Rocco e i suoi fratelli. Storia di un capolavoro
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Rocco e i suoi fratelli. Storia di un capolavoro

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Rocco e i suoi fratelli. Storia di un capolavoro

Informazioni su questo libro

Rocco e i suoi fratelli è una delle opere più note e acclamate di Luchino Visconti. Con i giovani Alain Delon e Annie Girardot in una delle loro interpretazioni più memorabili, il film racconta di una madre e dei suoi cinque figli che lasciano la campagna affamata del Sud per emigrare nella Milano in pieno sviluppo industriale. Mentre alcuni di loro si adatteranno gradualmente alla nuova vita, altri ne verranno tragicamente schiacciati. Ritratto appassionato della società italiana del secondo dopoguerra e insieme potente dramma psicologico, il film fu al centro di molte controversie, ma dopo una lunga battaglia con la censura diventò un successo internazionale. Il nucleo di questo libro è il diario delle riprese tenuto dal critico e sceneggiatore Gaetano Carancini. Ricco di interviste al regista, agli attori e alla troupe, il suo reportage offre una preziosa analisi della tecnica di regia di Visconti e un dettagliato e affascinante «dietro le quinte» del film. Completano il volume un saggio dello stesso Visconti sulle sue fonti di ispirazione letteraria e politica, una preziosa testimonianza del produttore del film, una recensione di Alberto Moravia e un ricco inserto fotografico.

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CRONACA DEL FILM
di Gaetano Carancini

Si fa (9 febbraio)
Telefono a Lombardo per sapere cosa ci sia di vero in certi «si dice», secondo i quali Rocco e i suoi fratelli non si farà più. Goffredo mi risponde che tutto è pronto per cominciare: la sceneggiatura definitiva, il cast, la troupe. Occorre perfezionare solamente la pratica ministeriale. «Quando si comincia, allora?» «Tra pochi giorni: ritelefonami lunedì 15 e potrò essere preciso». Alle undici del lunedì riesco a superare l’insidioso sbarramento del centralino della Titanus, di alcune voci femminili della segreteria particolare che ripetono l’una dopo l’altra: «Attenda! Vedo se c’è», e finalmente arrivo a Lombardo: «Allora?» «Tutto a posto: la troupe è in partenza e si comincia a Milano il 22 mattina». Così prende il via quello che potrebbe anche essere chiamato «Il secondo capitolo della Terra trema».
Il primo giorno (22 febbraio)
A Milano trovo la numerosissima troupe: il capintesta è naturalmente Luchino Visconti, con i due aiuti: Rinaldo Ricci, un vecchio amico che conosco da quando, prima della guerra, faceva il correttore di bozze al Giornale d’Italia e che ho spesso reincontrato negli studi cinematografici (ricordo che è stato più volte accanto a Citto Maselli e che ha partecipato alla lavorazione di Bellissima e di Le notti bianche di Visconti e a quella dei Magliari di Rosi) e Jerry Macc, un giovane polacco garbatissimo («dal cappello inverosimilmente piccolo», hanno scritto, e dalla voce tonante); poi c’è Lucio Orlandini che è un po’ il trait d’union tra la regia e la produzione e il silenzioso, preciso Albino Cocco che, come segretario di edizione, tiene il diario del film.
Dall’altro lato la produzione: il dottor Bordogni, che ha fatto almeno venti film, e la romanissima Anna Davini, con tutti i loro uomini. Infine Peppino Rotunno, il direttore della fotografia a cui si debbono le riprese di Le notti bianche, Policarpo, La grande guerra, Jovanka e le altre, L’ultima spiaggia (per la prima volta un operatore italiano fu chiamato a Hollywood, per il film con la Gardner) e La sposa bella. Attorno a lui i vari operatori di macchina (e le macchine sono tre), Nino Cristiani, Silvano Ippoliti e Franco Delli Colli. Infine i fonici, lo scenografo arredatore Mario Garbuglia, il costumista Piero Tosi, la sua assistente Bice Brichetto e i suoi aiutanti, il truccatore, Giuseppe Banchelli, il parrucchiere Vasco e un nutrito gruppo di elettricisti, macchinisti, attrezzisti, gruppisti, per un totale di oltre cento unità. Insomma la popolazione di un piccolo villaggio che, alle 7.30 precise, è pronta per il primo giro di manovella. Ma alle 7.30 piove e, poiché non è possibile lavorare in esterno, come il piano prevedeva, si decide di cambiare programma. Ed ecco, copiata dal diario di Albino Cocco, la cronaca di tutto il 22 febbraio[1]:
Ore 8: Gli aiuti registi si mettono in giro per cercare le figurazioni necessarie all’interno della palestra «La Lombarda»; 8.15: I truccatori attendono in albergo l’arrivo del signor Salvatori e del signor Delon per eseguire prove di trucco. Il signor Garbuglia è alla palestra a preparare l’ambiente; 11.30: Gli assistenti del signor Visconti si recano da lui per avere le ultime novità; 12: Riunione di produzione dal signor Visconti. Il truccatore schiarisce i capelli al signor Salvatori e al signor Focas; 13.30: Il signor Visconti con i capi della produzione a colazione; 14.30: Il signor Visconti sul luogo di lavorazione, la palestra «La Lombarda». Impostazione di inquadratura; 14.40: Viene piazzato il carrello. L’operatore inizia l’illuminazione dell’ambiente; 14.45: Il signor Visconti prova i movimenti di macchina; 14.55: Prosegue il piazzamento delle luci; 15.30: Il signor Focas è sul posto di lavorazione vestito e truccato; 16.20: Vengono messe in scena le figurazioni e il signor Visconti prova la scena; 17.30: Il signor Visconti prova la scena; 18: Con una bottiglia di champagne viene «varata» la prima inquadratura del film; 18.10: Salta una lampada: l’operatore provvede; 18.25: Si gira la scena1 n. 8/1. Buone la 1, la 2 e la 5. Durata scena 41”; 18.35: Spostamento macchina: posizione macchina; 18.40: L’operatore prepara le luci; 19.40: Si prova la scena; 19.45: Definizione delle luci; 19.55: Si gira la scena n. 8/2. Buone la 5 e la 7. Durata della scena 16”; 20: Fine lavorazione.
Così Rocco e i suoi fratelli ha avuto inizio a Milano: con la pioggia, un mutamento di programma, dodici ore filate di lavoro, e una coppa di champagne bevuta dalla troupe dieci minuti prima che saltasse una lampada.
Il cinema e i milanesi
I milanesi si sono accorti che Luchino Visconti sta girando un film a Milano solo la sera in cui, all’uscita del Vigorelli, attori e comparse, per esigenze di copione, se le son date di santa ragione. Quello è stato il primo contatto tra gli ambrosiani e la troupe, perché si girava in esterno: e niente come il veder grossi riflettori piazzati un po’ dappertutto, le macchine da presa sistemate secondo le angolazioni scelte da Visconti, i volti noti di attori popolari come Renato Salvatori o Claudia Cardinale, figuranti maschi e femmine ubbidienti agli ordini che partono dai megafoni e le strade, le piazze della città diventare prospettive sceniche, riesce ad avvicinare gli abitanti di una città al lavoro cinematografico. E come accade dovunque, anche a Milano gli ambrosiani si sono avvicinati alla troupe di Rocco e i suoi fratelli; ma con una sorta di preoccupata curiosità, con un pizzico di divertita diffidenza. I milanesi, si sa, son gente concreta, abituati a ragionare a base di cifre, di centinaia di «pezzi» all’ora che passano, secondo un ritmo prestabilito, lungo una catena di montaggio di una fabbrica; menano vanto delle loro industrie e adorano la tradizione della Scala. Per loro il cinema è solo «un divertimento» e, di conseguenza, immaginano che, tutto sommato, anche coloro chelo fanno si divertano. Inoltre certi servizi più o meno scandalistici dei rotocalchi su questa o quella diva, la descrizione delle sontuose ville sull’Appia Antica dove vivono, tra il bar fornitissimo e le piscine dalle acque azzurrine, un pizzico di quella sciocca polemica anti-Roma che ogni tanto affiora nei rapporti tra meneghini e quiriti (e si sa, finora, salvo rare eccezioni, il cinema italiano è sempre partito da Roma che è la sua capitale) determinano nel milanese medio la convinzione che «le faccende della pellicula» sono tutte «stüpidate». Altri, poi, temono, benché pronti a giurare che Visconti come milanese e come artista abbia le carte in regola, che, a questa prima troupe esemplare, seguano altre meno qualificate e tali da fornire agli spettatori di tutta Italia un’idea sbagliata della città e dei suoi abitanti.
Tuttavia i milanesi si interessano alle riprese di Rocco, anche se talvolta non si rendono perfettamente conto dei molti «perché» cinematografici: principalmente della ragione – che è tecnica e artistica insieme – per cui i «cinematografari» di Roma comincino ad agitarsi alle otto per poi girare una scena solo a mezzogiorno e mezzo, dopo, cioè, duecentosettanta minuti spesi per il piazzamento delle luci, nella ricerca dell’inquadratura, nelle lunghe prove prima del ciak (eppure il risparmio di pellicola è un argomento che essi, sagaci amministratori, dovrebbero capire: più si prova, maggiori sono le probabilità che la scena venga bene e che si risparmi pellicola e luce e tempo, quindi denaro); spesi, insomma, in tutto quel, talvolta, snervante lavoro che a molti non vuole entrare in testa che sia fatica, quel lavoro che, anche se al profano sembra inutile e magari estemporaneo, rientra, invece, in un rigido preventivo studiato in ogni dettaglio per abbassare i costi di produzione e non perdere neppure una giornata. Ma, pian piano, anche i milanesi si accorgeranno che il cinema è una cosa seria, che costa intelligenza, sudore e danari.
Comunque, nonostante questo curioso stato d’animo (che si rivela in qualche risatina venata di ironia, o nella battuta di uno «spettatore», seccato dal prolungarsi dei preparativi, che esplode: «Ehi, Culombo, quando la scopri l’America?»), ho notato che i milanesi sono garbati e, quando vogliono assistere a qualche ripresa, educatamente rimangono dietro le transenne o le corde tese a notevole distanza dal luogo dell’azione: e in perfetto silenzio. Il che è molto diverso, poniamo, da quel che accade a Roma, nonostante, ormai, i romani siano abituati da anni a vedere troupe cinematografiche al lavoro: a Roma, infatti, non bastano corde e transenne per trattenere gli occasionali spettatori, specialmente se sono di scena attori molto popolari. Sicché non è difficile prevedere che, col passare dei giorni, anche tra Milano e il cinema l’intesa sarà perfetta: basterà soltanto, per raggiungere questa intesa, che cadano le prevenzioni del «divertimento» e della «stupidata». Il che, con il contatto quasi quotidiano della troupe con la gente della strada, non sarà troppo difficile.
Ricerca della verità
Luchino Visconti, sulla necessità dell’ordine e del silenzio durante il lavoro, anche quello preparatorio, ha testualmente dichiarato a Grazia Livi dell’Europeo: «Forse è una mia inferiorità, lo riconosco, io non posso lavorare nel caos, non posso sopportare nessuna forma di disordine. Un film è già un fatto così sbriciolato di per se stesso; occorre sempre una tale concentrazione, un tale sforzo per ricordarsi la fine della scena precedente e il principio di quella che seguirà!» E ho personalmente constatato sul set – fosse esso costituito da un interno o la scena si svolgesse sulla pubblica via, su una piazza o un parco – che questa giustificatissima esigenza di Visconti viene rispettata da tutti: dal direttore della fotografia agli aiuti registi, dal segretario di edizione fino all’ultimo figurante. Sicché, per scambiare due parole con Peppino Rotunno sono costretto ad attendere la pausa. E a tavola, in una trattoriola della periferia milanese dove oggi si gira una complessa scena, riesco a imbastire un colloquio disteso, a voce normale e che non debba essere sussurrato quasi come una preghiera.
«Con Visconti sono molto affiatato: con lui», mi dice Rotunno, «è la quarta volta che giro: fui operatore di macchina per l’episodio con la Magnani di Noi donne e per Senso, poi direttore della fotografia delle Notti bianche e ora di Rocco. E ancora una volta mi sono messo al servizio di un film di Visconti con sincero entusiasmo. Dico “al servizio” perché sono profondamente convinto che la fotografia debba ubbidire alle esigenze dell’opera e non servirsi di questa come pretesto per brillare di luce propria, frantumando così l’equilibrio del tutto. Per fotografare un film non esistono e non possono esistere regole fisse: ogni volta è necessario inventare un tipo di fotografia intonata, adatta alla storia da raccontare. Per Le notti bianche, ad esempio, insieme con il regista, studiai una serie di accorgimenti (mascherino, scelta della pellicola più adatta, filtri, ecc.) che consentissero quei particolari rapporti necessari per ottenere una continua altalena tra il “reale” e l’“irreale”: tra, cioè, le scene apparentemente più concrete, che dovevano avere il massimo della corposità, e quelle dei “ricordi” di Natalia, che dovevano apparire abbellite e lucenti, quasi illuminate di luce propria, dal didentro, come anche nella vita ci appaiono i nostri ricordi.
«Per Rocco, invece, trattandosi di una storia realistica, la fotografia sarà una continua ricerca della verità, anche se a volte interpretata a seconda del momento e dell’ambiente: quindi bianchi e neri in tutta la loro gamma, con una tendenza ai contrasti forti. Cercherò di essere più chiaro: pur essendo la fotografia basata sul contrasto deciso, essa non sarà uniforme. Infatti tenteremo, fermo restando il tono di ricerca di verità dell’insieme, di sottolineare i vari ambienti, i vari mondi di cui ciascun personaggio fa parte, anche con la fotografia. Se il paragone non è ardito, direi che tenteremo di utilizzare le possibilità degli obiettivi e dei rapporti di luce, come fa il musicista che, una volta identificato un tema, pur tenendolo sempre presente, anche nei sottofondi, riempie i vari momenti con variazioni. Ecco, così, presso a poco così: cercando anche, pur trattandosi di bianco e nero e non avendo a disposizione, poniamo, la tavolozza dell’Eastman o del Ferraniacolor, di far sentire, attraverso l’uso appropriato dei filtri, i colori allo spettatore. E per questo “far sentire i colori” ho scelto una pellicola particolarmente adatta, nelle sue varie gradazioni. Spero, così, con questi accorgimenti e altri che si riveleranno necessari durante la lavorazione, di sottolineare come si conviene gli elementi drammatici e narrativi del racconto. E fin dall’inizio la fotografia è subito forte, drammatica, come un presentimento di quello che succederà poi.
«Usiamo quasi sempre tre macchine da presa, ma non per avere più “campi” tra cui scegliere in sede di montaggio, bensì in funzione narrativa, anticipando in certo qual modo il racconto definitivo. Mi spiego con un esempio: c’è da raccontare un certo incontro tra due personaggi, che si svolge, poniamo, in un bar; dopo questo incontro i due escono e se ne vanno a compiere una qualche altra azione. Ebbene noi piazziamo una macchina sul carrello fuori del bar: una seconda innanzi alla porta del locale, e una terza puntata sul marciapiede su cui i due personaggi se ne andranno. La prima servirà, muovendosi esternamente, a descrivere, attraverso le vetrine, l’ambiente del bar e i suoi clienti; la seconda, che entrerà in azione quando la prima avrà compiuto l’intera carrellata, descriverà l’incontro dei due personaggi che, dopo il loro colloquio, apriranno la porta e usciranno all’aperto; a questo punto si girerà con la terza, che riprenderà l’allontanarsi dei due personaggi lungo il marciapiede. Così la regia otterrà, già in partenza, un blocco unitario, quasi montato. È un procedimento, richiesto da Visconti, che presenta per il direttore della fotografia, particolarmente per il piazzamento delle luci, mille difficoltà e richiede molto lavoro soprattutto quando le tre macchine da presa sono puntate su una stessa azione; ma, una volta risolti i problemi che il sistema comporta, quello che può sembrare un allungamento dei tempi di preparazione risulta, a film finito, un vantaggio notevole: in tal modo il montatore ha il compito facilitato, e si ottengono maggiore omogeneità nella fotografia e maggiore compattezza nella recitazione degli attori».
Siamo ormai alla frutta: la pausa sta per finire: e Peppino Rotunno torna alle sue Mitchell per preparare una nuova inquadratura.
La laringite di Visconti (12 marzo)
La lavorazione è sospesa: per un paio di giorni, perché Visconti soffre di una improvvisa laringite acuta, che lo ha reso completamente afono. Milano ripaga piuttosto male l’amore che ha spinto un milanese, il quale a Roma «si sente ancora di passaggio», a girare un film quassù: ma evidentemente Visconti mal sopporta il clima, ancora umido e invernale, della città in cui è nato.
E sono stati il freddo e la nebbia di cui, suo malgrado, s’è imbottito venerdì sera al Bar Giambellino, nella via omonima, che a un certo momento gli hanno impedito di farsi udire, tanto la voce s’era abbassata. Poiché una prima avvisaglia s’era già avuta giorni fa, la produzione, giustamente preoccupata, ha deciso di sospendere per quarantott’ore la lavorazione del film per dar modo a Visconti di curarsi ed evitare che si abbiano ricadute. Quindi per oggi e domani niente riprese: se Visconti sarà completamente ristabilito, si ricomincerà a girare lunedì mattina.
E mentre Luchino è alle prese coi medici e con gli antibiotici, approfitto della sosta per avvicinare gli attori e le attrici...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Colophon
  3. Frontespizio
  4. Introduzionedi Goffredo Fofi
  5. Rocco e i suoi fratelli
  6. Dovevo farlo | di Goffredo Lombardo
  7. Cronaca del film | di Gaetano Carancini
  8. Appendice