Sull'Andrea Doria c'ero anch'io...
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Sull'Andrea Doria c'ero anch'io...

Note di un naufrago

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Sull'Andrea Doria c'ero anch'io...

Note di un naufrago

Informazioni su questo libro

"Con in mano un fascio di documenti attraversai nuovamente la timoneria e, dopo aver augurato la buona notte al Comandante ed una buona guardia al personale in servizio, lasciai il ponte di comando. Uscendo, il mio sguardo fu attratto dai rossi segnali luminosi di un pannello di controllo situato sulla parete di sinistra; quelle luci rosse indicavano che tutte le dodici porte stagne erano state chiuse. Continuavamo a navigare circondati da banchi di nebbia ma tutte le misure preventive di sicurezza erano state prese. Si poteva quindi procedere con relativa tranquillità...". Questo testo è la drammatica - e finora inedita - testimonianza diretta dell'incidente che ha coinvolto il transatlantico "Andrea Doria", raccontato da uno degli ufficiali di bordo imbarcati sull'unità.- Il Capitano di Lungo Corso Giovanni Conte (Genova, 1934 - 2002), diplomato all'Istituto Nautico genovese, era imbarcato sull'Andrea Doria in qualità di Allievo Ufficiale. Ha in seguito navigato sulla Augustus della Società Italia. Dopo la fine dei transatlantici è passato alla società di navigazione Tirrenia, per la quale ha lavorato fino a fine carriera, giunta dopo quarant'anni di navigazione. I suoi racconti di mare hanno ottenuto numerosi riconoscimenti: il primo premio al concorso nazionale Racconti di Mare (Riposto 1975), il Premio Nazionale Artemare (Riposto 1995), ed il Premio Letterario Internazionale Europa (Bellinzona 2002).

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Informazioni

novels
Giovanni Conte
Sul “Doria”
c’ero anch’io
notarelle di un naufrago
Collana a cura di Pino Casamassima
Progetto grafico e impaginazione: Elena Menichini
Realizzazione editoriale
© 2016 - De Ferrari Comunicazione S.r.l.
Via D'Annunzio, 2/3 - 16121 Genova
Tel. 010 5956111 - 010 587682 - 010 460020
Fax 010 0986823 - cell. 348 7654815
L’editore rimane a disposizione per gli eventuali diritti sulle immagini pubblicate. I diritti d’autore verranno tutelati a norma di legge.
Sul “Doria” c’ero anch’o
Diplomato due anni prima Capitano di Lungo Corso, da circa venti mesi mi trovavo imbarcato sul grande transatlantico “Andrea Doria” in qualità di Allievo Ufficiale di Coperta.
Orgoglio e vanto della nostra rinascente Marina Mercantile, era certamente questa una delle navi più belle ed eleganti che solcassero gli oceani in quel periodo. Non era una delle navi più veloci, comunque, con le sue 29 mila tonnellate di stazza lorda, riusciva ad effettuare la linea regolare Genova - New York alla media oraria di 23 miglia. Molteplici ragioni avevano spinto i nostri costruttori a non competere con le altre più potenti nazioni marinare sul piano della velocità, ma i nostri architetti ed artisti avevano avuto modo di sbizzarrirsi nelle più audaci e moderne fantasie inventive riuscendo a rendere quella nave un vero gioiello di eleganza e di comodità.
Eravamo partiti da Genova nove giorni prima e dopo aver toccato Cannes e Napoli avevamo fatto una breve sosta a Gibilterra.
Lasciate le coste dell’Europa con a bordo circa 1.200 passeggeri e 500 tonnellate di merce varia, affrontammo la traversata dell’Oceano Atlantico. La prua della nave era orientata su quella che veniva chiamata la “rotta del sole” e che in pochi giorni ci avrebbe portato sulle coste nordorientali degli Stati Uniti d’America.
Data la stagione estiva, il Comandante aveva deciso di effettuare la traversata atlantica seguendo un percorso ortodromico, il che avrebbe permesso di risparmiare cammino e guadagnare quindi qualche ora sulla tabella di marcia prestabilita.
Nonostante la nave si fosse portata in latitudini piuttosto elevate, date le caratteristiche della rotta seguita, il tempo per i primi quattro giorni si era mantenuto buono e la navigazione era stata tranquilla. La vita di bordo era quella consueta a tutte le navi di linea. I passeggeri cercavano di divertirsi il più possibile, trasformando il viaggio in una breve meravigliosa parentesi dalla loro vita di tutti i giorni.
L’equipaggio, composto di 570 persone, eseguiva i propri compiti e doveri serenamente, orgoglioso di trovarsi a bordo della “nave ammiraglia” della flotta mercantile nazionale.
Si giunse così all’ultima notte di navigazione, quella che precedeva l’arrivo a New York. La fine del viaggio
era desiderata intensamente da molti e subita quasi con rimpianto da altri, a seconda dei motivi che avevano portato ciascun passeggero lontano dalla propria terra. Quella sera regnava a bordo una calma assoluta. La notte prima c’era stata la grande festa di “fine traversata” alla quale avevano partecipato quasi tutti i passeggeri ed alcuni Ufficiali di bordo invitati espressamente dal Comandante. Nei saloni da ballo delle tre classi la parola d’ordine era stata “allegria” e così, al suono delle musichette più in voga, fra saluti e brindisi, si erano fatte le ore piccole.
Quell’ultima sera, invece, i passeggeri erano tranquilli e quasi tutti, a causa dell’imminente arrivo, stavano provvedendo alla sistemazione dei propri bagagli.
Dalle ore 20 alle 22 mi ero trattenuto in “Segreteria Comando” per eseguire del lavoro straordinario. Dovevo portare a termine alcuni documenti, relativi al viaggio in corso, che sarebbero stati presentati alle autorità portuali all’arrivo della nave a New York.
Si prevedeva di arrivare alla banchina alle ore nove del mattino seguente. L’ “Andrea Doria” stava navigando con circa due ore di ritardo sul normale orario di crociera. Negli ultimi due giorni avevamo incontrato mare burrascoso con forte vento da Nord-Ovest e ciò aveva impedito alla nave di mantenere la consueta velocità di 23 miglia orarie sulla quale erano calcolati i tempi degli orari di linea.
Eravamo ormai in prossimità delle coste nordamericane e fin dalle prime ore del pomeriggio fitti banchi di nebbia ostacolavano la navigazione. Questa circostanza, abbastanza frequente in quella zona di mare, aveva costretto il Comandante a ridurre un poco la velocità della nave e a rinforzare, con qualche uomo in più, le guardie sul ponte di comando e nella sala macchine. Con tali accorgimenti era garantita una maggiore sicurezza di navigazione nonostante le condizioni di visibilità fossero in certi momenti assolutamente proibitive.
Durante quelle due ore di lavoro notturno ebbi occasione di recarmi, per ragioni di servizio, sul ponte di
comando. Potei rendermi conto che stavamo ancora navigando nella nebbia perché, ad intervalli regolari, sentivo proprio sopra la mia testa il potente fischio ad aria compressa emettere i segnali regolamentari prescritti in tali occasioni. Inoltre constatai di persona la presenza pericolosa della nebbia perché, uscito sull’aletta di plancia per salutare gli Ufficiali in servizio di guardia, mi trovai completamente immerso in una cupa atmosfera, densa e umida, che quasi impediva la normale respirazione. A stento, nella notte nera e fosca, si riusciva ad intravvedere la prora della nave dove un marinaio di vedetta scrutava attentamente attorno a sé l’orizzonte d’altronde molto limitato. Teneva a portata di mano un telefono per poter comunicare con la plancia nel caso avesse avvistato qualcosa sulla rotta che stavamo seguendo.
La timoneria era immersa nel buio; solo la fievole luce delle bussole e dei diversi quadranti indicatori lasciava intravvedere la sagoma scura del marinaio al timone, attento come sempre a mantenere la nave sulla rotta comandata. Davanti agli schermi dei due radar in funzione si trovavano, silenziosi, due osservatori: il Comandante ed il secondo Ufficiale “A”. Saltuariamente si scambiavano qualche parola riguardante la navigazione, poi la timoneria ripiombava nel silenzio più assoluto. Tale silenzio era rotto soltanto dai segnali intermittenti del fischio automatico e dal ticchettio meccanico del motorino di scorrimento della girobussola. L’altro ufficiale di guardia, il terzo Ufficiale “E”, e i due marinai di vedetta stavano fuori all’aperto, sulle due alette di plancia, silenziosi ed attenti. Protetti contro l’umidità della notte da pesanti giacconi di cuoio, aguzzavano lo sguardo davanti a sé e tendevano l’orecchio in modo da poter sentire subitamente eventuali segnali da nebbia emessi da altre navi incrocianti nella zona.
Scostata la pesante tenda divisionale, penetrai nella sala nautica dove trovai il Comandante in seconda. Chino sulla carta di navigazione, stava controllando la posizione della nave e col compasso misurava, sulla scala delle latitudini, le miglia che ancora rimanevano da percorrere calcolando mentalmente la probabile ora d’arrivo alla banchina.
Salutai a voce sommessa per non disturbarlo. Esaminai quindi il brogliaccio di navigazione aperto sul tavolo da carteggio e trascrissi alcuni dati nume...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Sommario
  3. Sul “Doria” c’ero anch’o