Vasco Rossi
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Vasco Rossi

Rock... mica balle

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Vasco Rossi

Rock... mica balle

Informazioni su questo libro

"Quando da ragazzo trasmettevo in radio, dicevo sempre che era sbagliato mitizzare chi scrive canzoni. Detestavo tutta quella celebrazione. La vita, guarda caso, mi ha fatto uno scherzo di fare diventare un mito me. Ma io, sul palco, gioco a fare la rockstar: è solo un gioco. Quando scendo dal palco sono una persona normale, o meglio...cerco di esserlo. Se uno si sente una rockstar anche nei camerini, è da ricoverare."(Vasco Rossi)------Pino Casamassima, giornalista e saggista, è stato opinionista per il web europeo del network americano CBS, e consulente editoriale della Rizzoli Libri. Attualmente scrive per Il Corriere della Sera e cura una rubrica su Il Giorno. Autore de La Storia siamo noi, collabora con History Channel e l'Università Cattolica di Milano.

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CONTRO CANTO
Pino Casamassima
VASCO ROSSI
Rock, mica balle...
Si ringrazia per la preziosa collaborazione Tania Sachs
Fotografie di Antonio Amato - Genova
Realizzazione editoriale
© De Ferrari Comunicazione S.r.l.
Via D'Annunzio, 2/3 - 16121 Genova
Tel. 010 0986820 - 0986821 - 0986822
Fax 010 0986823
L’editore rimane a disposizione per gli eventuali diritti sulle immagini pubblicate.
I diritti d’autore verranno tutelati a norma di legge.
INTRODUZIONE
Ma ci voleva proprio un altro libro su Vasco? Certamente no, anche perché ne sono stati scritti diversi e anche di qualità. E allora? E allora ci voleva per me: un entusiasta di tutto ciò che pubblica. Che si tratti della storia della Fiat come quella della Ferrari, o di Enzo Ferrari in persona. Perché uno che fa il mio lavoro ha bisogno di rovesciare sulla carta i propri sentimenti, i propri interessi; e, perché no?, i propri miti. Compresi quelli “musicali”.
Erano i primissimi anni ’80, non ricordo con precisione se l’81 o l’82, e a Vobarno, un paese distante pochi chilometri dalla Salò nella quale vivo, si esibiva questo Vasco Rossi. Avevo sentito qualcosa di lui ma, in verità, non ero rimasto folgorato. Almeno, non come il mio amico Ugo, che non cadde da cavallo come San Paolo, ma cadde immediatamente in una forte dipendenza da Vasco, da cui è tuttora affetto. Una malattia che mi trasmise poco alla volta, complice anche quel concerto: "Ti piacerà… abbi fede". Ebbi fede. E lui ragione. Così, Vasco fu inserito nei “miei” artisti privilegiati, di cui sarebbe noioso riportare qui la lista, anche perché lunghissima.
A distanza di tanti anni, Vasco continua a produrre e io ad ascoltare le sue canzoni. E uno che scrive canzoni così può permettersi tutto, anche quella “vita spericolata” diventata poi col tempo una sorta di luogo comune. E poi, anche fosse stata spericolatissima, che importanza avrebbe? Che importanza per chi ascolta una sua canzone? Forse è importante sapere che in famiglia Charly Chaplin fosse un despota come Picasso? Quel che importa di un artista è appunto la sua arte e basta. Il resto, come si dice, è vita. La sua, appunto. Che va rispettata e non giudicata, come la vita di tutti. E’ per questo che ripercorrendo la carriera di Vasco ho cercato di tenermi ai margini della sua vita privata, pur concedendo quel minimo necessario di biografia, più che altro per inquadrare un periodo, una fase artistica. Per gli artisti parlano le opere, indipendentemente dal fatto che siano santi o eroi, o criminali, come il signor Michelangiolo Merrisi, meglio noto come Ca­ravaggio. E anche per Vasco parlano le sue canzoni. Testi e musiche che ormai hanno attraversato più generazioni, con padri e figli insieme in un concerto. Brani che hanno accompagnato gli ultimi vent’anni della nostra storia, e nei quali ci siamo ritrovati in epoche diverse della nostra vita: da un innamoramento a una delusione, dalla rabbia alla esaltazione, dalla tristezza alla gioia, passando per quella quotidianità che spesso ammazza. Canzoni che hanno finito con lo scalfire anche il pregiudizio più ostinato, irrompendo con la loro delicatezza o con la loro violenta dolcezza o con la loro spregiudicata forza del nuovo.
Il primo, scontatissino, titolo che m’era venuto in mente per questo libro era stato “una vita spericolata”. Immedia­tamente cassato, oltre che per l’evidente banalità, appunto, anche perché avrebbe rimesso ancora in circolo un’idea distorta di Vasco: un’idea legata cioè più al suo privato che alla sua produzione artistica. Che, invece, è quella che più m’interessa mettere in evidenza. Così avevo deciso per “sono solo io”. “Sono solo io” perché, oltre a fare il verso alla celeberrima “Siamo solo noi”, manifesto di un’intera generazione vaschiana, rendeva al meglio l’idea del personaggio: un artista che, a buon diritto, può essere definito il rock in Italia, senza nulla togliere agli altri suoi colleghi. E allora... poche balle: da qui il titolo finalmente scelto. Altro elemento che ho voluto mettere in risalto in questa biografia su Vasco è la sua unicità: un modo di proporsi che non ha né derivazioni né improbabili emuli.
Gennaio 2003
Capitolo 1
Ricordando Vasco
Zocca è uno dei tantissimi paesini d’Italia. Si trova sull’Appennino, a 750 metri sul livello del mare, a metà strada fra Modena e Bologna. Di anime ne conta 4500, più quella di Vasco, che nasce proprio qui il 7 Febbraio 1952. Suo padre, Carlo Rossi, è un camionista dai modi bruschi ma dall’animo sensibile, come spesso si registra fra gli appartenenti alla categoria dei domatori dei bisonti della strada. Carlo ha fatto la guerra, ed è pure stato prigioniero in un campo di concentramento in Germania: un soggiorno, se così lo si può definire, condiviso con una persona cui è sempre rimasto legato: l’amico Vasco. Ed è in ricordo di quell’amicizia, di quel tempo per fortuna passato e che non dovrebbe tornare mai più, che Carlo decide di chiamare Vasco suo figlio. Un omaggio alla memoria di un amico. Sua madre è Novella Corsi, una serena casalinga sempre indaffarata tra le faccende domestiche e piccoli lavori che svolge per conto terzi, tanto per arrotondare l’andazzo familiare: come tante sue coetanee, tante donne, non solo di Zocca. Un paesino tipico di quelle zone, in cui ci si conosce tutti e ci si chiama per nome quando ci si incontra per strada, infilando qualche veloce considerazione sul tempo o sul governo; o su entrambi. Le donne s’incontrano a far spesa, confidandosi le ultime mascalzonate dei figli. O dei mariti. Con curiose variabili affettive. ("Ieri sera mio figlio non tornava più… L’ho aspettato in piedi fino alle due. Mi ha fatto preoccupare non poco!"; "Ieri sera quel maiale di mio marito è arrivato a casa a mezzanotte. Ma mi son fatta sentire. Eccome!").
L'adolescenza di Vasco trascorre tra i vizi che gli concede suo padre, il freno che gli fa mordere spesso sua madre, e l'affetto della nonna Ortensia, chiamata però Norina, e degli zii. Poi ci sono Ivana e Cecco, amici di famiglia ma, di fatto, per Vasco, altri zii. Anzi, più zii di quelli naturali, che trattano Vasco come un loro figlio, e ce l’hanno sempre per casa anche per l’amicizia che lega il piccolo di casa Rossi alla loro Caterina. Considerata di conseguenza da Vasco una sorella. Vasco trascorre più tempo da “zia Ivana” che non a casa sua, anche per la non trascurabile presenza di Caterina. Col tempo, questa “zia” diverrà una figura predominante nella sua vita: la persona alla quale si rivolgerà ogni volta che si presenterà un problema con i genitori o per sfuggire ai rimbrotti della mamma, ma anche più avanti negli anni, Vasco, avrebbe dimostrato di temere più i giudizi di zia Ivana, molto più energica, di quelli della madre.
Capitolo 2
L’Usignolo d’oro
A scuola, Vasco non brilla di luce propria, ma non è neppure un asino: è un bambino come tanti, che trascorre la propria esistenza come i suoi coetanei di Zocca. Come alcuni di essi, anche lui canta nel coro della parrocchia, esibendosi estemporaneamente anche in qualche festa in famiglia. A quel tempo tutti i ragazzi erano soliti dividersi in due fazioni. C'erano la "Fondezza" (bambini residenti nella parte bassa di Zocca) e il "Battello": Vasco apparteneva a quest'ultima “banda”. Il passatempo principale consisteva nel contendersi delle zone per le quali ingaggiavano interminabili battaglie. Finite le scuole invece, nel periodo estivo, il tempo libero veniva occupato con la pesca ai gamberi di fiume nel Panaro. Allo studio Vasco non dedicava molto tempo, anche perchè poteva contare su una formidabile memoria che gli permetteva di ricordare quanto bastava delle spiegazioni degli insegnanti. Inoltre, era intonato e con una bella voce, pertanto mamma Novella pensò che sarebbe stata una buona cosa farlo cantare a matrimoni e concorsi; Vasco si ritrovò così anche a prendere lezioni di canto da un apprezzato maestro (Bononcini di Modena) per due volte alla settimana insieme ad un suo amico. Dopo un anno, il 26 dicembre 1965, si presentò al concorso "l'Usignolo d'Oro" al teatro comunale di Modena. Tale concorso si svolse solo in quell'anno e se lo aggiudicò proprio lui con la canzone "Come nelle fiabe", composta per l' occasione da Lorenzo Marengo e musicata dal suo maestro di canto. Ha solo quattordici anni quando decide di fondare il suo primo complessino, che chiama "Killer" e poi, più morbidamente, i "Little boys". Il gruppo è composto da cinque persone, tra le quali suo cugino e il suo compagno di lezioni di canto. Per la precisione, la formazione vede: Vasco (voce e chitarra solista), Marco Rossi (batteria), Alvaro Tebaldi (basso), Severino Valisi (chitarra ritmica) e Marco Gherardi (chitarra). Durante l'estate riescono anche ad effettuare qualche piccolo concertino. Cose tipiche, insomma, di quell’età. E soprattutto di quel periodo in piccole realtà di paese. Vasco si impegna col canto, prende pure lezioni e, come detto, è gratificato dalla partecipazione a un concorso canoro. Sarà un segno del destino, o sarà semplicemente che risulta il più bravo, fatto sta che il piccolo Vasco si classifica al primo posto, ottenendo 100 punti su 100. Che soddisfazione. Anche papà Carlo gongola tutto, nonostante non voglia darlo a vedere, per non parlare di mamma Novella e di zia Ivana. Ci scappa pure qualche lacrimuccia. Il seme della musica è gettato, germoglierà presto. Ma c’è la scuola: "l’impegno numero uno", come gli ricordano papà, mamma e zii. Come sempre, lui non eccelle: fa quel che deve fare, e archivia le medie. Il coro, però, adesso sta stretto. Con tutto quello che si sente in giro, con quello che sente per radio, con quello che si ascolta su qualche giradischi di qualche amico, è arrivato il tempo di passare ad altro. Di provare a fare musica, non solo a ugolare in parrocchia. Altro che coro: mettiamo su un complesso. Come lo chiamiamo? Killer. Ma non sarà troppo? Troppo in tutti i sensi? No, meglio Little Boys. Ok. Vasco suona la chitarra e, ovviamente, canta. Repertorio: due brani dei Camaleonti, uno di Caterina Caselli, ed un pezzo degli Shadows. Il gruppo, anzi, il complesso, si riunisce a volte a casa di Vasco, a volte a casa di un amico, finché arriva la prima esibizione in pubblico nell'unico albergo di Zocca, l'Hotel Panoramic. E’ un successo, tanto che i Little Boys vengono poi regolarmente chiamati nelle varie occasioni in cui l’albergo necessita di un’orchestrina (pardon, di un complesso): così i Little Boys suonano per matrimoni, cresime, battesimi, anniversari, feste e ricorrenze affini. Ma il monito di casa Rossi rimane lo stesso, indipendentemente dalle performances artistiche di Vasco: "prima di tutto, viene la scuola". Meglio se fatta bene: e cosa c’è di meglio del Collegio Salesiani di Modena? Papà Carlo passa sopra le rimostranze di Vasco, come col suo camion su una cicca in mezzo alla strada: «lì ti preparenanno bene. E’ gente seria quella, che ti farà studiare e ti preparerà un avvenire». E spedisce suo figlio a Modena. Inizia così un nuovo ciclo per la vita di Vasco, che però non si adatta alle regole ferree e intransigenti del collegio, oltre a non amare quella forzata convivenza con tanti altri suoi coetanei, che spesso gli risultano antipatici. O semplicemente lontani da lui per educazione, estrazione sociale, interessi. L'unico con cui lega è “il Silvestri”: Sergio Silvestri, provinciale anche lui, anche lui disadattato alla situazione, anche lui insofferente nei confronti degli altri e delle regole del collegio. Agli occhi di Vasco, Sergio ha poi una marcia in più rispetto agli altri: anche lui ama la musica, e se la cava benissimo sulla chitarra, tanto da insegnare all’amico nuove tecniche. Ma come hai fatto a imparare ‘ste cose? Oh… Sei bravissimo vè! Me le ha insegnate uno che è fighissimo, si chiama Maurizio Solieri. Uè dev’essere un mostro ‘sto Solieri. Beh, veramente è uno fighissimo anche senza chitarra: rimorchia da bestia!
Capitolo 3
Come in prigione
I momenti belli in collegio, gli unici momenti belli, se così si possono qualificare, sono solo quelli con l’amico Sergio e i suoi accordi imparati da quel mito che dev’essere Solieri. Per il resto, è una prigione. Anzi, proprio un campo di concentramento, come quello dov’erano stati rinchiusi suo padre e il suo amico da cui gli era derivato quel nome. Eppure lui l’aveva provato cosa volesse dire stare rinchiusi! Cosa gli era saltato in mente di mettere in prigione suo figlio? Certe volte i genitori sono proprio come gli aguzzini, i carcerieri. E il bello è che ti dicono che lo fanno per il tuo bene! Ma che bene e bene… Lo saprò ben io cos’è il mio bene. Qui si muore, altro che bene!
La ferrea disciplina, la repressione, l’ambiente austero mal si conciliano con lo spirito indipendente di Vasco. Che si ribella con una frequenza sempre maggiore, fino ad arrivare all’atto estremo: la fuga. Ci prova per due volte, e tutte e due le volte i salesiani lo beccano. Così come lo scoprono a scrivere frasi “irriverenti” sui muri del collegio. Oltre che ribelle, ora è anche classificato come vandalo. Ma i rimproveri, le punizioni, le incazzature sonore di suo padre, ormai gli scivolano addosso, perché ha preso una decisone irremovibile, piaccia o no a suo padre. Se mi lasci qui, io non finisco di studiare: non ce l’ho con lo studio, ce l’ho con questo ambiente. Non ne posso più di stare qui. Di fronte a tanta determinazione non servono né minacce, né lusinghe. E papà Carlo cede: finirà gli studi di ragioneria a Bologna, starà a casa di sua zia. Finalmente libero!
Ma anche Bologna riserva sorprese poco gradevoli. Anche qui, nella grande città, vede che la diversità, la sua diversità, nel modo di vestire, di pensare, di rapportarsi agli altri, tende a emarginarlo. Per fortuna c’è sempre Zocca, il suo paese, la sua gente. Per questo sarà grande la sopresa quando, rincontrandosi con gli amici di un tempo, si sentirà dire che è cambiato, che è diverso da prima. Qualcuno lo troverà perfino “sofisticato”. Sofisticato lui, Vasco. Allora è meglio starsene a Bologna. Chissà che lì, almeno, possa avere la possibilità di dire al mondo: Ué, ci sono anch’io: Vasco Rossi.
Capitolo 4
La comune
E non si può mica più stare dalla zia. Via! Papà, cerca di capire. Qua, a Bolgna, dalla zia. Che dico agli amici? Venite dalla zia? Perché cos’ha la zia? Niente, è proprio questo il punto. La vince anche questa volta, e si trasferisce in un piccolo appartamento con altri due ragazzi, diventando presto uno dei tanti rivoluzionari pronti a cambiare il mondo l’indomani. In poco tempo è un leader: un ruolo che gli viene riconosciuto di diritto per la sua capacità di reagire sempre in maniera dura e strafottente, e perché è sempre il primo ad andare a scontrarsi con il preside (ottuso e, manco a dirlo, fascista) del Tanari, l’istituto dove “studia”. Nel tempo libero ascolta una valanga di dischi, fra cui Genesis, Deep Purple, Chicago, Cat Stevens. E inizia a creare lui qualcosa: a buttar giù i primi testi sui primi accordi. Brani ancora acerbi, poesie strimpellate. Non c’è però solo la musica, c’è tutto un fermento artistico a Bologna, che coinvolge Vasco anche su altri terreni, primo fra tutti il teatro: nella fattispecie, il TeatroEvento, una delle prime compagnie d’avanguardia della Bologna ribelle. Vasco si cimenta come regista, attore, sceneggiatore. Insomma, un vero artista “totale”. Come gli scapigliati milanesi di inizio Novecento. Che si riunivano al caffè, dove nascevano spesso le basi per tante opere di vario genere, dalla letteratura alla poesia, dalla pittura al teatro. A Bologna ci sono le osterie, soprattutto una, quella delle Dame, dove si può incontrare gente tosta, il meglio dell’intelligenza creativa della città, il meglio a livello politico: persone che vogliono cambiare, non subire. Senza contare il non trascurabile particolare di poter incontrare Francesco Guccini o Lucio Dalla o Claudio Lolli, o tutti insieme.
Fa insomma un po’ la vita del bohemien di provincia, ma sente che anche quell’ambiente, quello universitario, gli sta stretto, perché la musica fa contorno, è considerata “cosa di poco conto”: i discorsi, tutti i discorsi, sono finalizzati alla politica, alla rivoluzione. Un ambiente che comunque lo porta a rivedere certe decisioni. Che ci fa, ad esempio, lui a Economia e Commercio? Solo perché ha fatto Ragioneria deve finire a far di conto, seppur da laureato? Così cambia: via da Economia, per Pedagogia. Una scelta confortata da risultati apprezzabili. E anche col teatro è ora di darci un taglio. Basta sperimentazioni, basta avanguardie espressive: lui vuol fare musica, non teatro: il tempo è meglio dedicarlo a quelle sue prime timide composizioni. Bisogna concentrarsi su ciò che si vuole fare, su ciò che si ama, non su ciò che è più figo in quel momento, ciò che è più di tendenza. Anche se ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Sommario
  3. INTRODUZIONE