L’età della Restaurazione 1815-1860
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L’età della Restaurazione 1815-1860

Gli Stati italiani dal Congresso di Vienna al crollo

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L’età della Restaurazione 1815-1860

Gli Stati italiani dal Congresso di Vienna al crollo

Informazioni su questo libro

Nel congresso di Vienna, due secoli fa, le grandi potenze ridisegnarono la mappa dell'Europa dopo oltre vent'anni di guerre, e lo fecero con equilibrio e sapienza politica, garantendo al continente un lungo periodo senza conflitti. L'Italia non faceva parte delle grandi potenze, anzi, come Stato, non esisteva proprio, e la pacificazione della penisola fu compiuta dividendola in dieci piccoli Stati sovrani, legittimati a volte dalla tradizione, ma sostanzialmente dalla protezione delle potenze. Quegli Stati – chi più chi meno – vissero quarantacinque anni; e non fu una vita effimera. Ognuno era un sistema complesso di governo del territorio, di disciplina degli interessi economici e dei rapporti sociali, di educazione; e anche di usanze e di culture. Perlopiù si trattava di sistemi deboli, che non ressero l'urto della guerra del 1859- 1860, quando con la forza delle armi, delle passioni ideali e della fortuna gran parte della penisola venne unificata. Tradizioni e istituzioni di piccoli Paesi che non avevano che pochi contatti tra loro vennero tumultuosamente miscelati in un nuovo grande Stato. Il volume presenta un'analisi della società e delle istituzioni di quelle piccole patrie, per svelarne le illusioni, i successi e i misfatti.

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Informazioni

Argomento
Storia
1.
Confini e regimi
1. L’Italia del Congresso
Tra i principî propugnati dal Congresso di Vienna come criteri di restaurazione dell’ordine in Europa – equilibrio tra le potenze e ripristino dei sovrani legittimi -, a dominare rispetto all’Italia fu il primo; le preoccupazioni geopolitiche dell’Impero d’Austria, il principale avversario continentale della Francia napoleonica, si incentrarono infatti sulla penisola come area di confine tra gli Asburgo e i restaurati Borbone di Francia. Il saldo controllo, diretto o indiretto, dell’Italia da parte di Vienna costituiva un irrinunciabile baluardo territoriale per l’occidente asburgico, e uno strumento di rafforzamento del suo controllo sull’Adriatico, in nome di queste esigenze vennero sacrificati anche gli scrupoli legittimisti, che sul più lungo periodo avrebbero forse potuto trovare compensazioni in accorte politiche matrimoniali tra le dinastie.
L’Austria, potenza egemone in Italia, costituì all’interno del proprio impero il Regno Lombardo-Veneto, inglobando la Lombardia (più o meno nella sua configurazione odierna a nord e a ovest, dove il confine era sul Ticino, mentre a sud l’Oltrepò pavese era del Regno di Sardegna), e l’entroterra dell’antica Serenissima Repubblica di Venezia, la cui fine era già stata stabilita dal trattato franco-austriaco di Campoformio del 1797 e che dunque non venne restaurata; nel regno venne incluso anche il territorio ferrarese a nord del Po, che aveva fatto parte del Regno d’Italia ma che prima era dominio pontificio. Nel luglio del 1814 erano entrate direttamente a far parte del territorio imperiale – seppure con forme istituzionali diverse – le altre zone italoglotte che avevano fatto parte dei dominî napoleonici: il Trentino e i territori della Corniola e dell’Istria con Trieste, che furono anche inclusi nella Confederazione germanica, l’artificioso contenitore dei popoli di lingua tedesca, dal Baltico all’Adriatico, che l’imperatore d’Austria formalmente presiedeva ma non governava; in grande percentuale di lingua italiana era anche la Dalmazia, che come il resto delle ex Province Illiriche napoleoniche passò all’Austria.
Anche la restaurazione delle sovranità nell’Italia centrale fu influenzata esplicitamente dalle esigenze geopolitiche austriache, rimaneggiando i confini degli antichi Stati, così come del resto era accaduto nel periodo napoleonico, quando alcuni territori erano direttamente annessi alla Francia e altri al regno d’Italia. Il Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla, che nell’antico regime apparteneva a un ramo della dinastia borbonica, fu assegnato a Maria Luigia d’Asburgo, moglie di Napoleone ma anche figlia dell’imperatore d’Austria Francesco I; alla morte della sovrana, nel 1847, il ducato sarebbe stato riconsegnato ai Borbone. In orbita austriaca era anche il Ducato di Modena e Reggio, posto sotto il dominio di Francesco IV d’Austria – d’Este (1779-1846); sua nonna era stata l’imperatrice d’Austria Maria Teresa, sua madre era Maria Beatrice d’Este Cybo – Malaspina (1750-1829), a cui la restaurazione restituì il piccolo Ducato di Massa e Carrara, che lei del resto governò stando a Vienna e che nel 1829 venne inglobato nella sovranità di Modena, offrendo allo Stato uno sbocco sul mare. Nel 1847 il Ducato di Modena acquisì anche la zona di Guastalla dai Borbone di Parma.
Nella complessa geografia politica di questa area dell’Italia centro-settentrionale, l’entità statale più vasta era il Granducato di Toscana, che dopo il Congresso di Vienna includeva anche alcuni territori minori, come i residui del Principato di Piombino, che Napoleone aveva annesso a Lucca (distante un centinaio di chilometri). Sul trono di Firenze fu restaurato Ferdinando III d’Asburgo – Lorena (1769-1824), anch’egli di stirpe imperiale (suo fratello era l’imperatore d’Austria Francesco I). Nel 1847 il Granducato si ingrandì con il territorio del Ducato di Lucca, restaurazione spuria della repubblica di antico regime, incastonato tra Toscana, Emilia e Liguria, e assegnato dal Congresso di Vienna a Luisa Maria di Borbone (1782-1824), infanta di Spagna, e poi a suo figlio Carlo Ludovico di Borbone (noto come Carlo II di Parma; 1799-1883, duca 1847-1849), che dovendo acquisire la sovranità sul Ducato di Parma era ansioso di alleggerirsi dei costi di quello di Lucca.
Queste sistemazioni territoriali, in parte già stabilite a Vienna nel 1814-15, erano necessarie per semplificare i confini frastagliati e le numerose enclave in territorio “estero”, che ancora caratterizzavano le sovranità dei ducati dell’Italia centrale, per completare, insomma, una razionalizzazione della restaurazione. Tali processi non avvennero però in modo indolore. Nonostante l’indiscutibile egemonia austriaca in quell’area, la sostanziale debolezza diplomatica e militare degli staterelli coinvolti, i cui sovrani erano tra l’altro cugini tra loro (una condizione in fondo consueta tra le teste coronate europee), ogni raggiustamento territoriale scatenava tensioni, talvolta rivolte delle popolazioni destinate a cambiare sovrano, maneggi di provocatori e repressioni anche sanguinose. Proprio nel 1847, in occasione della devoluzione di Lucca agli Asburgo – Lorena di Toscana, la tensione rischiò di sfociare in una guerra tra Granducato e ducati di Modena e Parma, a causa delle resistenze delle popolazioni del Pontremolese e della Lucchesia che dovevano passare dalla dominazione toscana a quella dei ducati. Un compenso in denaro che il granduca versò a Modena e la ferma voce di Vienna scongiurano il conflitto, tuttavia tali tensioni estreme erano segni della debolezza dell’architettura dinastica e diplomatica voluta dall’Austria nell’Italia centro-settentrionale. Necessariamente l’Austria disponeva di un presidio militare a Piacenza, e suoi contingenti si trovavano anche a Ferrara e Comacchio, per controllare e difendere il restaurato Stato Pontificio (o Stato della Chiesa).
Nella sovranità di Roma e della quasi totalità dei suoi territori italiani venne restaurata la monarchia elettiva dello Stato della Chiesa, guidato da Papa Pio VII, che era stato eletto a Venezia sotto la protezione austriaca ed era stato tenuto prigioniero da Napoleone. Con la “prima recupera”, nel 1814, il pontefice riebbe il Lazio e l’Umbria, e con la “seconda recupera”, nel luglio 1815, rientrò in possesso delle Marche, dei territori emiliano – romagnoli detti Legazioni (Bologna, che con una petizione aveva chiesto agli Asburgo di essere annessa all’impero, Ferrara e la Romagna), e dell’enclave di Benevento, in Campania (perse però definitivamente i possedimenti in Francia, come Avignone). Immersa nel territorio pontificio vi era l’unica delle antiche repubbliche oligarchiche italiane destinate a sopravvivere nell’età contemporanea, San Marino, un piccolo Stato le cui sovranità – risalente al XIII secolo – e neutralità furono rispettate dal Congresso di Vienna, come del resto aveva fatto Napoleone.
La restaurazione nel Meridione ebbe qualche intoppo rispetto all’agenda stabilita a Vienna per la presenza del re di Napoli napoleonico Gioacchino Murat, che durante i “cento giorni” (marzo-luglio 1815) di Napoleone, si schierò con il cognato e scorrazzò per l’Italia centrale e meridionale con un suo esercito. Cacciato dalle Legazioni in maggio dagli austriaci, aveva proclamato l’intenzione di ricostituire un regno italiano al sud, e nell’ottobre del 1815 era sbarcato in Calabria con un pugno di uomini per sollevare la popolazione, ma fu bloccato dai borbonici e giustiziato. Fu però solo un tragico episodio che non fu in grado di influenzare le decisioni già prese sulla sorte dell’Italia meridionale.
Il Meridione continentale ritornò infatti nel dominio dei Borbone di Napoli, che avevano conservato il Regno di Sicilia anche in epoca napoleonica; con la legge dell’8 giugno 1816 i due regni distinti delle province continentali e della Sicilia vennero riuniti nel Regno delle Due Sicilie, e il sovrano mutò il suo titolo in Ferdinando I, col quale avrebbe regnato fino alla morte, nel 1825, quando gli subentrò il figlio maggiore Francesco I (1777-1830). La dinastia borbonica di Napoli era uno dei più efficaci strumenti dell’egemonia austriaca sulla penisola. Essa era infatti legata a doppio filo con Vienna da una serie di convenzioni e accordi della primavera del 1815 culminati con un trattato perpetuo di alleanza stipulato segretamente il 12 giugno, che metteva il regno sotto tutela austriaca nelle scelte di politica interna, in modo da evitare una reazione sanguinosa ma anche l’eversione in senso costituzionale della sovranità monarchica, e di fatto consegnava ai militari imperiali il comando in capo dell’esercito meridionale, tra i cui compiti vi era quello di contribuire a preservare l’ordine territoriale nell’Italia della restaurazione.
Lo stretto controllo austriaco della penisola si incrinava soltanto alla frontiera occidentale italiana, nel ricostituito – a ampliato – regno dei Savoia. Al sovrano Vittorio Emanuele I (1759-1824, re fino al 1821) vennero restituiti i territori continentali (già annessi alla Francia), ovvero il Piemonte, la Savoia fino al Rodano e Nizza, a cui si aggiunse la Liguria, che aveva fatto parte della Repubblica di Genova (anche i genovesi si erano espressi per una annessione all’impero asburgico). Del regno faceva parte anche la Sardegna, dove la dinastia sabauda si era rifugiata nel periodo napoleonico; e il nome di Regno di Sardegna avrebbe continuato a designare il nuovo Stato ampliato, fino al 1861. All’interno dell’area nizzarda del regno si trovava poi il ricostituito piccolissimo Principato di Monaco, eretto dal XIV secolo e dal 1793 entrato a far parte della Francia; il Congresso di Vienna lo aveva voluto indipendente da Torino ma sotto la protezione sabauda.
Anche i Savoia, per motivi militari e dinastici, erano in realtà legati all’Austria imperiale, le cui armate li avevano reinsediati a Torino, nel maggio 1814. Inoltre, Vittorio Emanuele I era coniugato con Maria Teresa d’Asburgo – Este; una delle loro figlie, Maria Anna, sarebbe divenuta imperatrice d’Austria come moglie di Ferdinando I d’Asburgo Lorena, altre tre divennero duchesse di Modena (Beatrice), di Lucca e poi di Parma (Maria Teresa), e regina delle Due Sicilie (Maria Cristina), avendone sposato i rispettivi sovrani. Tuttavia il Regno di Sardegna, più che una creatura austriaca, lo era dell’intero consesso delle potenze riunite nel Congresso di Vienna, un delicato Stato cuscinetto protetto dalla diplomazia internazionale che aveva la funzione di tenere separate Francia e Austria, garantendo l’equilibrio in quell’area dell’Europa. Forte di questo ruolo, il sovrano savoiardo si oppose al progetto del cancelliere austriaco Klemens von Metternich (1773-1859) di rafforzare l’egemonia di Vienna sulla penisola con la creazione di una Lega italica tra i principi italiani, sul modello della Confederazione germanica e che come quella avrebbe avuto al centro la testa coronata più prestigiosa, l’imperatore appunto. Torino, con prudenza e accortezza diplomatica, intendeva mantenere la propria autonomia; di fatto, a garantirne l’esistenza erano i coincidenti interessi delle grandi potenze alla stabilità geopolitica.
A ulteriore e fattiva garanzia c’era poi il sistema delle alleanze militari. La versione più reazionaria e misticheggiante era la Santa Alleanza, voluta dallo zar russo Alessandro I (al potere: 1801-1825) e stipulata il 26 settembre 1815 tra le potenze continentali (Russia, Austria, Prussia), a cui in seguito aderirono anche la Francia, il Regno di Sardegna e molti Stati minori, ma non lo Stato della Chiesa né l’Inghilterra. Nel 1830, però, con il cambio di regime in Francia la Santa Alleanza cessò di esistere. Più pragmaticamente gli inglesi promossero, sul modello delle coalizioni antinapoleoniche, una Quadruplice alleanza, incentrata soprattutto sul controllo della Francia; il relativo trattato, firmato il 20 novembre 1815 tra Inghilterra, Russia, Austria e Prussia, prevedeva anche regolari consultazioni in nome degli interessi comuni delle potenze che controllavano l’Europa.
2. Assolutismo e monarchie amministrative
Una radicale restaurazione delle istituzioni di governo del passato trovava ostacoli anche superiori a quelli del reinsediamento delle vecchie dinastie e al ripristino degli antichi confini, infatti la dominazione napoleonica aveva radicalmente alterato lo stile e le pratiche di governo e fondamentalmente trasformato le relazioni tra Stato e società civile. Comunque, nessuno degli Stati italiani ebbe una seppur limitata forma di regime costituzionale e in tutti fu instaurato un assolutismo rigido, che tuttavia doveva tenere conto sia delle evoluzioni della stagione “illuminata” di fine Settecento, sia dell’accelerazione verso la burocratizzazione degli apparati amministrativi che la stagione napoleonica aveva rappresentato.
Rispetto a quello dell’antico regime, l’assolutismo della restaurazione si caratterizzava per l’accentuazione del monopolio statale del potere pubblico, che costituiva un limite ai desideri e ai tentativi di riemersione delle giurisdizioni cetuali (cioè relative alla condizione sociale di appartenenza, si cui si basavano i diritti) e di quelle territoriali (che assoggettavano alcuni territori a norme e usi diversi dal resto dello Stato), al ripristino delle rappresentanze e delle immunità delle aristocrazie e del clero, cioè di quei privilegi che avevano ostacolato e limitato il potere centrale del sovrano e del suo governo. Si trattava di una evoluzione che la presenza dei napoleonidi aveva resa possibile attraverso l’eversione delle feudalità, cioè l’abolizione delle giurisdizioni che i nobili e gli ecclesiastici, titolari dei feudi dall’epoca medievale, avevano sulle terre e sui relativi proventi, così che gran parte di quel patrimonio terriero ridivenne demaniale e fu posto in vendita; questi provvedimenti non furono messi in discussione dagli Stati restaurati, per non esporsi alle richieste di indennizzo degli antichi proprietari e per continuare piuttosto a percepire l’imposta fondiaria sulle terre liberate dai privilegi fiscali. Sui rapporti sociali, e su quelli proprietari in primo luogo, aveva inciso profondamente la codificazione civile napoleonica, che aveva messo ordine nel confuso e molteplice assetto delle fonti normative di antico regime, e dunque il modello francese di codificazione sarebbe rimasto prevalente anche durante la restaurazione, pur se variamente purgato da norme e procedure non in sintonia col ritorno dell’assolutismo e la morale religiosa. Così ad essere ricondotto alla normativa di antico regime, spesso comunque riproposta in termini più moderati, era soprattutto il diritto di famiglia e delle successioni: il matrimonio tornava indissolubile (con deroghe per gli acattolici sotto giurisdizione austriaca), e veniva amministrato dalla Chiesa ma riconosciuto dallo Stato; veniva estesa la potestà maschile su donne e minori; si aboliva il diritto paritario degli eredi nelle success...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. 1. Confini e regimi
  3. 2. poteri e conflitti
  4. 3. persone, lavoro, speranze
  5. Bibliografia