Il vento selvaggio che passa
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Il vento selvaggio che passa

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Il vento selvaggio che passa

Informazioni su questo libro

Michael Davenport è un poeta ambizioso, convinto che il proprio talento lo porterà alla fama, e insegue un'idea di arte lontana da ogni compromesso. Nonostante abbia scoperto, appena dopo le nozze, di aver sposato una ricchissima ereditiera, accetta un modesto impiego in una visita di second'ordine in attesa di una svolta nella sua carriera di scrittore.La giovane moglie Lucy non capisce perché Michael si rifiuti con tanta ostinazione di sfruttare un benessere economico che è a portata di mano, ma si adatta al nuovo tenore di vita e anzi resta ammaliata dall'ambiente bohémien fatto di giovani artisti di successo e ragazze affascinanti. Però di una cosa Lucy è certa: tutte le persone che frequenta e che ha intorno sembrano più felici di lei.Penultimo romanzo di Richard Yates, pubblicato negli Stati Uniti nel 1984 e rimasto inedito in Italia fino a oggi, Il vento selvaggio che passa torna, a distanza di più di vent'anni, a esplorare i grandi temi che erano stati al centro di Revolutionary Road: la vita coniugale come trappola in cui si accumulano tensioni, il contrasto tra gli slanci dell'ambizione e la realtà crudele della vita, le aspirazioni e i compromessi. Concentrandosi sul conflitto tra talento e mercato rende omaggio con rara intensità a Francis Scott Fitzgerald: per Yates, l'unico maestro e modello.

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Informazioni

Anno
2020
eBook ISBN
9788833891668
Argomento
Letteratura
Categoria
Classici

1
/

A ventitré anni, Michael Davenport aveva ormai imparato a fidarsi del proprio scetticismo. Leggende o miti di ogni tipo finivano per spazientirlo, perfino quelli che in genere vengono presi per buoni; ciò che voleva, sempre, era capire come stavano veramente le cose.
Era diventato maggiorenne come mitragliere di bordo su un aereo B-17, verso la fine della guerra in Europa, e una delle cose che gli erano piaciute di meno dell’Aeronautica militare era il suo programma di pubbliche relazioni. Tutti credevano che l’Aeronautica fosse la branca più fortunata e felice delle forze armate – i suoi uomini erano nutriti, alloggiati e pagati meglio di chiunque altro, godevano di una maggiore libertà personale, ricevevano indumenti di buona qualità da indossare in maniera «informale». Inoltre era chiaro a tutti che nell’Aeronautica non ci si dava la pena di osservare le minuzie della disciplina militare: le ore di volo, l’audacia e lo spirito di corpo contavano più del cieco rispetto per i gradi; ufficiali e truppa potevano fraternizzare tra loro, se ne avevano voglia, e perfino il saluto regolamentare eseguito da loro diventava una breve parodia ritorta e buttata lì con nonchalance. Correva voce che i soldati delle forze di terra li chiamassero, con invidia, «i ragazzi volanti».
E tutto questo era probabilmente abbastanza innocuo, non valeva la pena di litigarci su; però Michael Davenport avrebbe sempre ricordato che gli anni da lui trascorsi nell’Aeronautica erano stati mortificanti, tediosi e deprimenti, che ogni volta che aveva preso parte ai combattimenti ci era mancato poco che morisse di paura, e che alla fine era stato arcicontento di tirarsi fuori da quella faccenda schifosa.
Tuttavia, qualche bel ricordo se l’era portato a casa. Uno era il fatto di essere arrivato in semifinale nella categoria pesi medi al torneo di boxe nel campo di addestramento di Blanchard Field, in Texas; non erano molti i figli di avvocati di Morristown, in New Jersey, che potevano vantarsi di una cosa simile. Un altro, che a forza di ripensarci aveva finito per assumere proporzioni filosofiche, era una considerazione fatta in un pomeriggio soffocante da un innominato istruttore di tiro a Blanchard Field durante una lezione per altri versi noiosa.
«Cercate di ricordarvelo, uomini. Ciò che distingue un professionista in qualunque campo – e intendo qualunque campo – è che riesce a far sembrare facile quello che è difficile».
E perfino allora, risvegliato in mezzo alle reclute assonnate da quell’idea penetrante, Michael aveva capito già da un po’ in quale campo avrebbe voluto distinguersi in futuro come professionista: autore di poesie e testi teatrali.
Non appena l’esercito lo rimise in libertà andò a Harvard, più che altro perché era l’università alla quale suo padre gli aveva raccomandato di iscriversi, e all’inizio era ben deciso a non farsi imbrogliare neanche dai miti o dalle leggende di Harvard: non si curava nemmeno di prendere atto della bellezza fisica di quel luogo, tanto meno di ammirarla. Era «scuola», una scuola come le altre, e come le altre tenacemente ansiosa di incassare la sua parte della borsa di studio che gli spettava come reduce di guerra.
Ma dopo un paio d’anni Michael cominciò a cedere un poco. Certo, gran parte dei corsi erano stimolanti; gran parte dei libri di testo erano proprio il genere di libri che aveva sempre voluto leggere; gli altri studenti, o almeno alcuni di loro, si stavano rivelando il genere di persone di cui aveva sempre bramato la compagnia. Non si metteva mai nessuno dei suoi vecchi indumenti militari – all’epoca il campus brulicava di giovani che lo facevano, e che erano perlopiù snobbati come «reduci di professione» – ma si tenne i baffi a manubrio modificati che erano stati la sua unica ostentazione sotto le armi, perché servivano ancora a farlo sembrare più vecchio della sua età. E doveva ammettere, di quando in quando, che in effetti non gli dispiaceva vedere come si illuminava lo sguardo delle persone, o come si facevano più attenti, quando venivano a sapere che era stato mitragliere di bordo – né che il suo minimizzare questo fatto sembrava avere l’unico effetto di colpirli ancora di più. Era pronto a credere che Harvard potesse, dopotutto, fornirgli un ambiente adeguato per imparare a far sembrare facile quello che è difficile.
Poi, in un pomeriggio di primavera del suo terzo anno – scomparsa tutta l’amarezza, soffocato tutto il cinismo – si arrese totalmente al mito e alla leggenda dell’incantevole studentessa del college femminile Radcliffe che sarebbe arrivata da un momento all’altro a cambiargli la vita.
«Quante cose che sai», gli disse, prendendogli una mano fra le sue sopra il tavolo di un ristorante. «Non saprei come altro esprimerlo. Tu... sai tantissime cose, e basta».
La studentessa del Radcliffe si chiamava Lucy Blaine. Era stata scelta per il ruolo di protagonista nel primo atto unico passabile scritto da Michael, del quale erano iniziate le prove in un teatrino universitario, e quella era la prima volta che aveva trovato il coraggio di invitarla a uscire.
«Ogni parola», stava dicendo lei, «ogni suono e ogni silenzio di questo dramma è opera di un uomo che ha una profonda comprensione del... insomma, dell’animo umano. Oddio, adesso ti ho messo in imbarazzo».
In effetti era vero: Michael era troppo imbarazzato per guardarla negli occhi, e poté solo sperare che questo non la spingesse a cambiare argomento. Non era la ragazza più carina che avesse mai incontrato, ma era la prima ragazza carina che avesse mai mostrato tanto interesse nei suoi confronti, e lui sapeva che da questa combinazione avrebbe potuto trarre molti vantaggi.
Quando gli sembrò opportuno ricambiare a sua volta con qualche complimento le disse quanto gli era piaciuta la sua interpretazione durante le prove.
«Oh, no», replicò subito lei, e per la prima volta Michael si accorse che si era messa a lacerare con cura il suo tovagliolo di carta in striscioline allineandole sul tavolo in file rigorosamente parallele. «Cioè, grazie, e ovviamente fa piacere sentirselo dire, ma so di non essere una vera attrice. Se lo fossi avrei frequentato qualche scuola di recitazione e mi starei dannando tra spettacoli estivi e tentativi di ottenere qualche audizione e via dicendo. No» – radunò tutte le strisce del tovagliolo nel pugno e lo batté piano sul tavolo per sottolineare le sue parole – «no, è soltanto una cosa che mi piace fare, come le bambine che giocano a travestirsi con gli abiti della mamma. E il fatto è che non avrei mai immaginato... non avrei mai immaginato di trovarmi a lavorare in un dramma come questo».
Michael aveva già scoperto, mentre lasciavano insieme il teatro, che quella ragazza era proprio della statura giusta per lui – la sommità della sua testa gli arrivava al margine della spalla – e sapeva che anche l’età era quella giusta: aveva vent’anni; lui ne avrebbe compiuti ventiquattro fra poco. Adesso, mentre la scortava nella dimessa stanza di Ware Street dove abitava da solo in un «alloggio autorizzato per gli studenti», si chiese se questa esattezza costante, questo schema ripetuto di quasi perfezione, avrebbe potuto reggere. Non ci sarebbe stato un intoppo prima o poi?
«Be’, è più o meno come me l’ero immaginato», disse Lucy quando mise piede in casa sua, mentre lui compiva furtivamente un rapido sopralluogo nella stanza per accertarsi che non fossero visibili calzini o mutande sporche. «Piuttosto severo e semplice, e un buon posto per lavorare. Ah, e poi è così... mascolino».
Lo schema di quasi perfezione reggeva. Quando lei gli voltò le spalle per guardare fuori da una finestra – «E scommetto che di mattina qui è bellissimo e luminoso, vero? Con queste finestre alte? E questi alberi?» – gli parve del tutto naturale avvicinarsi da dietro, circondarla con le braccia e prenderle in mano i seni mentre le affondava la bocca sul lato del collo.
In meno di un minuto erano nudi e folleggiavano sotto le coperte militari del suo letto matrimoniale, e Michael Davenport scoprì di non aver mai trovato prima una ragazza tanto bella e reattiva, di non aver mai nemmeno immaginato quale mondo nuovo, sconfinato e straordinario potesse essere una ragazza.
«Oh, Gesù», mormorò alla fine quando si furono placati, e lui voleva dirle qualcosa di poetico ma non sapeva come. «Oh, Gesù, quanto sei carina, Lucy».
«Be’, sono contenta che tu la pensi così», rispose lei con voce bassa, indefinibile, «perché io ti trovo meraviglioso».
E arrivò la primavera a Cambridge. Nient’altro aveva la minima importanza. Perfino il dramma aveva smesso di contare granché: quando un recensore del Crimson di Harvard lo definì «lacunoso» e descrisse l’interpretazione di Lucy come «incerta» riuscirono entrambi a prenderla con filosofia. Presto ci sarebbero stati altri drammi da mettere in scena; e oltretutto i recensori del Crimson erano degli omuncoli spocchiosi e invidiosi, lo sapevano tutti.
«Non ricordo se te l’ho già chiesto», disse Michael una volta mentre passeggiavano nel parco pubblico Boston Common, «ma che lavoro fa tuo padre?»
«Ah, è una specie di... dirigente. Gestisce affari di vario genere. Non ho mai capito bene cosa fa di preciso».
E questo fu per lui il primo indizio, a parte l’abbigliamento e le maniere elegantemente semplici di Lucy, della possibilità che la sua ragazza venisse da una famiglia molto ricca.
Ulteriori indizi apparvero un paio di mesi dopo, quando lei lo portò a conoscere i suoi genitori nella loro residenza estiva di Martha’s Vineyard. Michael non aveva mai visto niente del genere. Per prima cosa si arrivava con l’auto in un villaggio costiero poco noto che si chiamava Woods Hole, dove ci s’imbarcava su un traghetto sorprendentemente lussuoso che viaggiava sulle onde del mare per diverse miglia; poi, una volta sbarcati sulla lontana isola del «Vineyard», come la chiamavano gli habitué, si percorreva una strada fiancheggiata da alte siepi non potate fino ad arrivare a un vialetto seminascosto che dopo una serie di svolte in mezzo a prati e alberi conduceva in basso sul limitare delle acque placide, e là c’era la casa dei Blaine – lunga e spaziosa in proporzione, con le parti di vetro che quasi uguagliavano quelle in legno, e queste ultime rifinite con listelli marrone scuro che apparivano argentati nella luce screziata del sole.
«Cominciavo a credere che non saremmo mai riusciti a conoscerti, Michael», disse il padre di Lucy dopo avergli stretto la mano. «Non abbiamo sentito parlare d’altro che di te da... be’, sarà stato da aprile o giù di lì, ma sembra che sia passato molto più tempo».
Il signor Blaine e sua moglie erano alti e snelli e aggraziati, con visi intelligenti come quello della figlia. Avevano entrambi quel tipo di pelle tesa e abbronzata che si accompagna a una padronanza disinvolta del nuoto e del tennis, e le loro voci roche lasciavano pensare che apprezzassero molto l’assunzione quotidiana di alcol. Nessuno dei due dimostrava più di quarantacinque anni. Entrambi seduti e sorridenti su un lungo divano rivestito di chintz, nei loro impeccabili abiti estivi, sembravano un’illustrazione fotografica per un articolo da rotocalco intitolato «Esiste un’aristocrazia americana?» o qualcosa del genere.
«Lucy?», stava dicendo la signora Blaine. «Credi che vi sarà possibile fermarvi fino a domenica sera? Oppure questo comporterebbe tenervi lontani dai numerosi impegni romantici che vi aspettano a Cambridge?»
Una domestica di colore entrò a passo leggero con un vassoio di liquori, e la tensione iniziale della loro riunione cominciò a svanire. Mentre si rilassava per assaporare i primi sorsi di un martini ghiacciato e secchissimo, Michael lanciò un’occhiata furtiva e incredula alla ragazza dei suoi sogni e poi lasciò vagare lo sguardo sul profilo dell’alto soffitto, dalla cima di una delle pareti luminose fino al punto in cui s’incontrava ad angolo retto con un’altra, ben più lontana, che si apriva su altre stanze e altre ancora nelle ombre del pomeriggio. Quel luogo suggeriva la tranquillità senza tempo che soltanto un successo durato parecchie generazioni poteva offrire. Questa sì che era classe.
«Ma cosa vorresti dire con classe?», gli chiese il giorno dopo Lucy, con un leggero aggrottarsi esasperato della fronte, mentre passeggiavano da soli lungo la spiaggetta. «Quando usi una parola come questa sembri una specie di proletario stupido, o qualcosa del genere, e dovresti saperlo che io lo so che non sei così».
«Be’, in confronto a voi io sono un proletario».
«Oh, che sciocchezza», esclamò lei. «È la sciocchezza più grossa che ti abbia mai sentito dire».
«D’accordo, però ascolta: secondo te ce ne possiamo andare stasera? Invece di restare fino a domenica sera?»
«Mah, direi di sì, certo. Ma perché?»
«Perché sì». E si fermò per indurla a girarsi verso di lui così da poterle sfiorare con le dita, teneramente, un capezzolo attraverso la stoffa della camicetta. «Perché ci sono numerosi impegni romantici che ci aspettano a Cambridge».
Il principale impegno romantico di Michael, per tutto l’autunno e l’inverno di quell’anno, fu trovare dei modi allettanti per tenere a bada nella sua ragazza il timido ma tenace desiderio di sposarsi.
«Be’, ma certo che lo voglio», le diceva. «Lo sai. Lo voglio quanto lo vuoi tu, se non di più. Penso soltanto che non sarebbe molto intelligente farlo prima che io abbia almeno trovato un lavoro qualunque. Non ti pare ragionevole?»
E lei sembrava d’accordo, ma presto lui imparò che parole come ragionevole contavano poco per Lucy Blaine.
La data delle nozze fu fissata per la settimana successiva alla laurea di Michael. La sua famiglia venne da Morristown e sorrise con garbata perplessità per tutta la cerimonia, e Michael si trovò ammogliato senza aver ben capito come fosse successo. Quando il taxi li portò dalla chiesa al ricevimento, che si teneva in un antico edificio di pietra ai piedi di Beacon Hill, lui e Lucy ne emersero sotto il profilo torreggiante di un poliziotto a cavallo che si portò la mano alla visiera in un saluto militare mentre il suo curatissimo cavallo restava impettito e immobile come una statua accanto al marciapiede.
«Cribbio», disse Michael quando cominciarono a salire un’elegante scalinata. «Secondo te quanto sarà costato noleggiare un poliziotto a cavallo per un ricevimento di nozze?»
«Ah, non lo so», rispose lei spazientita. «Non molto, credo. Cinquanta dollari?»
«Saranno stati ben più di cinquanta, tesoro», replicò lui, «non fosse altro perché bisogna pagare la biada del cavallo». E Lucy si mise a ridere e si strinse al suo braccio per mostrare di aver capito che lui stava solo facendo lo spiritoso.
Una piccola orchestra suonava un medley di canzoni di Cole Porter in una delle tre o quattro grandi sale aperte che ospitavano il ricevimento, e i baristi a testa china correvano di qua e di là, incalzati dagli ordini. Una volta sola Michael individuò i suoi genitori in mezzo alla marea di ospiti e fu contento di vedere che...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Indice
  3. Tre omaggi a Richard Yates
  4. Yates scritto da Yates. Profilo bio-bibliografico
  5. Bibliografia
  6. / Il vento selvaggio che passa
  7. Prima parte
  8. 1 /
  9. 2 /
  10. 3 /
  11. 4 /
  12. 5 /
  13. 6 /
  14. 7 /
  15. Seconda parte
  16. 1 /
  17. 2 /
  18. 3 /
  19. 4 /
  20. 5 /
  21. 6 /
  22. 7 /
  23. Terza parte
  24. 1 /
  25. 2 /
  26. 3 /
  27. 4 /
  28. 5 /
  29. 6 /
  30. 7 /
  31. 8 /