questo è uno dei motivi per cui occorre avere le idee ben chiare sul fronte dell’impiego dei risparmi.
Banche, società di gestione, consulenti finanziari sono pronti in ogni momento a fare le proprie proposte. Spesso suggestive, accattivanti e accompagnate da promesse di rendimenti senza rischi. Come fare, dunque, a scegliere la soluzione più adatta alle proprie esigenze?
La cultura finanziaria in Italia purtroppo è ancora molto limitata. I più anziani rimpiangono l’epoca d’oro dei Bot. Ma quella era stata soltanto un’illusione. I rendimenti erano sì elevati, ma a fronte di un altrettanto elevato tasso d’inflazione. Costretti (per fortuna) dai nuovi impegni internazionali legati alla nascita della moneta unica europea, i Governi che si sono succeduti nel nostro Paese hanno dovuto intervenire per spezzare la spirale prezzi-salari che era all’origine dell’inflazione a due cifre. E con la discesa dell’inflazione è sceso anche il livello dei tassi d’interesse. È a questo punto che il cosiddetto Bot people, come era stato definito con una efficace immagine giornalistica, ha cercato nuove strade. Andando incontro non di rado a cocenti delusioni.
Tramontata la stagione dei titoli di Stato, il risparmio degli italiani si è dunque distribuito su una serie di approdi diversi. Non solo il classico mattone (un tema che merita una trattazione a parte, che esula dagli obiettivi di questo libro), ma anche la Borsa, i fondi comuni d’investimento, la previdenza integrativa. Tutti strumenti che all’estero, nei Paesi economicamente più evoluti, erano utilizzati da tempo, anche a livello di piccolo risparmio.
Ma come orientarsi tra le varie opzioni che oggi il mercato finanziario è in grado di offrire? Le risposte non sono uguali per tutti.
Tanto per fare un esempio, un giovane all’inizio della carriera lavorativa e quindi con una prospettiva nel tempo di un reddito crescente, può prendersi più rischi rispetto a una persona anziana che vive di pensione e dei proventi dei propri risparmi. Sì, perché, come ripeteremo sempre più spesso nelle pagine successive, più alto è il rischio più elevato è il rendimento. E viceversa. Ma rischio vuol dire anche possibilità di perdere tutto in caso di cambiamenti radicali delle prospettive dell’economia o di improvvise crisi finanziarie internazionali. Non solo: da qualche tempo sono cambiati gli stessi parametri normalmente usati per stabilire che cosa è rischioso e che cosa non lo è.
Fino a ieri l’investimento azionario era per definizione ad alto rischio, legato com’è alle fluttuazioni delle Borse e all’andamento della gestione delle società che emettono le azioni. Al contrario le obbligazioni e i titoli di Stato erano sinonimo di sicurezza perché, anche se le loro quotazioni oscillano in funzione delle variazioni dei tassi d’interesse, prevedono alla scadenza il rimborso totale del capitale. E in cima alla scala della sicurezza c’erano proprio i titoli emessi dagli Stati, che si ritenevano, a differenza delle società private, immuni dalla possibilità di fallire.
Dopo che la Repubblica Argentina è andata in default (2001), dichiarandosi non più in grado di restituire i prestiti, anche questa certezza è caduta. Insomma, come ha dimostrato in seguito la grave crisi finanziaria internazionale dell’estate 2011, i timori che uno Stato sovrano possa non onorare i propri debiti non sono affatto diminuiti. Anzi, sono cresciuti oltre ogni ragionevole livello.
E allora? Non ci si può più fidare di nulla e di nessuno? La risposta è ovviamente no. Massima prudenza, occhi aperti e decisioni ponderate, ma senza cedere al catastrofismo. I mercati salgono e scendono per definizione e i prodotti finanziari sui quali investire si evolvono. Ciò che serve è una guida che permetta di evitare, per quanto possibile, gli errori più gravi. Tra chi vede tutto nero e chi nonostante tutto resta ottimista c’è una grandissima varietà di posizioni. Si tratta dunque di districarsi all’interno di una gamma di soluzioni che, coniugando rischi e opportunità, permettono di trovare quella più adatta alle proprie esigenze.
Esamineremo nel dettaglio i singoli strumenti finanziari nei prossimi capitoli. Per il momento cerchiamo invece di affrontare un quesito preliminare: nella scelta su come impiegare i propri risparmi è meglio il cosiddetto “fai-date” oppure vale la pena affidarsi a un esperto? La prima soluzione si adatta certamente a chi ha solide conoscenze finanziarie e un’esperienza in materia classificabile come medio-alta. La seconda dovrebbe invece riguardare chi, per incompetenza, pigrizia o mancanza di tempo, non se la sente di affrontare il problema.
La prima cosa da fare, dunque, è un esame di coscienza. Ma che sia davvero tale. Spieghiamoci meglio: molti di noi pensano di conoscere in misura sufficiente i mercati e i meccanismi che li regolano. E in ogni caso sono convinti che a colmare le eventuali lacune sia sufficiente un po’ di intuito. Nulla di più errato. Il rischio è quello di fare scelte emotive, dettate dagli scenari del momento. D’altra parte, non è detto che affidarsi al gestore sia la soluzione ideale. Oltretutto in questo caso il rendimento subirebbe un “taglio” certo, pari alla commissione che occorrerà riconoscere allo stesso gestore.
Insomma, non è facile decidere. Proviamo dunque a fare alcuni esempi specifici.
Per una persona relativamente giovane, con un reddito medio-alto e una buona cultura finanziaria, è certamente preferibile la soluzione del “fai-da-te”. Con un’unica condizione di base da rispettare: diversificare il più possibile i propri investimenti. Comprare cioè un po’ di tutto. Obbligazioni e titoli di Stato che riconoscono una cedola più o meno costante ma anche qualche titolo azionario, senza dimenticare di mantenere una piccola parte di liquidità, sotto forma di denaro contante lasciato sul conto corrente (a questo proposito, come vedremo più avanti, vanno benissimo i cosiddetti “conti di deposito”). Una volta stabilito il mix tra queste tipologie, l’operazione va ripetuta nel dettaglio. Per esempio, la parte dedicata a obbligazioni e titoli di Stato (Bot, Cct, Btp eccetera) dovrà essere suddivisa per scadenza: una parte a breve (due, massimo tre anni), una parte a medio termine (dai 5 ai 10 anni) e, se l’investitore è particolarmente giovane, anche una parte a più lunga scadenza. Tenendo presente che:
1. i titoli obbligazionari quando scadono sono rimborsati interamente (salvo l’eventualità del fallimento della società emittente);
2. possono comunque essere venduti in ogni momento, incassando il controvalore dopo tre giorni.
Nella scelta dei titoli, poi, occorrerà tenere conto del cosiddetto rating, emesso dalle società specializzate. Si tratta di un voto sull’affidabilità del debitore e di solito è direttamente collegato al rendimento. Tanto più il voto è alto (e quindi la solidità dell’emittente è massima), tanto più il rendimento sarà basso. Viceversa, se un titolo obbligazionario (ma anche il buono emesso da uno Stato sovrano) offre tassi elevati, significa che il rating è basso e che dunque potrebbe esserci il rischio di un’insolvenza prima della scadenza.
Fin qui le considerazioni relative ai titoli obbligazionari. Per quelli azionari il ragionamento segue lo stesso percorso, ma in questo caso la componente rischio è maggiore (tant’è che l’investimento in azioni viene definito “capitale di rischio”). Una volta stabilito quanto delle proprie disponibilità indirizzare verso le azioni, si passerà dunque alla scelta dei titoli. E anche qui vale il criterio della massima diversificazione. Con qualche indicazione di fondo.
Non dovrebbe mancare, per esempio, una quota investita in azioni cosiddette “anticicliche”: appartenenti cioè a comparti come l’alimentare e il farmaceutico, che meno di altri risentono dei cicli dell’economia (mangiare e curarsi rappresentano priorità per tutti anche in tempi di crisi). Così come una piccola parte potrebbe essere indirizzata verso società che si occupano di business specifici che si presume possano permettere guadagni elevati, come l’alta tecnologia, le nuove fonti di energia, il biomedicale. E ancora: azioni del comparto finanziario, con una leggera preferenza per gli assicurativi piuttosto che per i bancari.
È consigliabile qualche cautela, invece, nei confronti delle cosiddette “società-contenitore”, come le finanziarie di partecipazione, che hanno come scopo la sola gestione di pacchetti azionari di altre società.
Variazioni al mix possono poi essere apportate nel tempo in funzione di avvenimenti imprevisti. Un piano governativo di grandi opere pubbliche, per esempio, potrebbe favorire le società cementifere. Così come la scoperta di un nuovo farmaco rivoluzionario determina di solito un boom delle azioni della società che si è assicurata lo sfruttamento del brevetto. E gli esempi potrebbero continuare.
In ogni caso, non ci si deve allontanare dalle linee guida – rappresentate sostanzialmente dalla diversificazione – scegliendo soltanto attività finanziarie quotate sui mercati ufficiali, che sono liquidabili in qualsiasi momento. Poi evitare di seguire le oscillazioni di breve periodo delle quotazioni, con il rischio di prendere decisioni avventate, mosse soltanto da reazioni emotive.
Certo, c’è anche chi pensa di operare speculativamente, comprando e vendendo di continuo, sfruttando le oscillazioni di prezzo di breve periodo. Si tratta dei cosiddetti trader, cresciuti di numero negli anni recenti grazie alla diffusione delle banche online. In questo caso è bene sapere che il rischio di “sbagliare momento” è molto alto.
Esistono ricerche che dimostrano come sia più facile perdere che guadagnare. Un’indagine fatta negli Usa è arrivata addirittura alla conclusione che l’80% dei trader “fai-da-te” alla lunga perde, mentre del restante 20% una metà va in pari e l’altra metà guadagna. E quelli che guadagnano sono coloro che dispongono di capitali cospicui, il che permette loro di controllare l’emotività e sopportare le perdite temporanee, che possono essere anche forti.
Fin qui le linee guida per chi sceglie di operare in proprio. Ma c’è anche chi preferisce delegare. Per varie ragioni: la scarsa dimestichezza con i mercati e la finanza; l’età avanzata associata a un reddito di sola pensione, che normalmente non è soggetto a incrementi futuri; anche (perché no?) la fiducia riposta nelle capacità di un operatore.
È bene tuttavia ricordarsi che il servizio di gestione ha un costo, la cui incidenza andrà a diminuire il rendimento finale dell’investimento. È chiaro che tanto più alto sarà il rendimento che il gestore sarà riuscito a ottenere, tanto meno significativo sarà il “peso” della commissione.
Una volta deciso di affidare i propri risparmi a un soggetto esterno, si tratterà a questo punto di scegliere quale. E la prima discriminante è legata alla somma da investire: se è inferiore a un determinato livello, la strada obbligata è quella dei fondi comuni d’investimento, di cui si parla nel dettaglio al Capitolo 6. Se, invece, si dispone di cifre consistenti, allora c’è la gestione personalizzata, che tutte le banche offrono ai clienti cosiddetti affluent, cioè facoltosi. Il servizio in questione si chiama private banking, cui è dedicato un paragrafo.
Riassumendo
• Investire direttamente sui mercati finanziari implica una preparazione specifica. Chi ritiene di avere le competenze adeguate deve in ogni caso seguire alcune regole, la prima delle quali è la diversificazione degli strumenti.
• Affidare i propri risparmi in gestione è possibile attraverso due strade: quella del fondo comune d’investimento (in tutte le sue forme, comprese le più recenti, come i Pir e gli Eltif) e quella della gestione personalizzata. Nel primo caso bastano piccole somme, nel secondo occorre disporre di capitali consistenti. In entrambi i casi si pagano delle commissioni, che incideranno sul rendimento finale.
Capitolo 2
DA CONSULENTE A PROMOTORE (E RITORNO): CHI E COME SCEGLIERE
I risparmiatori italiani si affidano sempre più ai consigli di esperti prima di prendere decisioni di investimento.
I professionisti della consulenza (quelli regolarmente autorizzati) sono un esercito: secondo la relazione annuale presentata alla Camera dei Deputati il 27 giugno 2019, si tratta di oltre 35mila persone, il 60,1% delle quali risiede in una regione del Nord Italia e il 39,9% al Centro-Sud e nelle Isole.
Le più recenti norme europee su questa professione fanno però una distinzione tra chi consiglia e vende un prodotto e chi invece si limita a dare assistenza. Tra le due figure esiste una differenza non da poco. Il primo è sostanzialmente un agente di vendita, che lavora per un intermediario finanziario, banca o società di gestione. Il secondo (il consulente puro) è invece un esperto che non “vende” un prodotto ma soltanto informazioni e consigli. Anche la normativa che regola le due figure è cambiata nel tempo. E, con l’ultima versione della Mifid (la regolamentazione europea che disciplina i servizi di investimento), sono cambiate anche le definizioni. Dopo che per molti anni l’antico consulente era diventato promotore, oggi il termine consulente vale per entrambi (sia pure con una diversa aggettivazione).
Prima di approfondire le due tipologie professionali, occorre fare un breve excursus storico. E per comodità e chiarezza continueremo a identificare con le vecchie definizioni (almeno in questa fase) le due figure professionali. La categoria dei promotori finanziari è nata a circa metà degli anni ’80. Lo scopo (o l’ambizione) era quello di far concorrenza alle banche sul terreno della consulenza. Ma ben presto, anche a causa dell’assenza di una regolamentazione della nuova professione, la consulenza si è trasformata in pura attività di vendita. Tanto che dopo qualche anno è cambiata anche la definizione di coloro che la esercitavano: da “consulenti”, come erano stati in un primo momento battezzati, a “promotori”. La ragione è semplice: la nuova figura era nata in concomitanza con l’avvio in Italia dei fondi comuni d’investimento (istituiti nel 1983 e operativi dal 1984) e soprattutto delle loro reti di distribuzione. All’inizio, come tutte le novità, anche questa era stata accolta da una parte con grande entusiasmo e dall’altra con un po’ di sospetto, soprattutto dalle banche, che vedevano minacciata la loro antica “esclusiva” nel settore dell’intermediazione finanziaria. Salvo poi entrare massicciamente esse stesse nel nuovo business. Chi, soprattutto bancari delusi dalla lentezza della carriera e dall’appiattimento delle retribuzioni cosiddette “sindacali”, cominciava a dedicarsi alla nuova attività con entusiasmo, veniva equiparato nel migliore dei casi al venditore porta a porta. Le difficoltà iniziali non hanno però impe...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Colophon
- Introduzione
- Capitolo 1 - Fai-da-te o gestione?
- Capitolo 2 - Da consulente a promotore (e ritorno): chi e come scegliere
- Capitolo 3 - Come valutare le proposte della banca
- Capitolo 4 - L’equazione sicurezza-rendimento
- Capitolo 5 - La dinamica dei tassi d’interesse
- Capitolo 6 - Gli strumenti finanziari per le famiglie
- Capitolo 7 - Il risparmio assicurativo
- Capitolo 8 - Altri investimenti (arte, oro, beni rifugio)
- Capitolo 9 - Bitcoin e altre monete virtuali
- Capitolo 10 - Risparmio e fisco
- Glossario