Riscrivere l'economia europea
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Riscrivere l'economia europea

Le regole per il futuro dell'unione

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Riscrivere l'economia europea

Le regole per il futuro dell'unione

Informazioni su questo libro

Il progetto sociale e politico dell'Unione europea è in crisi: il rallentamento della crescita, la recessione e la stagnazione dei salari negli ultimi anni hanno colpito duramente i paesi membri. Le difficoltà economiche hanno inasprito le tensioni sociali portando alla ribalta sentimenti e tendenze apertamente nazionaliste e antieuropeiste, delle quali il voto per la Brexit e la crisi dei migranti sono le espressioni più dirompenti.Per Joseph E. Stiglitz l'eccessiva fiducia in un neoliberismo aggressivo e in mercati non regolamentati ha privilegiato un'industria finanziaria spericolata e ha portato a un aumento della disuguaglianza tra i cittadini. Se si vuole recuperare l'identità originale del progetto europeo e preservare i valori fondanti dell'Unione – tanto più nel momento in cui sono messi a dura prova dalla pandemia –, è necessario ripensare radicalmente le politiche economiche e la loro applicazione. In Riscrivere l'economia europea, Stiglitz avanza le sue proposte di riforme possibili e ormai necessarie, etraccia il solco da seguire per strappare l'Unione dallo stallo economico e sociale in cui versa per fare in modo che il progetto europeo possa rifiorire, garantendo un futuro migliore ai cittadini e trasformando questo complesso organismo in una forza finalmente protagonista del mondo globalizzato.

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Informazioni

Anno
2020
Print ISBN
9788842825593
eBook ISBN
9788865768105
Argomento
Business
parte seconda
I mercati al servizio dell’equità e dell’efficienza
4. Promuovere mercati competitivi: incentivi, regolamentazione e partecipazione
All’interno delle nazioni occidentali, i mercati per lungo tempo avevano giocato un ruolo centrale nell’organizzazione della produzione e nella distribuzione di beni e servizi. L’Europa aveva tenuto in piedi un’economia mista, con un equilibrio fra impresa privata, governo (a molti livelli differenti) e un mix di altri meccanismi istituzionali come fondazioni, cooperative e organizzazioni non a scopo di lucro. L’aggressivo approccio liberista di Margaret Thatcher e la caduta del Muro di Berlino, tuttavia, hanno determinato un cambiamento importante in questo equilibrio, un cambiamento basato su un’eccessiva fiducia nei mercati. Nello scontro fra due sistemi concorrenti, il comunismo e il capitalismo, il secondo sembrava aver riportato una vittoria schiacciante, definitiva. Alcuni, come Francis Fukuyama, si erano spinti addirittura a proclamare «la fine della storia», profetizzando che il mondo intero avrebbe finito per riconoscere la saggezza del liberalismo, del capitalismo e della democrazia. Questo trionfalismo aveva aperto la strada a un ridimensionamento del ruolo dello Stato.
Questa fiducia nel mercato è stata intaccata in più occasioni dopo il 1989. La crisi finanziaria del 2008, in particolare, ha messo a nudo profondi limiti strutturali. In Occidente, perfino nei decenni precedenti alla crisi, la metà più povera delle famiglie, o addirittura il 90 per cento più povero della popolazione, aveva ottenuto benefici economici modesti. Un gran numero di famiglie europee aveva visto il proprio reddito rimanere fermo o calare per lunghi periodi. Al contrario, il modello di capitalismo di Stato cinese se l’era cavata ottimamente, al punto che oggi la Cina, secondo alcuni parametri, è la più grande economia mondiale.
Va detto, inoltre, che il trionfo dell’Occidente sull’ex Unione Sovietica era stato dovuto principalmente al fallimento di un sistema politico autoritario combinato con una pianificazione centrale. E il successo dell’Occidente non poggiava unicamente sulla sua dedizione ai mercati: un’intera gamma di istituzioni, fra cui lo Stato, le istituzioni senza scopo di lucro e la società civile in senso lato, aveva contribuito alla forza dei paesi occidentali.
Uno degli obiettivi più importanti di questo libro è incoraggiare un ripensamento di questa ecologia economica, una nuova valutazione del mix appropriato di istituzioni statali, società private a scopo di lucro e società private non a scopo di lucro, e come ognuna di queste si relaziona con le altre. Negli ultimi trent’anni queste istituzioni sono state viste generalmente come soggetti in contrapposizione fra loro, sostenendo la necessità di ridimensionare lo Stato per lasciare il settore privato a scopo di lucro, visto come il pilastro del successo economico, libero di prosperare. Oggi, tuttavia, siamo consapevoli che in un quadro generale disegnato ad hoc queste diverse entità sono in grado di lavorare in modo complementare: in particolare, senza un quadro normativo appropriato, i mercati senza vincoli possono portare al disastro. La verità è che una regolamentazione finanziaria migliore avrebbe potuto risparmiare al mondo la crisi finanziaria del 2008.
Inoltre, in molti casi, il settore privato non avrebbe potuto andare così bene come ha fatto senza sfruttare precedenti investimenti pubblici, soprattutto nel campo della ricerca e sviluppo. Il settore tecnologico mondiale odierno non sarebbe quello che è senza gli investimenti realizzati dallo Stato per creare internet. Nel suo influente libro Lo Stato innovatore. Sfatare il mito del pubblico contro il privato, Mariana Mazzucato sostiene che lo Stato ha spesso incoraggiato innovazioni importanti, agendo con una mentalità molto più lungimirante di quella del capitalista tipico.1
Anche se accettiamo l’idea che il modo migliore di organizzare la produzione sia quello che mette al centro i mercati, dobbiamo interrogarci sulle tante forme che assume l’economia di mercato, con regole e metodi diversi per bilanciare il ruolo dei mercati privati e del potere pubblico. Il capitalismo americano, quello scandinavo e quello giapponese sono ognuno diverso e impiegano strumenti diversi per bilanciare il ruolo dello Stato e del settore privato.
Perfino all’interno dell’Europa c’è un assortimento di economie di mercato. Alcuni di questi paesi e regioni se la sono cavata meglio di altri e hanno dimostrato una tenuta maggiore dopo la crisi del 2008. Questi successi sono dovuti, almeno in parte, al fatto che quei paesi hanno scelto forme diverse di capitalismo, con istituzioni, regole e regolamentazioni differenti.
Ovviamente, quello che funziona bene per un paese, con la sua storia, la sua cultura e le sue norme specifiche, può non funzionare altrettanto bene per altri. Inoltre, non sempre è possibile trapiantare agevolmente istituzioni e meccanismi da un paese all’altro: una singola soluzione spesso è legata a una singola cultura. Tuttavia, è possibile ricercare dei principi generali. Possiamo provare a individuare quali meccanismi istituzionali contribuiscono meglio alla crescita, all’uguaglianza e alla stabilità a tutti i livelli. Quei paesi che disegnano il loro manuale di regole in ottemperanza a principi generali e intuizioni ricavabili dall’analisi hanno maggiori probabilità di avere successo.
I fautori del mercato dicono spesso: «Lasciate fare al mercato». Ma affermazioni così semplicistiche occultano la domanda essenziale: a che genere di mercato dovremmo lasciar fare? Come abbiamo sottolineato, e non ci stancheremo di ripetere, i mercati non esistono in forma pura, avulsi dal contesto: devono essere strutturati. Paesi diversi hanno mercati strutturati in modo diverso, con regole e normative specifiche, che si traducono in una varietà di risultati. Le scelte politiche, per esempio le decisioni su come sono strutturati i mercati, influiscono fortemente su queste differenze di risultati, e questo offre indicazioni su cosa fare per imboccare una strada migliore.
L’Europa deve attingere alle esperienze che hanno funzionato bene, ma anche a quelle che non hanno funzionato. E nel valutare quello che ha funzionato bene, deve tener conto non soltanto degli impatti sul Pil, ma anche di parametri più ampi di rendimento sociale.2 Le domande che dovrebbero essere poste, fra le altre, sono: che sta succedendo al tenore di vita dei normali cittadini? Che sta succedendo alla salute e all’istruzione dei normali cittadini? La crescita è sostenibile dal punto di vista sociale, ambientale o economico? Le risposte aiuteranno l’Europa a disegnare un modello economico che sia al tempo stesso sostenibile ed equo.
Alcune aree dell’Europa hanno saputo promuovere ottimamente il benessere dei loro cittadini. Tenendo conto della disuguaglianza, dodici dei primi venti paesi nella classifica dell’indice dello sviluppo umano delle Nazioni Unite (una misura ampia del benessere, che include il reddito, l’istruzione e la salute) sono in Europa;3 per fare un confronto, gli Stati Uniti occupano la ventiseiesima posizione.
Ma perfino qui, l’incapacità di far funzionare i mercati come dovrebbero – mercati competitivi dove gli interessi privati di decisori chiave come gli amministratori delegati sono allineati agli interessi della società – ha portato a un’Europa meno produttiva e meno equa. Ci sono politiche che possono aiutare il settore privato europeo a funzionare meglio, non solo per se stesso nel lungo periodo, ma per tutta la società. I capitoli della seconda parte di questo libro descrivono alcuni dei metodi fondamentali per fare questa cosa.
Le manifestazioni peggiori di mercati disfunzionali sono quelle in cui alcune entità fanno soldi approfittandosi di altre, sfruttando il loro potere di mercato o le asimmetrie informative. Qualsiasi nuovo manuale di regole che non affronti questi casi di fallimento del mercato sarà incompleto, e il settore che più di tutti ha mancato di funzionare come avrebbe dovuto è il settore finanziario. Il capitolo 5 è interamente dedicato a esso.
L’efficienza di tutti i settori (finanza inclusa) e la loro capacità di servire la società dipende dalla presenza di una solida concorrenza. Le aziende che dispongono di potere di mercato usano tale potere per sfruttare gli altri, alzando i prezzi per raccogliere più profitti per sé. Il potere di mercato, quindi, è negativo per la performance economica complessiva, ma è anche riconosciuto come una delle maggiori fonti di disuguaglianza. In linea con questa considerazione, cominceremo la discussione, in questo capitolo, parlando di quello che si può fare per garantire che i mercati in Europa siano più competitivi.
Seguiteremo parlando di cosa fare per assicurare che le aziende, che sono l’unità produttiva di base delle nostre economie, servano meglio la società. Le aziende, oggi, sono molto diverse dai modelli semplicistici dei manuali di economia, in cui un imprenditore possiede un’azienda e prende decisioni finalizzate a massimizzare i profitti nel lungo periodo. Le aziende grandi e potenti oggi hanno moltissimi azionisti e la proprietà e il controllo sono separati. Il controllo è nelle mani di un amministratore delegato e di un gruppo ristretto di manager. Fare in modo che questo gruppo ristretto agisca con modalità tali da massimizzare il benessere della società, o anche la ricchezza degli azionisti, è il problema centrale del governo d’impresa, le regole e i regolamenti che attengono al modo in cui sono dirette le aziende. Il governo d’impresa, o corporate governance, tratta di quali devono essere gli obiettivi dell’impresa e quali voci devono trovare ascolto durante i processi decisionali. Queste considerazioni, a loro volta, influenzano le strutture di incentivi con cui si confrontano i manager.
Il capitolo 5 illustra gli effetti che ha avuto questa specifica questione nel caso del settore finanziario. La crisi del 2008 ha messo a nudo le perverse strutture di incentivi della finanza che si sono dimostrati funzionali agli interessi dei banchieri ma non a quelli degli azionisti, degli obbligazionisti o dei clienti delle banche, e tantomeno a quelli più generali della società. La miopia, l’assunzione di rischi eccessivi e lo sfruttamento dei clienti delle banche (sia quelli che vi depositano i loro risparmi sia quelli che prendono soldi in prestito dalla banca sia quelli che si rivolgono al settore finanziario per gestire i loro investimenti), hanno caratterizzato le attività del settore finanziario prima della crisi, e spesso e volentieri continua a essere così.
Infine, la proprietà intellettuale è un asset centrale delle aziende europee, ora che l’Europa è in transizione da un’economia fondata sul settore manifatturiero a un’economia basata sull’innovazione. Anche in questo caso, le regole correnti sono servite più a favorire gli interessi ristretti delle grandi imprese che a incoraggiare l’innovazione. Nella terza parte di questo capitolo, richiameremo l’attenzione su quello che deve fare l’Europa per creare un’economia più innovativa, dove i frutti siano largamente condivisi.
Mercati competitivi
Un vecchio detto, nell’Europa del dopoguerra, sosteneva che «quello che succede negli Stati Uniti succede in Europa, solo più tardi». Se c’è anche solo un granello di verità in questo concetto, allora la politica della concorrenza è un’area in cui l’Europa può e deve dare soluzione a un problema che minaccia le economie occidentali: la concentrazione del potere di mercato nelle mani di un numero troppo ristretto di grandi aziende. Fortunatamente, ci sono segnali promettenti, che sembrano ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Sommario
  3. Ringraziamenti
  4. Presentazione
  5. Prefazione
  6. Introduzione
  7. Parte prima. Piena occupazione, crescita e stabilità economica
  8. Parte seconda. I mercati al servizio dell'equità e dell'efficienza
  9. Parte terza. Contro la disuguaglianza: un modello sociale europeo per il Ventunesimo secolo
  10. Parte quarta. Gestire la globalizzazione nell'interesse dell'Europa e del mondo