I. A NAPOLI
KONSTANTIN N. BATJUŠKOV
Konstantin Nikolaevič Batjuškov (Vologda, 29 maggio 1787 – Vologda, 19 luglio 1855), poeta. Secondo i biografi, Batjuškov “recava nel sangue una predisposizione alla psicosi”, poiché molti tra i suoi familiari soffrivano di disturbi psichici (in particolare, la madre impazzí poco dopo la nascita di Konstantin e fu allontanata dalla famiglia).
Negli anni 1797-1802, Batjuškov studiò in alcuni collegi privati di Pietroburgo, dove ricevette un’educazione umanistica e imparò il francese, l’italiano e il latino. Nella formazione del futuro poeta ebbe una grande importanza lo zio di secondo grado, Michail Nikitič Murav’ëv, scrittore di fama, statista, amministratore dell’Università di Mosca e vice ministro dell’Istruzione; sotto la sua guida, Batjuškov si appassionò alla poesia e alla letteratura italiana del Medioevo e del Rinascimento – Dante, Petrarca, Boccaccio, Ariosto, Tasso. Entrato in servizio presso il Ministero della Pubblica Istruzione, Batjuškov divenne un assiduo frequentatore dei salotti letterari; strinse amicizia con N.M. Karamzin, V.A. Žukovskij, A.N. Olenin, N.I. Gnedič, P.A. Vjazemskij. I primi tentativi letterari di Batjuškov ebbero successo presso il pubblico dei lettori.
Batjuškov aderí con passione alla vasta mobilitazione patriottica sorta a seguito della disfatta di Austerlitz e nel 1807, allo scoppio del secondo conflitto napoleonico, prese parte come volontario alla campagna di Prussia (nella battaglia di Heilsberg fu gravemente ferito: un proiettile gli lese il midollo spinale). Partecipò inoltre alla Guerra Patriottica del 1812 e alla campagna estera degli anni 1813-14.
Nel 1816 gli insuccessi lavorativi, le delusioni sentimentali e le periodiche manifestazioni di squilibrio psichico, accompagnate da deliri allucinatori, costrinsero Batjuškov a ritirarsi dal servizio e ad appartarsi in campagna. Il poeta trascorse quei mesi scrivendo versi, traducendo dall’italiano e vagheggiando un viaggio in Italia. Nella primavera del 1817 Batjuškov scrisse all’amico N.I. Gnedič:
“‘Sotto i cieli della mia Italia…’, precisamente ‘mia’. Prendo questa cosa dal vivo dal Monti, da Petrarca… Generalmente gli italiani, parlando dell’Italia, aggiungono ‘mia’. La amano come un’amante. Se questo è un errore grammaticale, allora lo assumo in coscienza”.
Nel 1818, grazie a un editto dell’imperatore Alessandro I Batjuškov tornò in servizio, acquisí il grado di consigliere di corte e fu assegnato a una missione diplomatica a Napoli – a quell’epoca capitale del Regno delle Due Sicilie.
Batjuškov partí per Napoli nel novembre del 1818, attraverso Varsavia e Vienna. All’inizio del 1819 riuscí ad assistere al carnevale di Venezia, poi a quello di Roma. Su incarico del presidente dell’Accademia di Belle Arti A.N. Olenin, Batjuškov prese sotto la sua tutela i tirocinanti russi inviati in Italia dalla Società di incoraggiamento degli artisti. Nel febbraio del 1819, in una lettera a Olenin, Batjuškov presentò un progetto per la creazione in Italia di un’Accademia russa di Arte: “Ho incontrato gli artisti… Gli allievi dell’Accademia si comportano in maniera meravigliosa e si direbbe che mi abbiano preso a benvolere… Vi dirò francamente che la paga stabilita per loro è talmente bassa, talmente misera, che a stento riescono a mantenersi in modo decente. Qui un lacchè, un servitore prende di piú. L’artista non deve vivere nel lusso, ma anche la miseria è pericolosa. Non hanno di che comprare il gesso e niente con cui pagare i modelli. Il carovita è terribile! Gli inglesi hanno affollato la Toscana, Roma e Napoli; quest’ultima città è ancora piú cara. Peraltro anche qui (a Roma) tutto è tre volte piú caro che da noi, se si vive in locanda, ma anche stando in appartamento non lo è meno di una volta e mezzo o due… Quattro pensionanti sono un numero esiguo, all’Accademia non ci si può certo aspettare grandi successi da quattro giovani. Le malattie, le condizioni finanziarie, migliaia di cause possono fuorviarli o rubarli all’arte: ciò che dico è la pura verità. È consigliabile averne piú di dieci, a Roma. Su dieci, due o tre possono riuscire. La Russia ha bisogno di bravi artisti, ne ha un bisogno impellente – in particolare di architetti, e io desidero di tutto cuore che l’erario non si penta dei soldi spesi”. Alla fine di febbraio del 1819 Batjuškov raggiunse la capitale del Regno delle Due Sicilie e iniziò a lavorare per la missione diplomatica. A quel tempo a Napoli vi erano molti russi: in città era giunto con un folto seguito il ventenne granduca Michail Pavlovič (figlio cadetto di Paolo I e fratello dell’imperatore Alessandro I), che stava allora viaggiando per l’Europa.
L’interno del Tempio di Mercurio a Baia, nei dintorni di Pozzuoli
A Napoli Batjuškov si stabilí presso il lungomare di Santa Lucia. Delle prime impressioni sulla città scrisse all’amico di gioventú A.I. Turgenev: “Proprio come l’imperatore Tiberio – la cui isola (Capri) si trova di fronte alla mia finestra – non sapeva in che modo cominciare il proprio messaggio al senato, cosí io, agitato da sentimenti contrastanti, in mezzo alle preoccupazioni e alle distrazioni, tra le visite e le spese, in mezzo all’incessante vociare della gente che riempie il lungomare, al suono delle catene dei forzati, al canto dei pulcinella, dei lazzaroni e delle lavandaie, non sono capace, non so da cosa incominciare la mia lettera… Ogni giorno il popolo si riversa a ondate nel vasto teatro a godere della musica di Rossini e del dilettevole canto delle sue sirene, mentre il nostro vicino Vesuvio si prepara all’eruzione; si dice che a Portici e nei dintorni i pozzi stiano cominciando a prosciugarsi: segno, secondo le parole degli osservatori, che il vulcano si metterà al lavoro”.
In compagnia del granduca, Batjuškov percorse le coste del golfo di Napoli: “Quattro settimane di seguito ho dedicate all’osservazione dei dintorni di Napoli, interessanti sotto tutti i riguardi, unici, incomparabili. Quattro volte sono stato a Pompei e due volte sul Vesuvio: due luoghi tali da meritarsi la curiosità dell’uomo meno curioso” (lettera a N.M. Karamzin).
“Due volte sono salito sul Vesuvio e di Pompei conosco a memoria ogni pietra. Spettacolo meraviglioso, ineffabile, ceneri eloquenti!” (lettera a N.I. Gnedič).
Durante questi viaggi Batjuškov si avvicinò in particolare allo scienziato ed educatore svizzero Frédéric-César de La Harpe, un tempo istitutore di Alessandro I, che ora accompagnava il granduca nel suo viaggio all’estero: “Quando c’era il granduca ho fatto conoscenza con La Harpe, il quale è vigoroso nel corpo e nello spirito1. È salito sul Vesuvio senza l’aiuto di una guida e, con nostra vergogna, ha sopravanzato la gioventù” (lettera ad A.I. Turgenev, 24 marzo 1819).
Resti del tempio di Diana a Baia
Non pochi russi restarono a Napoli anche dopo la partenza di Michail Pavlovič. Le feste in città proseguirono, stavolta in occasione dell’arrivo dell’imperatore austriaco Francesco I: “Russi dappertutto. L’arrivo dell’imperatore è servito come pretesto per balli, concerti e festeggiamenti. Indossiamo spesso la divisa” (lettera a N.I. Gnedič, maggio 1819).
Tra gli alti dignitari russi che all’epoca si trovò a frequentare quasi quotidianamente a Napoli, Batjuškov nomina con particolare frequenza il conte Jurij Aleksandrovič Golovkin, ambasciatore russo a Vienna; il generale-feldmaresciallo principe Michail Semënovič Voroncov; il generale di fanteria e governatore generale di Mosca Aleksej Grigor’evič Ščerbatov; il generale del seguito imperiale principe Aleksandr Sergeevič Menšikov… Nello stesso tempo, il contrasto tra la meravigliosa natura di Napoli, l’allegria generale e lo stato d’animo personale, morboso e malinconico, diviene il motivo principale delle lettere di Batjuškov: “Di Napoli Torquato Tasso dice, in una lettera a un certo cardinale, che non produce niente, se non garbo e allegria. Ma non è sempre allegria! Io non riesco ad abituarmi al chiasso nella via, all’isolamento nella mia stanza. Di giorno mette allegria vagare per il lungomare ricoperto di melarance in fiore, ma di sera non sarebbe male starsene con gli amici presso un bel fuoco e parlare di tutto ciò che si ha nel cuore. A una certa età, questa è una necessità per un essere istruito e pensante… Qui la primavera è in piena fioritura: il mandorlo è coperto di fiori, le rose appassiscono, le arance mature si staccano dai rami e cadono a terra in mezzo ai fiori che sono disseminati ovunque; ma io partecipo poco ai festini degli uomini e della natura: vivo con i libri e penso a Voi” (lettera ad A.I. Turgenev, 24 marzo 1819).
“Dalle mie finestre la vista è veramente stupenda: il mare, tempestato d’isole. Esso disperde la mia tristezza, giacché dal mio arrivo sono triste. Dicono che tutti gli stranieri durante i primi giorni di permanenza qui s’immalinconiscano e si struggano” (lettera alla sorella maggiore Aleksandra, 1° aprile 1819).
“Napoli è veramente incantevole, per la sua posizione geografica, e completamente diversa dalle città dell’Italia Settentrionale. L’intera città è per le vie, baccano terribile, popolani a frotte… Mi allieta osservare la gente; a casa, soprattutto se si è soli, di sera è triste e tedioso. L’unico piacere consiste nelle passeggiate e in questo Vesuvio che di notte s’incendia tutto” (lettera a N.I. Gnedič, maggio 1819).
“Napoli, dicono, è allegra. Io da tempo non conosco alcuna allegria. L’unico piacere sono i libri. Ma la lettura mi strema, non possiedo piú quell’attenzione con cui una volta riuscivo a leggere persino le sciocchezze. È rimasta in me ancora una certa sete di conoscere tutto, una sete che non ho la forza di appagare. Ogni cosa mi è di tormento, persino la mia inveterata ignoranza. Quanto tempo perduto! Ma le sere qui mi sono tediose. La vita di società non mi va assolutamente a genio. Non v’è con chi scambiare i propri pensieri, non soltanto le emozioni. Gli stranieri parlano del Vesuvio, la gente del posto del San Carlo e del Corso. Qui non si amano con ardore le arti, le scienze, tutti sono semplicemente allegri, corrono, gridano, cantano. Tutto ciò possiede un proprio fascino. Ciascuno è felice a modo suo, e finché non arrivano i tempi difficili ciascuno se la gode: fanno bene” (lettera a V.A. Žukovskij, 1° agosto 1819).
Dopo la partenza definitiva dei russi da Napoli, Batjuškov prese in affitto a Santa Lucia, presso una francese di nome Sainte-Ange, un nuovo appartamento ammobiliato, in cui a un certo punto visse insieme con il pittore paesaggista Sil’vestr Ščedrin, giunto da Roma: “Ho preso in affitto un appartamento meraviglioso presso delle brave persone, dei francesi. Ammobiliato e dotato di tutto il necessario, con vista sul mare, ma in un posto cosí rumoroso che riesco a fatica a dormire. Dicono che al rumore ci si può avvezzare, ma ci crederò quando mi sarò abituato… Finora non sono riuscito ad abituarmi a questo baccano, tanto piú che vivo nella zona piú chiassosa della città, dalle mie finestre il quartiere di Santa Lucia è un eterno mercato, rumori, strilli e lamenti; ma a mezzogiorno (quando tutte le vie qui sono vuote, come da noi a mezzanotte) si odono lo sciabordio delle onde e il vento. Di fronte a me si trovano numerose locande e stabilimenti balneari. Per la strada si mangia e si beve proprio come da voi sull’isola Krestovskij, con la sola differenza che, se anche si somma tutto il chiasso di Pietroburgo a tutto il chiasso di Mosca, il risultato non è ancora niente in confronto al rumore di qui” (lettera a E.F. Murav’ëva).
A Napoli, tuttavia, la salute di Batjuškov lasciava a desiderare: “Per l’imperatore (Francesco I) qui sono state date feste sontuose. Durante una di esse mi sono preso un sontuoso raffreddore… Sono raffreddato e chiuso in casa da due settimane… Spero che l’estate possa gu...