Parte IV
Dai sonniferi alla trasformazione della società
Capitolo 12
Mostri sotto il letto
Disturbi del sonno e conseguenze letali
Sono pochi i settori della medicina con un ventaglio di disturbi preoccupante o sbalorditivo quanto il sonno. Se pensate a quanto tragici e dannosi possono essere i disturbi nelle altre aree mediche, questa non è certo una dichiarazione da poco. Eppure, se si considera che tra le stranezze del sonno ci sono attacchi narcolettici diurni, paralisi del corpo, omicidi perpetrati durante il sonnambulismo, enacted dreams80 e presunti rapimenti alieni, ecco che comincia a sembrare più valida. L’anomalia più stupefacente, forse, è una rara forma d’insonnia che uccide in pochi mesi, supportata dai risultati letali di una completa privazione del sonno negli studi sugli animali.
Questo capitolo non intende affatto prendere in esame in modo esaustivo tutti i disturbi del sonno conosciuti, che oggi sono più di cento, né servire come guida medica, perché non sono un esperto di medicina del sonno accreditato, bensì uno studioso del sonno. Quelli tra voi che avessero bisogno di consigli sui disturbi del sonno possono visitare i siti ufficiali delle associazioni mediche certificate81.
Anziché cercare di fare la lista della spesa delle decine e decine di disturbi del sonno oggi noti, ho scelto di concentrarmi solo su alcuni (sonnambulismo, insonnia, narcolessia e insonnia familiare fatale) e parlarne dal punto di vista della scienza, raccontando in particolare che cosa ciascuno di essi può insegnarci sui misteri del sonno e dei sogni.
Il sonnambulismo
Il termine «sonnambulismo» indica disturbi del sonno che coinvolgono qualche forma di movimento, o deambulazione: camminare nel sonno, parlare nel sonno, mangiare, scrivere, fare sesso mentre si dorme e, anche se in casi rarissimi, addirittura commettere omicidi.
La maggior parte della gente, com’è comprensibile, pensa che tali eventi abbiano luogo durante il sonno REM, mentre un individuo sta sognando, e nello specifico stia proprio mettendo in atto i suoi sogni. Al contrario, si tratta di episodi che nascono dalle fasi più profonde del sonno non-REM, in cui non si sogna. Se svegliate un individuo che sta camminando nel sonno e gli chiedete che cosa stava succedendo nella sua testa mentre dormiva, è raro che racconti alcunché: nessuno scenario onirico, nessuna esperienza mentale.
Per quanto non comprendiamo ancora appieno le cause degli episodi di sonnambulismo, le prove in nostro possesso suggeriscono che, tra le altre, ci sia un picco inaspettato nell’attività del sistema nervoso durante il sonno profondo. Questo shock elettrico costringerebbe il cervello a schizzare dal piano terra del sonno non-REM profondo fino all’attico della veglia, restando in realtà bloccato più o meno a metà strada (al quarto o al quinto piano). Intrappolato tra i due mondi del sonno profondo e della veglia, l’individuo è confinato in uno stato di coscienza ambiguo: non è né sveglio né addormentato. Il cervello, in questa condizione confusa, esegue azioni basilari ma ben note, come camminare verso un armadio e aprirlo, portare un bicchiere d’acqua alle labbra o pronunciare qualche parola o qualche frase.
Una diagnosi completa di sonnambulismo richiede di solito al paziente di trascorrere una o due notti in un centro del sonno, dove gli si pongono elettrodi sul capo e sul corpo per misurare le fasi del sonno; una videocamera a infrarossi posta sul soffitto registra gli eventi notturni. Nel momento in cui l’individuo inizia a camminare nel sonno, la registrazione video e il tracciato delle onde elettriche cerebrali smettono di andare d’accordo: una suggerisce che l’altro stia mentendo, e viceversa. Nel video, il paziente è chiaramente «sveglio» e si comporta come tale: magari si siede sul bordo del letto e comincia a parlare, oppure cerca di vestirsi e uscire dalla stanza. Guardando l’attività cerebrale, però, si capisce subito che il paziente sta dormendo sodo, o se non altro lo fa il suo cervello. Ci sono i segnali inconfondibili delle onde lente del sonno non-REM profondo e nessun segno dell’attività cerebrale veloce e frenetica tipica della veglia.
Nella maggior parte dei casi, non c’è nulla di patologico nel camminare o nel parlare nel sonno; sono comportamenti comuni nella popolazione adulta, ancor più tra i bambini. Non è chiaro perché i bambini soffrano di sonnambulismo più degli adulti e nemmeno perché alcuni bambini, crescendo, smettano d’incorrere in questi eventi notturni, ma altri no. Una possibile spiegazione è che trascorriamo più tempo nelle fasi del sonno non-REM profondo da giovani e, di conseguenza, è maggiore la probabilità che succeda di camminare o parlare nel sonno.
La maggior parte degli episodi di questa condizione è innocua. Talvolta, però, negli adulti il sonnambulismo può sfociare in comportamenti molto più estremi, come successe a Kenneth Parks nel 1987. Parks, che all’epoca aveva ventitré anni, viveva a Toronto con la moglie e la figlia di cinque mesi. Aveva sofferto di una grave forma d’insonnia a causa della disoccupazione e dei debiti di gioco. Sotto tutti gli aspetti, era un uomo non violento; sua suocera, con la quale aveva un buon rapporto, lo chiamava «gigante gentile» a causa della sua natura placida che contrastava con l’altezza e la corporatura considerevoli (195 centimetri di altezza per oltre 100 chilogrammi di peso). Poi arrivò il 23 maggio.
Dopo essersi addormentato sul divano verso l’1.30 del mattino mentre guardava la televisione, Parks si alzò ed entrò in auto, a piedi scalzi. Si stima che, a seconda delle strade utilizzate, guidò per una ventina di chilometri prima di arrivare a casa dei suoceri, dove salì al primo piano, accoltellò a morte la suocera con un coltello preso in cucina e tentò di strangolare il suocero, lasciandolo incosciente, dopo averlo aggredito con una mannaia (il suocero sopravvisse). A quel punto tornò in auto e, dopo aver ripreso conoscenza, guidò fino a una stazione di polizia, dove disse: «Penso di aver ucciso delle persone… le mie mani». E soltanto a quel punto si rese conto del sangue che colava dai tendini flessori, che si era tagliato con un coltello.
Dato che riusciva a ricordare soltanto vaghi frammenti dell’omicidio (per esempio flash del volto della suocera con un’espressione in cui chiedeva aiuto), non aveva alcun movente e lunghi trascorsi di sonnambulismo (come altri membri della sua famiglia), una squadra di periti della difesa concluse che Ken Parks era addormentato quando aveva commesso il crimine e che aveva sofferto di una grave crisi di sonnambulismo. Secondo loro, non era consapevole delle proprie azioni e, di conseguenza, non poteva essere colpevole. Il 25 maggio del 1988 una giuria emanò un verdetto di non colpevolezza. Questa linea di difesa è stata poi tentata in un gran numero di casi giudiziari, quasi sempre senza successo.
La storia di Ken Parks è tragica, e ancora oggi quest’uomo deve convivere con una colpa che è probabile non lo abbandonerà mai. Vi ho voluto raccontare questa storia non certo per spaventarvi, o per sensazionalizzare i terribili eventi di quella notte di fine maggio del 1987. Al contrario, l’ho scelta per illustrare come azioni non intenzionali che nascono nel sonno (e nei disturbi del sonno) possono avere conseguenze legali, personali e sociali, e richiedono il contributo di scienziati e medici per arrivare a un concreto inquadramento giuridico.
Vorrei anche far notare a chi, fra i lettori, soffre di sonnambulismo, che gli episodi sono per la maggior parte dei casi considerati benigni e non richiedono interventi. La medicina subentra con terapie soltanto se il paziente o chi se ne occupa, il partner o il genitore (in caso di bambini), sente che questa condizione sta nuocendo alla salute oppure è rischiosa per qualche motivo. Esistono cure efficaci ed è un vero peccato che nessuna di queste sia riuscita ad arrivare in tempo per Ken Parks prima di quella terribile sera di maggio.
L’insonnia
Lo scrittore Will Self si è lamentato che per molti individui, oggi, la frase «una buona notte di sonno» ha assunto una connotazione sinistra. L’insonnia, da cui nascono i suoi brontolii, è il disturbo del sonno più comune: in molti ne soffrono, ma alcuni credono di soffrirne anche quando non è così. Lasciate che, prima di descrivere le caratteristiche e le cause dell’insonnia (e, nel prossimo capitolo, anche le possibili cure), vi dica ciò che l’insonnia non è e, così facendo, vi riveli che cos’è.
La privazione di sonno non è insonnia. Nel campo medico, la privazione di sonno è definita come (1) avere una capacità adeguata di dormire, eppure (2) concedersi un’inadeguata possibilità di dormire: le persone che soffrono di privazione di sonno potrebbero dormire, se soltanto si prendessero il tempo di farlo. L’insonnia è l’opposto: (1) soffrire di una capacità inadeguata di generare il sonno, nonostante (2) ci si conceda un’adeguata possibilità di dormire. Chi soffre d’insonnia, pertanto, non riesce a produrre una quantità o una qualità di sonno sufficiente, anche se si concede tutto il tempo necessario per farlo (da sette a nove ore).
Prima di proseguire, vorrei farvi notare una condizione in cui s’interpreta in modo erroneo il proprio stato di sonno-veglia, la cosiddetta «insonnia paradossa», o paradossale. In questi casi, il paziente riporta di aver dormito male per tutta la notte, o addirittura di non aver dormito affatto. Quando però il sonno di questi individui viene monitorato in modo oggettivo, usando elettrodi o altri accurati strumenti di controllo del sonno, ecco che i conti non tornano. I tracciati indicano che il paziente ha dormito molto meglio di quanto credesse e, a volte, indicano che ha addirittura goduto per tutta la notte di sonno di buona qualità. Chi soffre d’insonnia paradossa s’illude di aver dormito male, quando di fatto non è così. Di conseguenza, questi pazienti sono curati come ipocondriaci, termine che pur sembrando accondiscendente è preso molto sul serio dai medici esperti di sonno; dopo la diagnosi, sono molto utili gli interventi psicologici.
Torniamo all’insonnia vera e propria: ne esistono molti sottotipi differenti, proprio come ci sono, per esempio, diverse forme di cancro. Iniziamo distinguendo due specie d’insonnia: l’insonnia «iniziale», ossia la difficoltà ad addormentarsi, e l’insonnia «centrale», quando il sonno non è continuo. Con le parole usate dall’attore Billy Cristal a commento delle proprie battaglie contro l’insonnia: «Dormo come un bambino: mi sveglio ogni ora». Le due forme non si escludono a vicenda: si può soffrire di una o dell’altra, o anche di entrambe. In ogni caso, perché un paziente riceva una diagnosi d’insonnia devono essere soddisfatte condizioni ben precise, che per il momento sono:
– insoddisfazione nei confronti della quantità o qualità del sonno (difficoltà ad addormentarsi, a restare addormentati, svegliarsi molto presto al mattino eccetera);
– di giorno, essere molto stressati o pregiudicati nelle proprie azioni;
– soffrire d’insonnia per almeno tre notti a settimana per oltre tre mesi di seguito;
– non soffrire di disturbi mentali o problemi medici concomitanti che potrebbero causare ciò che sembra essere insonnia.
In termini più semplici, quelli che sarebbero usati da un paziente, si tratta di trovarsi nella seguente situazione in modo cronico: difficoltà ad addormentarsi, difficoltà a riaddormentarsi dopo essersi svegliati e non sentirsi riposati durante il giorno. Se una qualsiasi di queste caratteristiche vi suona familiare e vi sentite così da diversi mesi, vi consiglio di rivolgervi a un centro del sonno. Sottolineo: meglio un medico esperto di medicina del sonno, e non il vostro medico generico, perché quest’ultimo, per quanto eccellente, (soprendentemente) ha ricevuto ben poca formazione sulle problematiche relative al sonno durante l’università e il corso di specializzazione. Alcuni medici di famiglia sono inclini a dispensare sonniferi che, come vedremo nel prossimo capitolo, non sono quasi mai la risposta giusta al problema.
L’enfasi che ho dato alla durata del problema (oltre tre notti a settimana per più di tre mesi) è molto importante. Tutti noi abbiamo problemi di sonno, una volta ogni tanto, per una o più notti. È normale. Di solito c’è una causa ovvia, come problemi sul lavoro o un momento particolarmente «caldo» in una relazione sentimentale o sociale, ma non appena la situazione si normalizza, di solito lo fa anche il sonno. Questi problemi acuti in genere non sono riconosciuti come insonnia cronica, perché quest’ultima richiede che le difficoltà proseguano a lungo, per settimane e settimane.
Nonostante questa definizione restrittiva, l’insonnia cronica è diffusa in modo disarmante. Passeggiando per strada, circa una persona su nove tra quelle che incrociamo soddisfa i criteri clinici dell’insonnia cronica: oltre 40 milioni di americani che fanno fatica ad arrivare a fine giornata dopo aver dormito troppo poco. L’insonnia è quasi due volte più comune nelle donne che negli uomini, anche se non sappiamo bene perché; è improbabile che questa consistente differenza tra i due sessi sia solo dovuta al fatto che gli uomini non vogliono ammettere di avere problemi di sonno. Anche la razza e l’appartenenza etnica incidono: sempre negli Stati Uniti, gli afroamericani e gli ispanici ne soffrono più dei caucasici; tra l’altro, questi dati hanno importanti implicazioni per quanto riguarda i problemi di salute che caratterizzano queste comunità (diabete, obesità e disturbi cardiovascolari), dal momento che sono tutti noti per essere legati a una mancanza di sonno.
A dire il vero, è probabile che l’insonnia sia addirittura un problema più serio e diffuso di quanto non suggeriscano queste cifre. Se allentiamo i criteri stringenti della medicina clinica e ci basiamo sui dati epidemiologici, diventa probabile che due persone su tre, tra voi lettori, abbiano problemi abituali ad addormentarsi o a restare addormentate almeno per una notte a settimana, tutte le settimane.
Senza esagerare, l’insonnia è una delle questioni mediche più pressanti e prevalenti della società moderna, eppure di rado se ne sente parlare in questo modo, e ancor meno riconoscere il fardello che comporta o la necessità di agire in qualche modo. Negli Stati Uniti, l’industria dei «rimedi per dormire», che vanno dai sonniferi prescritti dal medico a vari tipi di farmaci da banco, vale una cifra sorprendente: 30 miliardi di dollari all’anno. Forse questo dato, da solo, è sufficiente per capire la gravità del problema: milioni di esseri umani disperati sono disposti a pagare un sacco di soldi per una bella notte di sonno.
I soldi, tuttavia, non affrontano la questione più importante: che cosa causa l’insonnia? La genetica ha un ruolo, ma non è tutta la risposta. Si stima che ci sia un tasso di trasmissione genetica dell’insonnia fra genitori e figli che va dal 28 al 45 per cento, ma questo dato lascia comunque più del 50 per cento dei casi d’insonnia privi di cause genetiche o legate a interazioni fra i geni e l’ambiente.
A oggi, abbiamo scoperto numerosi meccanismi che provocano difficoltà al sonno, compresi fattori psicologici, medici, fisici e ambientali (oltre all’invecchiamento, come abbiamo già avuto modo di vedere). L’insonnia può essere mascherata da fattori esterni che peggiorano la qualità del sonno, come un’eccessiva luminosità notturna, una temperatura della stanza sbagliata, il consumo di caffeina, tabacco e alcol (li esamineremo tutti più nel dettaglio nel prossimo capitolo). Ma le loro origini non sono dentro di noi e, di conseguenza, non sono un nostro problema. Sono influenze provenienti dal mondo esterno: una volta affrontate e risolte, gli individui dormono meglio senza dover cambiare niente in relazione a loro stessi.
Vi sono però altri fattori, interni agli individui: si parla allora di cause biologiche innate. Tornando all’elenco di criteri clinici descritti qualche riga fa, questi fattori non devono essere sintomo di una malattia (per esempio, del morbo di Parkinson) o l’effetto collaterale di una medicina (per esempio, di un farmaco per curare l’asma); perché si possa parlare di vera insonnia, la o le cause del problema devono essere slegate da altri fattori.
I due meccanismi che più di frequente innescano l’insonnia cronica sono psicologici: (1) assilli emotivi, o preoccupazioni, e (2) stress emotivo, o ansia. Nel nostro mondo rapido e sovraccarico di informazioni, una delle pochissime volte in cui mettiamo un freno al nostro continuo consumo di notizie e ci rivolgiamo verso noi stessi è quando appoggiamo la testa sul cuscino. Non esiste momento peggiore: c’è poco da stupirsi che l’inizio (o il mantenimento) del sonno diventi quasi impossibile se, allo stesso tempo, gli ingranaggi emotivi della nostra mente cominciano a vorticare, mettendoci pressione e provocando ansie su ciò che abbiamo fatto, quello che abbiamo dimenticato di fare, quello che dovremo fare nei prossimi giorni e anche in un futuro lontano. Non è proprio una situazione invitante per le lente onde cerebrali del sonno, che dovrebbero condurvi pacificamente verso una notte di meritato riposo.
Dato che lo stress psicologico è uno dei principali istigatori dell’insonnia, i ricercatori hanno cercato di esaminare le cause biologiche che sottostanno a questi tumulti emotivi. Di solito, il colpevole è un’iperattività del sistema simpatico che, come abbiamo visto nei capitoli precedenti, è legata all’irritante meccanismo organico del «combatti o fuggi». Il sistema simpatico si accende reagendo alle minacce e agli stress che, nel nostro passato evolutivo, innescavano una legittima risposta «combatti o fuggi». Le conseguenze fisiologiche sono un aumento del battito cardiaco, della pressione del flusso sanguigno, un’accelerazione del metabolismo, il rilas...