
- 246 pagine
- Italian
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Informazioni su questo libro
Questo libro, che riporta gli aspetti e gli avvenimenti più salienti della prima guerra mondiale negli iniziali quattro mesi del suo svolgimento, dagli ultimi giorni di maggio agli ultimi giorni di settembre, è il frutto di varî periodi di residenza al fronte. Ma è stato partecipando al viaggio dei corrispondenti dei giornali nelle zone di operazione, viaggio durato quasi cinque settimane, che l'autore ha potuto raccogliere la materia essenziale del volume. Il risultato è una narrazione potente e sempre attuale che da un lato ci tiene informati sulla nostra storia e dall'altro funge da monito per il futuro.
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Informazioni
DOVE IL COMBATTIMENTO NON HA SOSTE.
IL PASSO DI MONTECROCE
IL PASSO DI MONTECROCE
18 settembre
Prima di salire sulle posizioni, l’ufficiale che ci conduceva ha preso la parola.
Con frasi chiare, pacate, brevi, come se parlasse delle cose più naturali e semplici della terra, ha narrato lo svolgimento dell’azione su quel settore del fronte, una storia magnifica di lotte incessanti, di assalti e contrassalti senza fine fra vette quasi inaccessibili, una storia di accanimenti e di furori. Stavamo per ascendere alla linea di trincee del Pal Grande, del Freikofel, del Pal Piccolo, nelle quali il combattimento non ha soste.
Quale indimenticabile lezione di tattica!
Eravamo in fondo alla valle di Montecroce in una di quelle mattine fresche e purissime che mettono nell’aria luminosa qualche cosa di inebbriante. Il Pizzo di Timau ci sovrastava con i suoi arditi castelli basaltici, che lanciavano l’impeto delle loro torri grige verso l’indefinito della distanza, nell’azzurro del cielo, a un chilometro e mezzo sulle nostre teste. Dalle loro basi, fino al fondo della valle, un digradare di macigni precipitati, vario e come pieno ancora del tumulto dei crolli. Dall’altra parte della valle, le spalle boscose del Monte di Tierz, la cui cresta terrosa e fulva conserva lembi di prato che l’autunno dissecca. Fra il declivio dirupato e nudo del Timau e la costa selvosa del Tierz, come fra due quinte, tutto uno sfondo di imponenti vette rocciose: il Pizzo Collina, il Monte Cogliàns, lo Zellonkofel più vicino, una maestà di masse scoscese e chiare, rigate qua e là da un candore di nevi. Mentre l’ufficiale parlava, le montagne si rimandavano l’una all’altra echi fragorosi e senza fine di cannonate.
La cima del Tierz si coronava di nubi bianche e nembi di terriccio, ed udivamo passare sul Timau un canto profondo e fuggitivo di granate in viaggio. Lunghi rimbombi di esplosioni scendevano per la valle, nella quale vedevamo sorgere e dileguarsi cirri di fumo.
Il cannone faceva un formidabile commento alle parole dell’ufficiale — uno degli eroi del Freikofel, promosso per merito di guerra e proposto per tre medaglie al valore — le illuminava di verità precisa, delineava l’immagine esatta dei fatti. Noi le vedevamo le nostre meravigliose truppe sotto a bombardamenti di giorni e di settimane, impavide, pronte all’attacco: l’artiglieria spiegava.
Un soffio di terrore pareva avesse spazzato la valle. Eravamo adunati presso ad una vecchia chiesuola solitaria, e vedevamo poco lontano le case del villaggio di Timau, vuote, chiuse, silenziose. Poco dopo il paesello di Muse incomincia la zona del fuoco e la vita normale agonizza. Più oltre, sulla strada polverosa non si scorge che qualche portatrice frettolosa, con una gran gerla sulle spalle curve; ancora qualche capraia sui prati, immobile presso al suo piccolo armento, e poi niente altro che soldati, e muli in lenta sequela, salmerie che salgono verso quella tempesta che romba. Erano le otto del mattino quando ci siamo incamminati anche noi, in lunga processione.
Il Pal Piccolo, il Freikofel, il Pal Grande, sono vette in fila di una stessa catena lungo la quale passa la frontiera, diretta da oriente ad occidente. Questa catena si allunga fra due valloni, per un gran tratto paralleli: quello dell’Anger al nord, in terra austriaca, e quello di Montecroce al sud, in terra italiana. Due allineamenti di montagne assai più alte formano gli altri opposti versanti dei due valloni. Insomma, per avere una visione chiara del terreno, necessaria alla visione chiara dei fatti, bisogna immaginare, uno di fronte all’altro — uno sulla nostra terra e uno sulla terra austriaca — due maestosi schieramenti di monti, due grandi spalti le cui creste ondulate e prative, che passano i duemila metri, si guardano da sette od otto chilometri di distanza, e fra loro, più in basso, la catena rocciosa del Pal Piccolo, del Freikofel e del Pal Grande, la quale finisce per attaccarsi al Pizzo di Timau.
Queste alture famose, con i loro cocuzzoli nudi, frastagliati, precipitosi, messi in rango, sorretti e legati da balze tormentate e scoscese, formano una strana convulsione di pietra in mezzo ad un calmo e solenne anfiteatro di montagne verdi: le montagne di Tierz, di Cimon, di Crostis, dalla parte nostra; quelle di Köderhohe, di Lancheck, di Polenick (la sola che si culmini in una dirupata nudità pietrosa), dalla parte austriaca.
Avevamo già contemplato la truce regione del Freikofel dall’alto del Crostis, durante una delle ultime escursioni. Avevamo visto sotto a noi una confusione di giganteschi macigni, variegata di sterpi, e solo dopo una lunga osservazione ci era stato possibile individuare le cime, distinguerle l’una dall’altra e sorprendervi a poco a poco la nascosta vita della guerra. Gl’incamminamenti coperti, le paurose scalinate scavate nel sasso entro l’ombra di canaloni, i rifugi arrampicati miracolosamente nei greti, i baraccamenti annidati ai piedi delle pareti rocciose, e qua e là le trincee, tutto minuscolo, strano, fatto di solchi, di celle, di tane, fra sparpagliamenti di tronchi trascinati lassù, simili a festuche di paglia, pareva dovuto ad un lavoro d’insetti infaticabili e industriosi. Il cannone taceva, e nel silenzio freddo delle vette risuonavano continuamente dei colpi di fucile, cupi, lunghi, con quel rumore caratteristico delle tavole gettate a terra, un rimbombo da legname scaricato.
La lotta si accanisce in questa aspra regione perchè c’è il Passo di Montecroce. La valle austriaca dell’Anger e quella italiana di Montecroce sono in comunicazione. La catena rocciosa del Freikofel ha un taglio profondo nel quale una buona strada si snoda. Per questa strada si può scendere dal Gail al Tagliamento. Padroni del Passo di Montecroce, gli austriaci potrebbero premere verso gli sbocchi che conducono, per le valli del But, del Degano e del Tagliamento, alle retrovie del nostro esercito operante sull’Isonzo. Non andrebbero lontani, ma farebbero sentire una pesante minaccia sul nostro fianco.
Per aprirsi la via di Montecroce non hanno risparmiato sforzi. Avevano preparato numerose strade militari, avevano creato nella zona del Passo un vero campo trincerato, e fin dall’inizio della guerra, concentrate truppe e artiglierie in quantità preponderanti, hanno tentato di forzare il varco. L’azione su questo settore ha avuto tre periodi distinti: offensiva austriaca e resistenza nostra; controffensiva italiana e conquista delle vette; equilibrio. Noi non vogliamo avanzare, siamo sulla frontiera naturale, non reclamiamo terre al di là, e non vogliamo disperdere energie in obbiettivi strategici di secondario valore.
Ma la lotta non si acquieta. Gli austriaci tornano e ritornano all’attacco, tentano e ritentano, costone per costone, vetta per vetta, cercano di smuovere la stupenda barriera di eroismo contro la quale ogni assalto si sfascia e si abbatte nel sangue. Alle volte lasciano trascorrere qualche settimana nell’inerzia, poi, impetuosamente, sferrano un colpo di sorpresa. Sperano di trovarci indeboliti, immaginano forse che, ingannati dalla quiete d’una falsa rinuncia, i difensori abbiano assottigliato le loro schiere.
La nostra difensiva non va intesa come una immobilità. La nostra azione svolge spesso una offensiva tattica, sospinge, assalta, sorprende, striscia, strappa al nemico ora una trincea, ora un ridotto, migliora le posizioni, si abbarbica, approfondisce le radici della resistenza. Le fanterie nemiche sono a quaranta o cinquanta metri l’una dall’altra. Gli avamposti sono a quindici metri. Quando gli austriaci bombardano, spesso debbono fare arretrare la loro fanteria nella seconda linea di trincee per non colpirla.
Il Passo, una spaccatura piena d’ombra, folta di abeti, sta fra due cime massicce e rocciose, due immani pilastri: quello a sinistra è lo Zellonkofel, quello a destra è il Pal Piccolo. A destra del Pal Piccolo, un’altra mole di sasso: il Freikofel. A destra del Freikofel, simile per l’aspetto ma più ampio, il Pal Grande. Ancora più in là, le guglie del Timau. Dopo il Timau, ma non più in rango, simile al capo di una schiera di vette, l’alto Pizzo Avostanis avanza al nord e chiude la valle dell’Anger.
Il possesso di questo Pizzo sollevò anni or sono una questione diplomatica che somiglia a quella della Cima Dodici. L’Austria lo reclamava, ma le sue ragioni erano troppo quelle del lupo. Il Pizzo restò nostro. La lunga premeditazione austriaca ora si rivela nella sua pienezza. Non era il povero possesso di una sterile sommità che si discuteva: era il dominio di un valico, il punto di appoggio di un’azione. Il Pizzo Avostanis è il sostegno del nostro fronte. Se non l’avessimo, forse la difesa non potrebbe esser lì.
La lotta cominciò al Passo. Subito, all’inizio della guerra, il nemico avanzò all’occupazione dello Zellonkofel a sinistra del Passo, e del Pal Piccolo a destra. Sul Pal Piccolo avevamo un plotone. Benchè risolute e tenaci, le nostre forze nella zona erano in quei giorni piccole. Il plotone si trovò di fronte una compagnia austriaca. Dovette ripiegare, ma alla notte stessa i nostri assaltarono il monte. Lo presero, lo tennero. Però, profittando di un cambio di guarnigione che aveva portato sul Pal Piccolo una truppa nuova alla località, gli austriaci attaccarono e rioccuparono la vetta. Vi rimasero poco. Gli stessi soldati che avevano già una volta conquistato il monte, salirono nuovamente all’assalto e lo riconquistarono. E vi sono ancora.
Ma gli austriaci avevano lo Zellonkofel, avevano il Freikofel, avevano una delle due punte del Pal Grande; le posizioni nostre e le loro s’incastravano, s’intersecavano, si allacciavano sopra una stessa linea. Aggrampati sullo scoglio, dove non si scavano trincee, dietro a frettolosi ripari di pietre ammonticchiate e di sacelli di terra faticosamente trascinati lassù, i nostri avevano il nemico di fronte e sui fianchi. Gli approcci erano scoperti, la fucileria grandinava sulle retrovie, mancavano sentieri, il rancio doveva esser portato da lontano con due ore di ascensione sotto al fuoco, e l’artiglieria tempestava. Gli attacchi del nemico erano continui e violenti.
Il Pal Piccolo fu assalito cinque volte consecutive in un solo giorno da un battaglione e mezzo di austriaci muniti di numerose mitragliatrici. Cinque volte il nemico venne ricacciato. Si preparava a salire ancora all’attacco, si sentiva troppo superiore di forze per rassegnarsi, quando nella giornata grigia la nebbia scese dalle vette e una pioggia dirotta cominciò a scrosciare sulle pietre. Allora i nostri si slanciarono fuori dalle posizioni, la baionetta bassa, urlando, e per quel giorno spezzarono definitivamente l’offensiva nemica. Era il 30 maggio.
Intanto il coro dei cannoni aumentava tutto intorno. Mentre le fanterie si battevano, spesso a corpo a corpo, sulla catena rocciosa che il Passo fende, da dietro le creste dell’ampio anfiteatro di monti le batterie preparavano gli assalti o si cercavano fra loro, folgorandosi al di sopra della mischia, e da vetta a vetta filava l’urlante parabola delle granate. I nostri medî calibri entrarono in azione il 28 maggio, e i loro primi rimbombi furono salutati da una lunga acclamazione, giù dalle trincee italiane. Il 3 giugno una batteria austriaca veniva smontata dalle nostre cannonate. Era il momento in cui si preparava la conquista del Freikofel.
Fu annunciata al paese il 9 giugno, quando potè dirsi definitiva. Perchè il Freikofel fu preso, perso, ripreso, riperso, ripreso. Quando si è visto il Freikofel si ha di questi assalti l’impressione fantastica di un volo. Immaginate una specie di alta cupola di basalto, irregolare, con dei fianchi quasi a picco, tutta scogliere, tutta nodi, spaccata da fenditure che ospitano grame sterpaglie, grigia, sinistra, strana come quelle rocce inverosimili della pittura cinese che portano sulla vetta i contorcimenti di un pino asiatico. Lo difendeva una compagnia, ossia tanti soldati quanti era possibile mettervene. Fu preso la prima volta da venticinque uomini.
In molte compagnie alpine si sono formati nuclei numerosi d’uomini votati alla morte; sono detti le «anime perse», sempre pronti ad ardimenti che hanno del sovrumano. Ricordano i keshitai giapponesi, gli assetati del pericolo, gli eroi dell’impossibile. L’attacco del Freikofel pareva una follia, ma bisognava studiarlo, bisognava tentarlo. Avanti le «anime perse»!
Sono tante le anime perse che si dovette fare una scelta. Occorrevano venticinque soldati, e ve n’erano cinquecento che si offrivano. Partì all’alba del 6 giugno la spedizione prodigiosa, condotta da un sergente pratico dei luoghi. Erano tutti alpigiani: guide, cacciatori di camosci, portatori, gente che si sente sicura sopra un abisso finchè trova lo spazio per incastrare la punta d’un piede e i polpastrelli di una mano.
Si vede da dove sono saliti, ma non si carpisce come siano saliti. Portavano il fucile, con la baionetta già inastata, le giberne, il tascapane pieno di viveri, erano carichi di peso. S’inerpicavano con piedi fasciati di pezze, per far meglio presa sulla roccia, e certi tratti di parete liscia, dove non era possibile salire, li superavano fissando alle sporgenze superiori delle lunghe corde alle quali si arrampicavano. Gli austriaci, che vigilavano le due spalle più accessibili del mon...
Indice dei contenuti
- Cover
- Al fronte (maggio-ottobre 1915)
- Colophon
- Indice
- Prefazione
- Al fronte
- «Morale altissimo»
- Verso l'Isonzo
- Ai piedi del carso
- Davanti a Gorizia
- Aspetti della lotta sull'Isonzo
- In un ospedale
- Tra lo Stelvio e il Tonale
- Dai ghiacciai dell'Adamello agli uliveti del Garda
- Tra le balze dell'Adige
- Una maestosa battaglia di fortezze
- Fra i torrioni delle Dolomiti
- Sulle vette dell'alto Agordino
- Nella conca d'Ampezzo e intorno al Lago di Misurina
- Nella valle di Sexten
- La lotta dei colossi
- Dove il combattimento non ha soste. Il passo di Montecroce
- Monte Nero
- La conquista della conca di Plezzo
- Nell'alta valle dell'Isonzo. Le fasi della guerra intorno a Tolmino
- L'eroica conquista di Plava
- Guerra d'assedio intorno a Gorizia. Un atto di sublime sacrificio
- Sull'Isonzo e sul Carso. Una mirabile impresa guerresca
- Sulle pendici del Carso
- Collana