Zig Zag
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Informazioni su questo libro

La scoperta di un misterioso manoscritto dimenticato da secoli immerge il protagonista del romanzo, uno studioso azerbaigiano di Baku, all'interno dell'epopea di Dede Korkut, l'Omero delle antiche tribù turche. Nella labirintica narrazione si intrecciano due manoscritti: uno racconta le gesta del grande Ismail, shah di Persia e poeta azero del XVI secolo; l'altro descrive un intricato gioco di spie ricco di colpi di scena, ambientato tra i turchi Oghuz del IX secolo. Kamal Abdulla si destreggia tra differenti piani linguistici e epoche diverse, oscillando tra i giorni nostri e il Medioevo turco persiano.

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Informazioni

IL MANOSCRITTO INCOMPLETO
...Avendo visto a quali tormenti era stata esposta la martoriata popolazione di Ganja dopo il terremoto, alcuni suoi illustri cittadini quella sera stessa…
...giorno Bayındır Khan mi chiamò nuovamente a sé e io, rispondendo con solerzia al suo invito, a mezzodì mi precipitai a Gün Ortak, la sua dimora, mi inchinai rispettosamente e gli rivolsi un augurio di pace.
Il Khan mi domandò:
«Sai perché ti ho fatto venire qui, Korkut, figlio mio?».
«No, glorioso Khan», risposi.
«Korkut, figlio mio, ti ho scelto, perché solo tu puoi riuscirci» disse Bayındır Khan. «Ho appreso alcune notizie: mi hanno confidato che ci sono dei contrasti fra gli Oghuz. Forse anche alle tue orecchie sono arrivate delle voci. Dicono che sia stata catturata una spia, ma che poi qualcuno l’avrebbe liberata dalla prigione e fatta fuggire… Raccontami tutto quello che sai, e insieme ne verremo a capo».
Pronunciate queste parole, Bayındır Khan tacque.
Io, avendo capito che conosceva bene il merito della questione, rimasi a mia volta in silenzio e attesi.
Il volto luminoso di Bayındır Khan iniziò a ottenebrarsi, assumendo una colorazione sempre più purpurea. Mi lanciò un’occhiata penetrante: e così non avresti sentito niente? No? Allora non ne sapevi nulla? Dalla sua bocca non uscì una sola parola. Mi guardava in silenzio, immobile. Aspettava una mia risposta.
Era forse possibile mentire a Bayındır Khan, il Khan dei Khan? A lui, il condottiero di un esercito immenso, a lui, che aveva ai suoi ordini gli schiavi più neri e i carnefici più esperti nelle prigioni e nella camera delle torture?
«In effetti, mio Khan, qualcosa ho sentito…». Non mi restava altro che ammetterlo, e così feci.
Fra me e me pensai: “Il Khan sospetta qualcosa, ma stando a quello che ha detto, è chiaro che non sa tutta la verità. Come devo comportarmi? Spero nell’aiuto di Tangrı 16. Bisognerebbe capire fino a che punto giunge la sua conoscenza dei fatti, e dove questa invece si arresta davanti al muro dell’ignoranza. O Grande e Onnipotente Tangrı, solo tu puoi illuminare la mia anima con l’ispirazione”.
«Cos’hai sentito? Avanti, dimmelo. Guardatelo! Che fine ha fatto il tuo sguardo diretto e sincero? Dove corrono i tuoi pensieri? Korkut!» la voce del Khan risuonava sempre più severa.
«Riflettevo, mio Khan. In questo effimero mondo tutto ciò che attraversa di sfuggita la nostra immaginazione può essere scorto nella realtà…».
Le mie parole dovettero piacergli, perché accennò persino un impercettibile sorriso.
(Devo ricordarmi bene di queste parole, perché potrebbero tornarmi utili).
Più tardi pronunciai ancora qualche parola. Tuttavia, guardando Bayındır Khan, mi resi conto che non mi stava più ascoltando. Invero era proprio così. Nei cespugli di rose che crescevano nel cortile del palazzo, si dimenava un uccellino ferito dalle spine. Bayındır Khan si mise a guardare dalla finestra i suoi convulsi tentativi di liberarsi, mentre io, osservando la scena, mi chiedevo: “Si salverà da quel groviglio di spine?”.
«Qılbash, va’ e libera quell’infelice dalle spine» sussurrò Bayındır Khan. Mi parve strano che si rivolgesse a lui, perché lì nelle stanze non c’era nessuno eccetto noi. Oltretutto, Bayındır Khan dove l’aveva visto Qılbash? Eppure l’aveva visto. E mentre sporgevo il collo oltre la sua schiena, Qılbash fece in tempo a liberare l’uccellino dalle spine e ad allontanarsi con calma.
«Qılbash, poi vieni da me».
Rimasi nuovamente di sasso. Come aveva fatto Qılbash, che si trovava dall’altro lato del cortile, a udire le parole che Bayındır Khan aveva pronunciato quasi in un sussurro? Ma ecco che poco dopo si trovava con noi nelle stanze del Khan.
(Qılbash era l’ombra, il respiro, la mente e l’anima di Bayındır Khan. Nessuno fra gli Oghuz osava contraddirlo: non usava parole sue ma riportava esattamente quelle pronunciate da Bayındır Khan. Qılbash diffondeva le notizie, informava i nobili Oghuz delle parole del sovrano e in cambio pretendeva solo obbedienza. Era molto vicino al Khan, nonostante il visir fosse un altro, un uomo rispettabile di nome Qazılıq Qoja, consulente per gli affari di Stato importanti. Ma appena sorgeva la necessità di districare una situazione di cui pochi potevano essere messi al corrente, Bayındır Khan senza dubbio si rivolgeva a Qılbash.
La sua storia, fra un discorso e l’altro, me l’aveva narrata una volta Salur Qazan. Ora ricordo la nostra conversazione: Bayındır Khan aveva accolto a palazzo Qılbash quando questi era ancora un bambino; nacque già in schiavitù, proveniva da una famiglia di poloviciani17 fatti prigionieri. Qualche tempo dopo i suoi genitori fecero avere un biglietto al Khan con la preghiera di riscattare il figlio dalla schiavitù, poiché per loro ormai era troppo tardi. Dopo questa richiesta organizzarono una scorreria e liberarono Qılbash che si appellò alla bontà di Bayındır Khan. Per rispetto al padre di Qılbash, che Bayındır Khan conosceva personalmente, il sovrano prese il bambino sotto la sua protezione. Oggi tutti i segreti, tutti i misteri di Bayındır Khan venivano custoditi solo da Qılbash. Tuttavia…)
Bayındır Khan non si allontanò dalla finestra finché Qılbash non si fu avvicinato al trono. Continuava a guardare in giardino. Nemmeno nei momenti peggiori avevo visto il Khan così teso e concentrato come la corda di un arco. Ciò significava che Bayındır Khan stava per sollevare qualche questione importante e non a caso aveva convocato Qılbash.
{Quando arrivai a questo punto, per la prima volta il manoscritto, proprio come mi avevano riferito gli impiegati del Fondo, non destò su di me alcun interesse. La giovane orientalista aveva ragione: era un argomento completamente diverso. Di cosa stavano parlando Bayındır Khan, Qılbash, Dede Korkut? Cos’era successo fra gli Oghuz? Che lingua stavano parlando? E se quella stessa giovane orientalista fosse stata coinvolta, magari indirettamente, e avesse preso e ritoccato per me il testo perché diventasse bizzarro e allettante? No, non è possibile. In breve, volete sapere cosa successe in seguito? Come vedrete proseguendo la lettura, si scatenò una tempesta, che si intensificò fino a diventare un vero e proprio uragano.}
…Bayındır Khan, anche quella volta, percepì che Qılbash era già nelle sue stanze. Si voltò verso di noi. Fissò con attenzione prima me e poi lui, infine proferì:
«Dovete aiutarmi a risolvere un arcano». «Korkut,» Bayındır Khan tese la mano verso di me, il suo sguardo in quel momento brillava di furore «Tu scriverai» disse. «Inizierai ad annotare qualunque cosa avvenga in questa stanza. Ogni parola, chiunque la pronunci, appunterai ogni sillaba». «Qılbash, tu,» Bayındır Khan si voltò verso di lui «farai in modo che mai nessuno, uomo o donna, osi lasciare i nostri confini finché questa faccenda non sarà finita. Scorrerie, battute di caccia, viaggi, ogni attività dovrà essere sospesa. E chi sarà convocato dovrà presentarsi immediatamente al mio cospetto. Poi… vediamo… ancora una cosa… Qılbash, sei libero di agire come ritieni necessario, ma fa’ sì che la nostra conversazione resti qui, sepolta sottoterra, e che nessun uomo lasci trapelare le nostre parole. Nessuno, nemmeno Qazılıq Qoja, mi hai capito? È una questione che non dev’essere rivelata. Sono stato chiaro? Costi quel che costi, dobbiamo trovare il colpevole».
E dopo averci scrutato intensamente, si avvicinò alla finestra e si voltò dal lato del cortile.
«Qılbash ti spiegherà tutto quello che non sono stato in grado di spiegarti. E ora andate».
Così si concluse la conversazione.
«Dunque, Qılbash, spiegami» dissi.
Attraversammo fianco a fianco il lungo corridoio ed entrammo in cortile. L’ombra dell’altissimo e frondoso olmo situato al centro del giardino si spandeva come un tappeto sull’erba verde. Lì ci sedemmo a gambe incrociate. «Il nostro Khan ha davvero molta fiducia in noi» prese a dire Qılbash solennemente «e noi dobbiamo ricambiarlo con tutta la nostra devozione. Che ne dici, Korkut?».
«Che vuoi che ti dica? Mi hai tolto le parole di bocca. Il Khan sta per avviare un’inchiesta, non è forse così, Qılbash?» gli domandai a mia volta. Riuscii finalmente a proferire quelle parole che non mi lasciavano tranquillo.
«Sì, il Khan condurrà un’inchiesta,» rispose Qılbash, «la spia non si è certo liberata da sola. Lo sai tu, come lo so io, e lo capirebbe perfino un poppante degli Oghuz interni». Iniziai a sudar freddo. Non poteva essere volato alto nel cielo come un uccello, così come non poteva essere sgusciato sottoterra come un topo grigio. È più evidente dell’evidenza, più comprensibile della comprensibilità, l’hanno aiutato a sbarazzarsi dai ceppi e a nascondersi fuori dai nostri confini. Non è forse così? C’è indubbiamente un sobillatore, e il nostro compito è trovarlo e far felice il nostro Khan. Per questo…
(Io, annuendo e borbottando “certo, certo”, mi dicevo d’accordo con ogni parola di Qılbash, come uno sciocco ragazzino. Ma avevo altre vie di scampo? Qılbash, articolando lentamente le parole, mi guardava con attenzione, sembrava che i suoi socchiusi occhi a mandorla volessero penetrare dritti nel mio cuore. Nella testa mi balenò un pensiero: “Qualcuno ha informato personalmente Bayındır Khan. Ma chi? Con molta abilità potrei farmelo rivelare da Qılbash… No, è inutile, nessuno può fermare il volo di una freccia una volta scoccata. Accadranno cose terribili. Chi può sopportare lo sguardo penetrante degli occhi di Bayındır Khan iniettati di sangue? O nobili, o nobili, che giorni neri vi aspettano… ci aspettano… Spero in te, Onnipotente Tangrı.)
«Dove hai la testa, Korkut?» la voce di Qılbash mi riportò all’ombra dell’olmo. «Io?… qui accanto a te, Qılbash».
«Non eri accanto a me. Non distrarti e ascoltami. Per iniziare propongo di cominciare da Qazan, perché nessuno fra gli Oghuz possa dire che Bayındır Khan faccia delle preferenze con suo genero». «È così allora? Iniziamo da Qazan?».
«Sì, successivamente passeremo a Sher Shemsüddin, Begil, Uruz Qoja…». «Beyrek…» aggiunsi cautamente. Qılbash non considerò la mia intromissione e rispose freddamente:
«Cos’avrà mai potuto combinare Beyrek? È al di sopra di ogni sospetto».
E a un tratto, per qualche motivo, Qılbash cercò di sviare l’argomento della conversazione, persino la voce gli si addolcì:
«Korkut, il nostro Beyrek è lo stesso di sempre. Passare sedici anni in prigione, specie in un posto come Bayburt… Non è da tutti gli eroi vivere in un posto come quello, con tutte le cure e i divertimenti che offre! Beyrek è troppo astuto. Da dove proviene quella sua intelligenza?».
«Già da bambino era intelligente. Dopotutto è Bamsi Beyrek, il Cavaliere dello Stallone Grigio» riuscii a rispondere solo così. Non trovai altre parole.
(Senza dubbio tutti i tuoi astuti sotterfugi, un giorno, si dissolveranno come la nebbia del mattino: nessuno può oscurare il sole…)
«Ho sentito che Beyrek recentemente si è presentato al cospetto di Bayındır Khan, non è così Qılbash?» chiesi con dissimulata ingenuità.
«Già, ma non c’entra nulla con questa faccenda. Tienilo bene a mente».
Una cosa mi fu molto chiara: Qılbash non era intenzionato a parlare di Beyrek, e quello era un indizio. In quel momento si alzò e io feci lo stesso, ci dirigemmo dalla parte opposta del cortile, verso le Porte Centrali.
Mentre mi accompagnava, Qılbash mi avvertì:
«Korkut, domani mattina vieni presto, e porta con te carta e penna. Ancora una volta, ti prego, in nome di Tangrı, non farne parola con nessuno».
«Non una parola, va bene, non una parola».
«Esatto, non una parola. Noi eseguiamo il volere del Khan: ci comportiamo come lui ci dice».
«Sono d’accordo».
«Che il tuo cammino possa non conoscere ostacoli! Va’, ti aspetto domani mattina».
«Che l’Onnipotente Tangrı ti protegga. Arrivederci. Stai in salute Qılbash» dissi.
Montai in sella e uscii da palazzo. Spronai il cavallo e presto Gün Ortak rimase alle mie spalle. Non ricordo come riuscii a raggiungere la mia iurta estiva montata sul fianco del monte Aladagh. Smontai da cavallo, l’animale allungò il muso verso l’erba rigogliosa e si allontanò a brucare. Mi sedetti per terra e poggiai i gomiti sulla Pietra della Luce, era radicata per te...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Introduzione
  3. Note all'introduzione
  4. Prefazione o la completezza dell'incompleto
  5. Ancora un’altra prefazione, oppure, a Dio interessano le differenze nel mondo?
  6. Infine un’ultima prefazione, o il diritto di chi è capace di dire «non lo so»
  7. Il manoscritto incompleto
  8. Postfazione o il sigillo dell'incompletezza
  9. Note al testo
  10. L'autore
  11. Il manoscritto incompleto nel mondo
  12. Altre pubblicazioni: Historos