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Memorie di un ambasciatore
Informazioni su questo libro
Dopo l'indipendenza del 1991 l'Azerbaigian si trova a dover stabilire, da Stato sovrano, rapportidiplomatici ed economici con altri Paesi dello scacchiere internazionale.Al primo ambasciatore a Washington, lo scienziato Hafiz Pashaev, spetta il delicato compitodi "inventare" la diplomazia azerbaigiana negli Stati Uniti.Il suo racconto, lucido e documentato ? ma anche ironico e divertente ? ripercorre tredici annidi difficoltà e soddisfazioni, vissute rappresentando gli interessi e le aspirazioni dell'allora sconosciutostato caucasico presso la superpotenza americana.
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Informazioni
Memorie di un ambasciatore
Aspettando il khazri
Estate 1992. Uno dei giorni irrequieti di Baku, uno in cui si spera continuamente nell’arrivo del khazri, il vento nordorientale che porta sollievo. L’indipendenza, sognata per lunghi anni, ci era costata pesanti sacrifici. La guerra del Nagorno Karabakh aveva ormai raggiunto il culmine: l’Azerbaigian aveva già perso Shusha1. Ogni giorno migliaia di innocenti erano costretti a fuggire dalle proprie case e a diventare esuli nel proprio Paese. La parola “profugo”, da secoli scomparsa dal lessico della lingua azerbaigiana, acquistava di nuovo il suo cupo significato. Infuriava la guerra e all’aggressione dall’esterno si sommava la lotta per il potere, che minacciava di provocare un conflitto interno e causare lo smembramento del Paese.
L’allora segretario di Stato americano Lawrence Eagleburger, che cercava una via di uscita dalla difficile situazione creatasi nel Caucaso, non poteva immaginare quanto la sua missione di mediazione sarebbe cambiata dopo soli otto anni. In questa regione dall’importanza strategica si stavano scrivendo nuove pagine di storia e la vita di milioni di persone stava cambiando per sempre. Chi avrebbe potuto immaginare che lo sconosciuto Azerbaigian avrebbe trasformato in realtà la propria indipendenza ottenuta col sangue, e che quel piccolo Stato sarebbe divenuto uno dei centri strategicamente più rilevanti della regione? Ma per il momento il futuro sembrava assai cupo e l’atmosfera politica era tesissima. Fu in una di queste torride giornate che soffiò il khazri, consentendo di respirare a pieni polmoni; qualcuno apriva porte e finestre, altri si affrettavano a uscire sul “boulevard”2. Il sole tramontava, l’aria iniziava a farsi più fresca; incontrandosi per strada, conoscenti, amici e parenti parlavano di lavoro e della salute, condividendo le preoccupazioni e i problemi quotidiani. Uscendo dall’edificio dell’Accademia delle Scienze, dove lavoravo, incontrai nel cortile Tofig Gasimov, che fu nominato ministro degli Affari esteri dell’Azerbaigian dal Fronte popolare. Dopo i saluti di rito mi fece una proposta di lavoro: il governo voleva aprire una rappresentanza permanente all’interno dell’Organizzazione delle nazioni unite e Tofig disse che mi avrebbe voluto come capo della missione. La proposta non mi stupì. Mi tornò in mente una recente conversazione con Hasan Abdullayev, presidente dell’Accademia: «Hafiz, bisogna dire a Tofig che ti facciano ambasciatore negli Stati Uniti. Sei vissuto a lungo in America, conosci le peculiarità di quel Paese. La nuova diplomazia ha bisogno di gente come te». Non so se ne avesse parlato con Tofig; ho anche pensato che un intervento di Hasan potesse essere controproducente, poiché i due avevano opinioni opposte su quasi tutto. Comunque avevo lavorato a lungo con Tofig in Accademia e quindi ci conoscevamo bene. Lui era una persona un po’ particolare, estremamente caparbia e inflessibile, che cercava sempre di imporre le proprie idee. Non amava i comunisti e avrebbe dubitato perfino del fratello, se fosse stato tale. Il problema era che non si fidava di nessuno, e quando lasciò la guida degli Affari esteri venne sfiduciato da più di cento suoi ex sottoposti. Tofig Gasimov era uno dei leader del Movimento nazionale azerbaigiano, un acceso fautore dell’indipendenza del Paese, ma non sapeva lavorare in squadra; era diffidente nei confronti di tutti coloro che non la pensavano come lui, li riteneva comunisti e pertanto accentrava tutto su di sé. Voleva collaboratori che non avessero lavorato nelle strutture del governo sovietico, non influenzati dell’ideologia comunista, ma trovare colleghi di questo tipo non era semplice. Nel governo nazionalista al potere, di cui Tofig Gasimov era uno dei membri più radicali, i comunisti erano percepiti come nemici.
Comunque la proposta di Tofig mi riempì di orgoglio, mi sentii lusingato. Dopo il raggiungimento dell’indipendenza, l’Azerbaigian aveva iniziato ad aprire rappresentanze diplomatiche in diversi paesi e da pochissimo tempo era diventato membro dell’Onu. La diplomazia azerbaigiana era in fase di formazione, e per me era un grande onore essere tra i primi diplomatici del nuovo Stato indipendente. Terminata la breve conversazione con Tofig, lo ringraziai e andai a casa. Gli eventi però andarono un po’ diversamente. Allora quel rapido sviluppo poteva sembrare sorprendente, ma oggi, guardando al passato, tutto questo sembra naturale: la vita di milioni di persone stava cambiando non di giorno in giorno, ma di ora in ora e io ero uno di loro.
Il paese delle tre “G”
Sia in inglese che in russo, le parole “geografia”, “geologia” e “geopolitica” iniziano con la stessa lettera: in inglese questa lettera è la G. Non è affatto un caso se l’Azerbaigian è chiamato “il Paese delle tre G”, dal momento che questo concetto riflette la sua realtà politico-economica e gioca un ruolo importante nella scelta dell’orientamento politico. Dal punto di vista geografico, la Repubblica dell’Azerbaigian occupa una posizione strategicamente molto vantaggiosa: trovandosi tra l’Iran e la Russia, nella regione del Mar Caspio, l’Azerbaigian svolge il ruolo di anello strategico che collega il Caucaso all’Asia Centrale, l’Europa all’Asia, la Russia al Medio Oriente.
Il fattore geopolitico accresce ancor di più l’importanza e il prestigio dell’Azerbaigian a livello internazionale; inoltre è un paese ricco di risorse naturali, soprattutto di petrolio e gas: oggi il bacino del Mar Caspio è considerato una fonte di risorse energetiche alternativa al Medio Oriente.
Il quadro geopolitico della regione assomiglia a un mare pieno di vortici e i fattori che lo determinano sono la geografia e la geologia. Nel corso di tutta la sua storia il Caucaso è stato luogo di intersezione di interessi strategici contrapposti. L’Azerbaigian svolge un ruolo di cuscinetto tra l’ideologia islamica dell’Iran e le ambizioni da grande potenza della Russia. La Turchia, stato membro della Nato, è legata all’Azerbaigian dalla comune etnia e dall’eredità culturale, ed è per il nostro Paese un importante alleato strategico; trovandosi lungo la Via della Seta, l’Azerbaigian può essere considerato la porta dell’Eurasia, che consente agli stati europei l’accesso ai mercati della Cina e dell’Asia sudorientale. La Repubblica azerbaigiana è anche una particolare piattaforma che permette di controllare e reagire rapidamente alle tempeste politiche che si verificano in paesi instabili come il Pakistan e l’Afghanistan. Sfruttare i giacimenti di petrolio e gas del Mar Caspio, trasportare queste ricchezze naturali in modo sicuro e farle arrivare ai mercati internazionali, sono alcune delle priorità della politica economica degli Stati Uniti e dell’Unione europea. Le tre G fanno del mio Paese una delle regioni più importanti della mappa politica del mondo e determinano il suo peso geopolitico.
Purtroppo ci sono anche molti problemi, il più critico dei quali è il conflitto tra Armenia e Azerbaigian. Non ho intenzione di analizzare nel dettaglio i molteplici fattori che lo hanno causato, vorrei però evidenziarne uno in particolare: il vuoto di potere creatosi nel Caucaso dopo il crollo dell’impero sovietico e dalla conseguente lotta per sostituirlo. Questa guerra, nota come “conflitto del Nagorno Karabakh”, si trova oggi in una fase di “né guerra, né pace”. Sono stati fatti diversi tentativi per uscire da questo stallo e per risolvere il problema in modo pacifico. Il conflitto può essere visto come triangolo di interessi oppure come sovrapposizione di interessi su tre livelli, presentandosi contemporaneamente come locale, regionale e internazionale. A livello locale sono contrapposti Armenia e Azerbaigian, a livello regionale sono coinvolti gli interessi di Russia, Turchia e Iran e, a livello internazionale, quelli degli Stati Uniti e dell’Unione europea. I tentativi di risolvere questo problema avranno successo soltanto quando gli interessi, su tutti e tre i piani, saranno riuniti sotto lo stesso “tetto” e ricomposti sotto forma di “casa”. Ma le probabilità di riuscire nell’impresa sono davvero poche. Lo sviluppo dell’Azerbaigian dopo la riconquista dell’indipendenza passa attraverso la ricerca di un orientamento strategico. La linea che attraversa Ankara, Londra e Washington risponde nella maniera più adeguata agli interessi del Paese nel lungo periodo, sebbene la scelta di Ankara come primo punto di questa linea susciti la preoccupazione dell’Armenia a livello locale e della Russia e dell’Iran a livello regionale. L’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan è un chiaro esempio di questa scelta. L’esperienza dimostra che nel triangolo Ankara-Teheran-Mosca lo sbilanciamento dell’equilibrio da una parte sola è una politica pericolosa e la diplomazia di Baku vigila sul costante mantenimento dell’equidistanza all’interno di questo triangolo. È molto difficile creare un equilibrio in politica estera. Ad esempio, uno dei più grandi problemi con cui Baku si è scontrata è la peculiarità della politica e della diplomazia francesi, il ruolo di Parigi nell’Unione europea, la sua visione dello spazio eurasiatico, il suo rapporto con la politica di partenariato transatlantico, la coincidenza di parte dei suoi interessi con quelli della Russia e altre questioni geopolitiche. Tutti questi fattori determinano la politica francese verso l’Azerbaigian. Per capire quanta influenza abbia Parigi, ricordiamo la tenacia con cui la Francia ha ottenuto la copresidenza del gruppo di Minsk all’interno dell’Osce. La scelta della capitale strategica potrebbe suscitare accese discussioni. Il nostro scopo non è quello di imporre un unico parere a riguardo; è indiscutibile che nel mondo gli interessi si contrappongano l’un l’altro e occorra quindi mantenere una situazione di equilibrio. Indipendentemente dalla direzione che questa linea prenderà, è fondamentale che essa sia focalizzata su Washington, poiché il ruolo che gli Stati Uniti possono svolgere nella gestione degli interessi di Mosca, Teheran e Ankara nella regione del Caspio risponde in misura maggiore agli interessi strategici dell’Azerbaigian. Gli interessi di Washington sono i più vicini a quelli dell’Azerbaigian nella misura in cui si voglia esercitare nello spazio euroasiatico una influenza alternativa a quella francese, ora dominante nell’Unione europea.
Questi pensieri risalgono all’estate 2006. Riacquistata l’indipendenza, Baku ha individuato le priorità della diplomazia azerbaigiana e io stesso ho assistito a una serie di avvenimenti dai quali si può dedurre che il nostro orientamento strategico debba far riferimento a Washington. Un’altra questione importante è la difficoltà di raggiungere una sintesi tra necessità e realtà, poiché è molto difficile fare accogliere gli interessi strategici del nostro Paese da Washington e farli coincidere con l’orientamento della sua politica. Avendo guidato la missione diplomatica negli Stati Uniti dal 1993, posso affermare con certezza che i rapporti bilaterali e costruttivi tra l’Azerbaigian e gli Usa saranno sempre il frutto di grandissimi sforzi. Poiché le relazioni con Washington di Baku sono determinate da necessità geopolitiche, non bisogna avere preclusioni ideologiche e posizioni di chiusura. Washington apprezza la professionalità e la partita dell’Azerbaigian su questo campo non sarà mai facile. La decisione su chi d’ora in avanti guiderà la missione diplomatica del mio Paese, più che sulla professionalità, deve fondarsi sulla sua investitura politica. Per fare sì che l’ambasciatore straordinario e plenipotenziario di Baku a Washington sia tale a tutti gli effetti, è indispensabile che il Presidente gli presti sempre ascolto. La professionalità non può esistere senza uno staff adeguato, e se questo deve essere scelto dall’ambasciatore, allo stesso modo la nomina dell’ambasciatore deve rispondere alla volontà politica del Presidente. In altri termini, il perfetto connubio si ottiene unendo professionalità e autorità politica. La formazione di nuovi diplomatici professionisti ha favorito la soluzione del problema.
Emergenza politica e selezione del personale
Nel governo del Fronte popolare3, la politica estera si formava in maniera disordinata e priva di coordinamento. C’erano profonde contrapposizioni tra l’apparato del Presidente e il Ministero degli Affari esteri, contrassegnate da reciproca diffidenza. Tofig Gasimov aveva un forte ascendente sul Presidente Elchibey ma purtroppo non poteva – o non voleva – condividere tale influenza con il ministero da lui guidato. Come ho già detto in precedenza, la diffidenza era uno dei punti deboli del metodo di lavoro di Gasimov; d’altra parte credeva di essere intelligente e proprio per questo si rifiutava di scendere a compromessi. Caparbio e inflessibile, era anche impulsivo, pronto a dare lezioni a quanti si trovassero a discutere con lui, e questo avveniva anche quando lavorava presso l’Accademia delle Scienze indipendentemente dalla circostanza, si trattasse di una discussione scientifica, una partita a scacchi o a ping-pong.
Un mio collega ricorda un episodio avvenuto alla fine del 1992 a Gedda, in Arabia Saudita, nel corso di un incontro tenuto dall’Organizzazione della conferenza islamica e dedicata alla questione della Bosnia Erzegovina. Tofig Gasimov all’ultimo momento decise di prendervi parte, andò in automobile in Iran e viaggiò in aereo da Teheran a Gedda insieme al ministro degli Esteri della Repubblica islamica dell’Iran. Il giorno dei lavori venne a crearsi una situazione delicata: i rappresentanti degli stati islamici erano furiosi e si preparavano a adottare una risoluzione di aspra condanna dell’Occidente per il suo atteggiamento di totale indifferenza nei confronti della Bosnia. La conferenza si stava trasformando in una seduta a porte chiuse, riservata solo ai ministri degli Esteri. All’epoca uno dei mediatori Onu per la Bosnia Erzegovina era Cyrus Vance, già segretario di Stato Usa, che era stato in visita ufficiale in Armenia e Azerbaigian. Verso la fine della sua missione a Baku, sui media del Paese apparve la notizia che Vance parteggiasse per l’Armenia, e la televisione mostrò una scena, avvenuta a Kankhendi, nella quale un anziano armeno, in ginocchio di fronte a lui, gli allacciava le scarpe. Tofig Gasimov voleva dare una lezione a Cyrus Vance a Gedda. Il ministro, che aveva da poco iniziato a studiare l’inglese, buttò giù alcune frasi su un foglio di carta e le passò all’interprete seduto dietro di lui, chiedendogli di tradurle per iscritto. Il giovane interprete, comprendendo che l’intenzione di Gasimov era quella di offendere Cyrus Vance nel corso di una riunione istituzionale e che quindi il suo intervento non sarebbe stato conforme alle norme della diplomazia, non tradusse il testo perdendo tempo di proposito. Quando arrivò il turno del ministro azerbaigiano questi non poté parlare dato che non aveva la traduzione, e sulla tribuna salì un altro oratore. Privato della possibilità di attaccare Vance a quel forum diplomatico internazionale, Tofig Gasimov se la prese con l’interprete e, fuori di sé, iniziò a rimproverarlo, senza notare però che l’attenzione del re dell’Arabia Saudita Fahd e degli altri partecipanti alla conferenza che sedevano in presidenza, era rivolta non al relatore di turno ma a lui. In poche parole le ambizioni del ministro degli Esteri suscitavano il malcontento di molte figure nei circoli governativi. All’epoca Gasimov trascorreva molto tempo tra conferenze internazionali e viaggi all’estero. Questo non sfuggì all’attenzione dei suoi nemici. Ai vertici lo accusavano di essere più informato su ciò che avveniva all’estero che sulla situazione in Azerbaigian, e i suoi detrattori non perdevano occasione per alimentare la polemica sull’argomento.
Nell’entourage del Presidente c’erano due gruppi contrapposti: quello di Vafa Guluzade e quello dei riformatori. Guluzade, vero patriota, diplomatico di carriera, era consigliere di Stato per la politica estera, e oltre a parlare perfettamente arabo, aveva un’ottima padronanza della lingua inglese che, faceva notare con orgoglio, aveva appreso da autodidatta.
È noto che Abulfaz Elchibey fosse un uomo diretto e impulsivo, e questi tratti del suo carattere si manifestavano spesso anche negli incontri ufficiali: poteva lanciare frecciate alla Russia o all’Iran tanto a porte chiuse che di fronte ai mass media. Tali comportamenti incompatibili con il suo status di Presidente e non conformi alle norme della diplomazia, fecero aumentare la tensione con quei Paesi vicini. Vafa Guluzade era l’unico altro funzionario a conoscere l’inglese all’interno delle strutture statali. Il consigliere di Stato interveniva spesso nelle trattative ufficiali e non mancava di correggere i discorsi del Presidente, portando benefici. Guluzade era inoltre molto esperto politicamente, ma nonostante tutti i suoi pregi, nei circoli governativi era ritenuto un esponente della vecchia guardia sovietica. Il gruppo dei riformatori era guidato da un altro consigliere del Presidente, Nadzhaf Nadzhafov. Grandi erano stati i suoi meriti all’interno del Movimento nazionale di liberazione, era un uomo di ampie vedute che usava metodi di amministrazione nuovi e progressisti. Del suo staff facevano parte Arif Aliyev, direttore dell’ufficio stampa del Presidente e i collaboratori del Centro di ricerche strategiche, guidato da Asim Mollazade. Sia in Parlamento che in altre strutture dello Stato c’erano molte forze politiche desiderose di dire la loro in materia di politica estera. Sta di fatto che le divergenze e l’incapacità di partire da posizioni costruttive produssero forti contrasti, che si rifletterono anche sulla nomina del rappresentante permanente dell’Azerbaigian presso l’Organizzazione delle nazioni unite. Quando il Fronte popolare giunse al potere, Hasan Hasanov era Primo ministro, e aveva molta esperienza di lavoro al servizio dello Stato. Il governo, considerando il capitale politico di Hasanov e la sua influenza all’interno del Paese, ritenne opportuno nominarlo rappresentante permanente Onu, ma questa decisione era stata presa senza tener conto del parere di Tofig Gasimov, a cui non piacque affatto, al punto di cercare di farla revocare. Hasanov era da poco entrato in carica a New York quando Tofig Gasimov giunse in visita ufficiale all’Organizzazione delle nazioni unite; fu subito chiaro che Hasanov non aveva cambiato il suo modo di lavorare e di comunicare con gli altri: alzava la voce non solo con i suoi colleghi, ma addirittura con gli ambasciatori di stati esteri o con i collaboratori dell’Onu, e non aveva intenzione di cambiare comportamento. Il vice segretario generale dell’Onu e rappresentante della Federazione russa Vladimir Petrovskij, nel corso del suo incontro col ministro degli Esteri dell’Azerbaigian, espresse la sua disapprovazione per i metodi di lavoro di Hasan Hasanov. Il ministro però interpretò questa lamentela secondo una logica completamente diversa: secondo Gasimov, il fatto che Hasanov alzasse la voce con chiunque voleva dire che era in grado di farsi valere e di difendere a viso aperto gli interessi del proprio Paese. Di conseguenza l’uomo di Baku all’Onu era da considerarsi degno di lode, e così la visita a New York fece cambiare il parere di Tofig Gasimov su Hasan Hasanov. Tornato in Azerbaigian, il ministro insistette perché venissi nominato ambasciatore negli Usa e ottenne l’approvazione del presidente Elchibey. Questo su...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Prefazione
- Introduzione
- Capitolo1
- Album
- Capitolo2
- Capitolo3
- Capitolo4
- Note