1
«Ripeti quello che hai detto, perché ti ho sentito».
«Non ho detto niente».
«Ti ho detto di ripeterlo».
«Non lo so cosa ho detto!»
«Hai detto cazzo, quella parola orribile e volgare. Credi di cavartela mentendo?»
«Non volevo, mi è scappata».
«Ti è scappata la sporcizia che hai in testa, te lo dico io! Ma questa volta ti darò una bella lezione. Uno si aspetta che ci sia ancora un po’ di rispetto, in questa casa, per la tua povera madre, e invece tu fai il finto tonto, ti nascondi dietro a un dito. Ma adesso vedrai che bella lezione».
Dal chiodo al quale era appesa, accanto all’armadio della biancheria, Mahoney afferrò la pesante cinghia sulla quale affilava il rasoio.
«Vieni di sopra, forza. Ti darò una bella lezione. Ti darò una bella lezione», disse, digrignando per tenere a freno il furore, con il sangue che gli accendeva la faccia. «Sarà una lezione che questa casa non scorderà per un pezzo».
«Non volevo, papà. Non volevo! Mi è scappato».
«Forza, di sopra. È un ordine. Di sopra».
Lo afferrò per la spalla e lo spinse fuori dalla stanza, nel vestibolo, verso le scale.
«March, march, march! Veloce. No, non lì», disse prima che il figlio entrasse nella camera in cui dormivano insieme. «Non lì. In quella delle ragazze. Ci servono testimoni. Sarà una lezione che questa casa non scorderà per un pezzo».
I letti delle ragazze erano rivolti verso la porta e separati da un comodino, sopra il quale era appesa un’immagine dell’Ascensione. Accanto al camino spento c’erano un armadio di compensato e una poltrona di pelle nera. Al loro ingresso, Mona venne fuori dal letto, impaurita.
«Sto per dare una bella lezione a questo signorino. Tua sorella ne sarà testimone. Sbrigati, via i vestiti. Ti darò una bella lezione. Veloce. Spogliati. Via i vestiti».
Lento, stordito dalla paura, il ragazzo si sfilò la giacca piangendo.
«Non volevo, papà. Mi è sfuggita».
«Via la maglia. Veloce. Non abbiamo tutto il giorno», disse con un filo di bava sulle labbra e lo sguardo perso in un punto oltre le mura della stanza. La cinghia schioccò nella direzione dei pantaloni come la coda di un animale.
«Giù i pantaloni. Giù i pantaloni».
«No, no!»
«Giù quei pantaloni, ho detto».
Si avvicinò appena, ma non mosse un dito, come se provasse piacere a imporgli di spogliarsi soltanto con la volontà e non coi gesti.
«Giù i pantaloni», ripeté ancora, e alla fine, accompagnati da lacrime di terrore, i pantaloni scivolarono giù fino alle caviglie e poi sul pavimento.
«Via la camicia», ordinò calmo, a denti stretti, e quando il ragazzo rimase completamente nudo gli indicò la poltrona con un gesto della cinghia. «Lì, forza. A pancia in giù. Il tuo culo ci metterà un pezzo a scordarsela, questa lezione».
«No, papà. Non volevo», piagnucolò il ragazzo per l’ultima volta, prima di stendersi sulla poltrona e restare in attesa come una bestia ferita. In quell’istante, dentro di lui qualcosa si spezzò. Perse il controllo e si pisciò addosso. Non avrebbe mai potuto immaginare un orrore del genere, ritrovarsi nudo e in attesa che una cinghia gli sferzasse la carne, l’idea che succedesse era insopportabile ma l’attesa era persino peggiore.
«Adesso ti darò una di quelle lezioni», ripeté Mahoney, e quando fece esplodere un colpo di cinghia sul bracciolo, poco sopra l’orecchio del ragazzo, quello urlò, rigido e madido di sudore, senza nemmeno riuscire a capire se la cinghiata lo avesse preso.
«No, no, no», gridò tentando di alzarsi.
«Fermo. Fermo. Se ti muovi ti faccio saltare il culo. Questo è solo un assaggio di quello che ti toccherà, una dimostrazione. Smettila di strillare», disse, e la paura costrinse il ragazzo a rimettersi prono, senza potersi muovere, mentre i primi brividi iniziavano a scuoterlo, l’angoscia si faceva insopportabile e lui si chiedeva se stavolta il cuoio gli avrebbe lacerato la carne. Che cosa orrenda da immaginare, peggio della morte.
E la seconda volta fu come la prima, un colpo di fucile sul bracciolo, la stessa lotta isterica e neppure stavolta era stato colpito. Era incredibile.
«Fermati e smettila di strillare», disse Mahoney, e quando fu abbastanza fermo, nonostante i brividi e le lacrime, la cinghia scattò per la terza volta, e nel momento in cui il cuoio esplose di nuovo sul bracciolo il ragazzo non capì più niente, né cosa stesse facendo né dove fosse la stanza.
«Smettila di sbraitare e alzati. Veloce. Silenzio. La prossima volta le prendi sulla pelle nuda, per ora ti basti questo assaggio. Rivestiti. Considerati fortunato. In piedi. In piedi».
Rendersi conto che era tutto finito richiese uno sforzo immenso, così come rimettersi in piedi, gli sembrò di doversi strappare dalla poltrona. Restò nudo in mezzo alla stanza. Il pianto e i brividi continuarono, ma meno violenti. Non sentiva altro che i gemiti di terrore di Mona, ancora a letto, quando Mahoney urlò: «E tu, zitta o le prendi anche tu. Zitta! Che sia una lezione anche per te. Non so più se hai davvero la febbre, in questi ultimi giorni, o se mi stai prendendo in giro. Tu, invece: prendi i vestiti e fila di sotto», disse rivolto al giovane nudo, e poi uscì dalla stanza, con la faccia ancora rossa e accaldata e la cinghia che gli penzolava dalla mano come una cosa morta.
Dopo che Mahoney fu andato via, il ragazzo raccolse i vestiti uno a uno, con le mani impacciate e tremanti, e lo sforzo fu enorme. La cosa peggiore era il flusso di pensieri annebbiati che non gli permetteva di comprendere cosa fosse successo, quel gorgo d’orrore in cui era sprofondato toglieva importanza a tutto il resto. Sua madre se ne era andata anni prima abbandonandolo a quella realtà. Un giorno di sole, poco prima che morisse, le aveva raccolto delle fragole selvatiche dai cespugli vicino ai binari.
«Ma non ti ha colpito affatto?», gli chiese Mona, che non si era mossa dal letto.
«No».
Aver parlato gli scatenò dentro una tale tempesta che dovette correre fuori dalla stanza con l’ultimo vestito raccolto e poi fuori casa, dalla porta principale, per barricarsi nel vecchio gabinetto col catenaccio e il vento che fischiava attraverso l’unico sfiatatoio. Era lì che si rifugiavano in momenti come quello, per restarsene seduti a piangere nella confortante oscurità satura di creosoto. Era lì che riguadagnavano a stento, odiando se stessi e commiserandosi, qualcosa che somigliasse alla calma.
2
Capitava che li picchiasse, spesso senza motivo, se li sorprendeva a ridere quando era di cattivo umore; ma loro avevano imparato a vendicarsi negandogli l’accesso alle loro vite e lasciandolo da solo con se stesso.
«In questa casa nessuno mi dice mai niente. Manco avessi la lebbra. Ma chi è che vi sta tirando su, e senza aiuto, e chi è che porta a casa la pagnotta, qui dentro?», si lamentava.
Lo ascoltavano in silenzio, le facce cupe: poi si guardavano l’un l’altro scambiandosi sorrisi crudeli. Non poteva averla sempre vinta: si era escluso da solo, e solo sarebbe rimasto. Né la brutalità né i mugugni gli avrebbero restituito l’accesso al loro mondo; tuttavia, quando cambiava atteggiamento e proponeva qualcosa – di andare al circo Duffy o di passare una giornata al fiume – escluderlo non era per niente semplice.
«Domani sarebbe bello andare a pesca tutto il giorno».
E loro non dicevano nulla, e si lanciavano occhiate, perché non si fidavano di lui.
«Perché non rispondete? Si potrebbe andare dopo la prima messa. Portiamo i panini e restiamo fino a sera».
«Sarebbe bello», dissero, ma non erano sicuri, non si fidavano abbastanza.
«A Knockvicar dovremmo riuscire a recuperare qualche bottiglia di limonata per accompagnare i panini. Magari tiriamo su qualche luccio».
E così all’improvviso la fiducia tornava, perché volevano uscire, perché era loro padre, perché stavolta sarebbe stato diverso e sarebbero stati felici. Ridevano. Perché il giorno dopo sarebbero andati a Knockvicar con la barca.
E così fu. La vecchia barca era tenuta insieme da catrame, pece e sabbia, ed era ormeggiata sul fiume, sotto un salice, con il fondo e le costole coperti da foglie morte e squame di pesce. Presero posto. Mahoney tolse gli ormeggi, la spinse nella corrente con un ginocchio poggiato sul bordo e, quando la barca si mosse, si tirò a fatica sul sedile del rematore. Mentre spingeva, i ragazzi avevano già preso i cucchiaini.
«Attenti. Tendete bene le lenze. Mi pare di sentire un luccio di dieci chili che arriva in motocicletta da Moran’s Bay», scherzò, e loro risero, mentre le dita strette sulle lenze tremavano per la vibrazione dei cucchiaini. Poi si levò un grido:
«Ne ho preso uno, papà. Sta tirando. Veloce».
«Non mollare la lenza! Tienilo», gridò Mahoney, mettendosi a remare come un pazzo. Poi lasciò i remi per prendere la canna da pesca, e urlò: «Cercate di tenere la barca in movimento». Ma quando i ragazzi lo rimpiazzarono, troppo emozionati per metterci forza sufficiente, dovette incitarli: «Cercate di far andare la barca».
Lo osservarono mentre tirava a sé il pesce che combatteva, tenendo la canna con entrambe le mani, una sull’altra.
«È bello grosso. Cerca di scappare sul fondo».
Il pesce scivolava verso la barca, sempre più in superficie, la bocca aperta, i denti bianchi e feroci in vista e il cucchiaino infitto nel palato. Avrebbe ingaggiato l’ultima battaglia sul fianco della barca e se gli ami non fossero stati ben saldi nella carne si sarebbe potuto liberare. E con lui, in un tintinnio metallico, sarebbero svanite anche le loro speranze. Ma Mahoney si sporse oltre il bordo, lo afferrò per le branchie e lo issò subito in barca.
«Saranno due chili. Niente male come inizio».
Osservarono il luccio disteso sul fondo, gongolanti. Aveva il dorso a strisce gialle luccicanti, la pancia bianca e rigonfia e una chiostra di denti maligni che azzannava l’aria, mentre il sangue gli colava dalle branchie.
Quando la barca ripartì e tutti i cucchiaini recuperati dal fondo oscillarono a mezz’aria, sul fiume si udì distintamente la campana della seconda messa.
«Sono solo le undici e abbiamo già un bel luccio», disse Mahoney, remando. Poco dopo il rumore delle automobili e delle voci che attraversavano il ponte ancora lontano si confuse con lo sciabordio ritmato dei remi. L’ultimo rintocco arrivò quando attorno alla chiesa s’era fatto un silenzio assoluto.
«La messa comincia adesso. Se non ci si alza di buon’ora per la prima messa la giornata è bella che andata, buttata via».
«E abbiamo preso un luccio, papà».
«Oh sì, e ci resta ancora un sacco di tempo da passare sul fiume».
«Ne ho preso uno», si alzò un grido. Un altro pesce all’amo, un’altra battaglia. Intanto la barca si avvicinava al tratto in cui il fiume si restringeva, sotto le fronde degli alberi di Oakport che pendevano sull’acqua calma, dove...