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Informazioni su questo libro
Testi di Tiberio Abbiati, Saverio Almini, Luigi Carena, Michele Cuzzoni, Giulio Cesare Maggi, Barbara Ongaro, Gianni Rizzoni e Angelo Stella. Con il contributo di Martino Lurani Cernuschi, Nello Paolucci e Giancarlo Pionna. A cura di Gianni Rizzoni.
Una raccolta di saggi riccamente illustrata con dipinti e foto d'epoca sulla storia delle più importanti scuole milanesi del passato e dei loro studenti (tra cui Confalonieri, Manzoni, Cattaneo). Una intera sezione è dedicata allo studente Manzoni e ai suoi studi. In appendice i Regolamenti Scolastici integrali di Maria Teresa d'Austria, della Repubblica Cisalpina portata dalla Rivoluzione francese e della Restaurazione. Volume pubblicato in occasione del restauro della campana bronzea del Collegio dei Nobili (poi Convitto Longone e Liceo Parini).
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Informazioni
Argomento
StoriaCategoria
Storia italianaPARTE SECONDA
IL GIOVANE ALESSANDRO MANZONI
Infanzia, famiglia, studi, professori, amici e prime esperienze poetiche
Storia di una formazione agli inizi dell’Ottocento

«Sorge in questa piazza magnifico il palazzo Belgiojoso con una ben adorna facciata ricca di ogni guisa di ornati, di bassi-rilievi e di emblemi. La piazza è regolare ed appaga sotto ogni aspetto lo sguardo. Anche le case di que’ dintorni sono delle più belle della città».
Ortolano – veduta della Piazza Belgiojoso (Raccolta di 30 costumi... Milano, 1821).

Il palco della Scala (incisione di A. Gandin). Non si ascolta solo musica, ma si conversa, si mangia, si gioca a carte…
LUIGI CARENA
ALESSANDRO MANZONI AL COLLEGIO LONGONE
STUDI, PROFESSORI, AMICI E IRREQUIETEZZE
Nell’atrio d’ingresso del palazzo della Questura di Milano, il visitatore attento potrebbe accorgersi che sulla parete è collocata una lapide che ricorda, in termini aulici, la permanenza di Alessandro Manzoni tra quelle mura.
Data la difficile situazione familiare (i genitori si sono ufficialmente separati nel 1792), Alessandro Manzoni trascorre l’infanzia e l’adolescenza in collegio. A sei anni viene mandato in quello dei padri somaschi, a Merate; poi si trasferisce nel collegio di Lugano, diretto da quegli stessi religiosi. Finalmente, all’età di tredici anni e mezzo, viene iscritto al Collegio Longone di Milano, dove rimane dal 1798 al 1801.
Il Longone, che ha ufficialmente sede lungo il naviglio di Porta Nuova (oggi via Fatebenefratelli), nel 1798 si è dovuto trasferire nella casa di villeggiatura di Castellazzo de’ Barzi, frazione del comune di Robecco sul Naviglio, poiché l’edificio è stato requisito dalle autorità della Repubblica Cisalpina per farne un ospedale militare. Pertanto Alessandro Manzoni entra in collegio nella sede di campagna, e lì trascorre il primo anno di studi.
Solo il 17 agosto del 1799 i convittori possono rientrare nella sede milanese. Il giovane Alessandro non vi giunge nelle migliori condizioni di spirito. Ormai adolescente, lontano dagli affetti familiari, nella piena effervescenza della pubertà, non gli deve certo arridere l’idea di rimanere chiuso in un istituto, soprattutto avendo la famiglia a pochi passi dal collegio. Del resto, basta leggere i regolamenti dell’epoca che riportiamo in appendice per rendersi conto di come fosse severa allora la vita dei convittori. Ma sono proprio i nuovi compagni di scuola, lo studio e l’azione di illuminati insegnanti che lo aiutano a superare i disagi adolescenziali, benché, come vedremo, il futuro romanziere non nascondesse l’insofferenza per la disciplina e per il formalismo codino di certe manifestazioni religiose, fomentato in questo dall’amicizia del turbolento compagno Giovan Batta Pagani. Il barnabita padre Umberto Modulo ne accenna quando descrive nel 1987 i locali del collegio:
In fondo al corridoio c’era l’ampia camerata per lo studio, dove il giovane Alessandro andava apprendendo quei principi morali e religiosi che, oscurati temporaneamente dalle condizioni di famiglia, dai libelli passionali e dall’influenza volteriana del tempo, in seguito avrebbero dato i loro splendidi frutti e là pure avrebbe ricevuto quella formazione classico-letteraria che, rivelatasi già nel suo primo poemetto del Trionfo della libertà.
Attiguo all’aula di studio, c’è il dormitorio; il penultimo posto a sinistra è quello occupato da Manzoni, come egli stesso ricorderà anni dopo parlando col rettore don Pompeo Corbella.
Un ruolo decisamente importante nella maturazione del giovane Manzoni va riconosciuto all’insegnante di lettere, padre Cosimo Galeazzo Scotti (1759-1821). Letterato, novelliere, poeta, discepolo prediletto di Giuseppe Parini il quale, nonostante fosse notoriamente di burbero carattere, nutriva tanta stima per lui da correggergli le composizioni e sceglierlo come accompagnatore per animare con dotte conversazioni il passeggio lungo la cinta dei bastioni. Lo apprezza a tal punto da chiedergli spesso di sostituirlo nell’ingrato incarico di comporre versi di circostanza, richiesti dai suoi clienti.
Per parte sua, Scotti ha assorbito lo stile didattico del grande maestro e lo applica nell’insegnamento. Così scrive del metodo di studio di Parini:
Degli oratori e poeti greci, latini, francesi, italiani, inglesi, fino ai salmi ebraici, scegliendo le parti più notabili, per più mesi veniva commentando quelle opere e si adoperava di vedere ciò che le poesie descrivevano. E mettendo tra le mani dei discepoli i grandi autori diceva: studiate, questi, imitate questi soli.
Nessuna meraviglia quindi che Scotti si impegnasse a trasmettere ai suoi alunni un vero culto per il celebre poeta. Ricorderà ancora in tarda età Alessandro Manzoni che una delle più profonde impressioni ricevute durante la sua vita al Longone fu che un giorno, mentre stava studiando la celebre ode pariniana Quando Orion dal cielo… e ne era tutto esaltato, gli fu annunciato che il grande poeta era morto (15 agosto 1799). Padre Scotti aveva già stampato il commento all’ode pariniana La Gratitudine e si riprometteva di commentare tutta la produzione del suo maestro. Dovrà però accontentarsi di pubblicarne l’elogio solo nel 1801.
A un esame attento, non regge uno dei miti ripetuti da certi biografidi un secolo fa, ovvero che il Manzoni, da giovinetto, fosse di tardo ingegno e con scarsa voglia di studiare. Certo era frenato dalla timidezza, dal temperamento nervoso e soprattutto dalla balbuzie. Ancora nel 1849, a 64 anni, rifiuterà di rappresentare il collegio elettorale di Arona al parlamento Subalpino adducendo a motivo tale difetto. Ed è proprio per quella difficoltà che padre Scotti lo esclude dagli attori in occasione del carnevale del 1801, quando fa rappresentare dagli allievi la sua tragedia, Il conte di Santillana.
Che Alessandro fosse l’ultimo della classe è escluso dal critico letterario Guido Mazzoni (1859-1943), il quale afferma che l’istruzione ricevuta dal Manzoni al Longone dovette essere ottima se, appena uscito dal collegio, seppe darci quei bei versi giovanili di taglio dantesco de Il trionfo della Libertà. Del resto, i barnabiti erano esigenti quanto a studi. Ne sapeva qualcosa il Parini che, alunno dei barnabiti presso il collegio di Sant’Alessandro (già Scuole Arcimbolde), dovette ripetere una classe per ben due volte.
Padre Scotti non smentisce la tradizione barnabitica: tanto severo a scuola, quanto amabile fuori. Alessandro Manzoni, nel Sermone Terzo dedicato al condiscepolo Giovan Battista Pagani, definisce il professore «precettor severo». Scotti sapeva di essere ritenuto tale, infatti in un suo scritto autografo diretto alla classe del Manzoni, scovato dal barnabita padre Tiberio Abbiati (1883-1968) nell’archivio storico della congregazione in Milano, egli ha queste significative parole:
So che ogni giorno voi mi accusate presso tutti, specialmente presso i vostri genitori, di eccessiva severità e rigore. A dirvi la verità, questo mi fa piacere perché tutti han da sapere che il vostro profitto è l’unica cosa che mi preme. Se non vi dessi da studiare, che cosa succederebbe? Come potrebbero i genitori e la patria contare su di voi?
Sì, obiettano gli scolari, ma almeno ci incoraggi con bei voti o con qualche premio scolastico! E lo Scotti di rimando:
Dite che io sono stretto di manica e che promuovo pochi… Ma rispondete in coscienza: quanti lo meritano? Quanti di voi sanno maneggiare la penna, esprimere i propri pensieri, stendere un componimento ammodo? Dopo mesi e mesi di lavoro, non vedete che molti di voi sono rimasti ignoranti come prima? E questi io li dovrei promuovere o addirittura premiare?
Nel 1801, dedicando agli alunni che concludono gli studi, tra i quali il Manzoni, la stampa della sua tragedia Il conte di Santillana, edita da Gaetano Motta in Milano, padre Scotti ricorda «le norme ch’io mi sforzai di darvi dello scrivere grammatica e quando vi interpretai la Poetica di Orazio e quando le regole della commedia e della tragedia vi esposi e quando gli ottimi esemplari in tutte le lingue vi proposi di osservare». In pratica il metodo del Parini.
Annota il biografo di padre Scotti, Luigi Bellò (1823):
Al Longone, nell’insegnamento ai giovani convittori, egli [Scotti] applicò la dottrina e i principî che aveva attinto dal suo grande maestro, il Parini. Né limitava il suo insegnamento agli aridi precetti, ma si estendeva a far loro conoscere, con la scorta di esempi, che sono più efficaci della nuda teoria, il bello e il sublime dei classici autori e a istillare nella loro mente il buon gusto per l’amena letteratura. Presiedendo egli alle pubbliche accademie degli studenti, faceva loro comporre e recitare prose e versi d’ogni genere.
«E QUANDO LA FINIRETE DI PIANGERE?»
I primi ricordi scolastici di Alessandro Manzoni nella biografia pubblicata nel 1783 da Angelo De Gubernatis.
A soli sei anni il fanciullo Manzoni fu allontanato da casa sua e chiuso nel Collegio de’ frati Somaschi di Merate, ove rimase dall’anno 1791 all’anno 1796. La mamma ve l’accompagnò, ma scomparve intanto che il fanciullo era tenuto a bada da un frate maestro. Si possono facilmente immaginare gli strilli del povero fanciullo non appena egli si accorse che la mamma sua l’aveva lasciato; ma, poiché ad uno de’ prefetti parve pure che il pianto durasse troppo, il fanciullo ricevette un colpo sulla guancia accompagnato da queste parole: «E quando la finirete di piangere?» Quello fu il primo dolore provato dal grand’uomo, che se ne rammentava anche negli ultimi anni della sua vita. «Buona gente (del resto egli concludeva, parlando di que’ suoi primi istitutori), quantunque, come educatori, lasciassero troppo a desiderare che fossero prima un po’ più educati loro stessi.»
I frati di Merate lo avvezzarono dunque ai primi castighi. Ad undici anni, Alessandro Manzoni, passò nel Collegio di Lugano, ove gli toccò la buona fortuna di avere tra i suoi maestri il buon padre Francesco Soave, onesto letterato e, per quei tempi, educatore assai liberale, sebbene s’indispettisse contro il nostro piccolo scolaro, che s’ostinava a scrivere le parole Re, Imperatore e Papa con la prima lettera minuscola. Il Manzoni parlando un giorno del Soave a Cesare Cantù gli disse, tra le altre cose: «Teneva nella manica della tonaca una sottile bacchetta, presso a poco come quella che fa i miracoli dei giocolieri; e quando alcuno di noi gli facesse scappare la pazienza, egli la impugnava, e la vibrava terque quaterque verso la testa o le spalle del monello, senza toccarlo; poi la riponeva e tornava in calma.»
Al Manzoni rincresceva d’avere talvolta inquietato quel Padre, che tanto fece, sebbene non sempre il meglio, per l’istruzione della gioventù. Narrava pure il Manzoni come una volta gli scappasse detto in iscuola «ne faremo anche a meno», quando il Padre Soave annunziò che fra poco ci sarebbe stata la lezione d’aritmetica. Il Padre maestro si levò allora dalla cattedra, e si mosse gravemente verso il piccolo ribelle, che si sentiva...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Prefazione (Stefania Giannini)
- Presentazione - Via Fatebenefratelli 11 (Luigi Savina)
- Introduzione - Il Rotary per Milano
- La campana del Manzoni (Gianni Rizzoni)
- PARTE PRIMA - I COLLEGI DI MILANO
- PARTE SECONDA - IL GIOVANE ALESSANDRO MANZONI
- PARTE TERZA – LA SCUOLA DELL’ECCELLENZA
- Appendici
- Indice dei nomi