1. Menti fredde e cuori caldi
Il fatto che abbiate questo libro tra le mani vi pone in una posizione particolare. Per cominciare, avete (voi, o chi per voi) i soldi per acquistarlo. Se foste di un paese povero, la vostra famiglia sopravvivrebbe con pochi dollari al giorno. Spendereste in cibo gran parte dei soldi e comprare un libro sarebbe l’ultimo dei vostri problemi. Se anche riusciste a procurarvi una copia, vi sarebbe del tutto inutile perché non sareste in grado di leggerlo. In Burkina Faso, un paese povero dell’Africa occidentale, non è in grado di leggere nemmeno la metà della popolazione più giovane; e di questa, solo un terzo delle ragazze. È più probabile che lì, anziché imparare l’algebra o studiare le lingue, una ragazzina di dodici anni passi la giornata a portare secchi d’acqua alla capanna della sua famiglia. Forse pensate di non essere particolarmente ricchi, voi e la vostra famiglia, ma per molte persone acquistare un libro e poterlo leggere è probabile quanto un viaggio sulla luna.
Chi è incuriosito – e forse indignato – da questa enorme disparità spesso sceglie di dedicarsi all’economia. L’economia è lo studio di come le società usano le proprie risorse: la terra, il carbone, le persone e i macchinari implicati nella realizzazione di beni come il pane e le scarpe. L’economia ci spiega le ragioni per cui è sbagliato dire che in Burkina Faso sono poveri perché sono pigri, come fanno alcuni. Molti in quel paese lavorano duramente, ma sono nati in un sistema economico che nel suo complesso non è granché quanto a produzione di merci. Perché il Regno Unito ha gli edifici, i libri e gli insegnanti necessari all’istruzione dei bambini e il Burkina Faso no? È una domanda molto complessa, e nessuno ancora ha davvero una risposta. L’economia prova a darcene alcune.
Vi è però una motivazione più forte per farsi affascinare da questa disciplina, e magari per costruirsi delle idee proprie. L’economia è questione di vita e di morte. Un bambino che oggi nasce in un paese ricco ha una probabilità minima di morire prima di compiere cinque anni. La morte di un bambino piccolo è un evento raro e scioccante; nei paesi più poveri del mondo, invece, più del 10 per cento dei bambini non arriva ai cinque anni per mancanza di cibo e medicine. In quei paesi, i ragazzi possono ritenersi fortunati solo per il fatto di essere sopravvissuti.
Il termine «economia» può sembrarvi un po’ arido, e farvi pensare a una marea di statistiche noiose. Ma in realtà tutto ciò che cerca di fare è aiutare le persone, perché sopravvivano, perché siano in salute e perché abbiano la possibilità di istruirsi. Cerca di spiegare perché certe persone hanno ciò che serve per vivere un’esistenza piena e felice, e altre invece no. Se riusciamo a risolvere alcune questioni economiche di base, forse possiamo aiutare tutti a vivere meglio.
Oggi gli economisti hanno un modo peculiare di parlare delle risorse, e cioè dei mattoni per costruire le scuole, dei farmaci per curare le malattie e dei libri di cui le persone hanno bisogno. Quando ne parlano, le definiscono «scarse». Negli anni Trenta, l’economista inglese Lionel Robbins definì l’economia come lo studio della scarsità. Cose rare come diamanti e pavoni bianchi sono scarse, ma per gli economisti sono scarsi anche penne e libri, benché si trovino facilmente in casa o nel negozio di quartiere. Per scarsità si intende che ne esiste una quantità limitata, mentre i desideri delle persone sono potenzialmente infiniti. Se fosse possibile, continueremmo a comprare penne e libri per sempre, ma non possiamo avere tutto, perché ogni cosa ha un costo. Perciò dobbiamo fare delle scelte.
Fermiamoci un attimo sull’idea di costo. Con costo non si fa solo riferimento a dollari e sterline, per quanto questi siano importanti. Pensate a uno studente che sceglie cosa studiare. Le opzioni sono storia e geografia, ma non può seguirle entrambe. Opta per storia. Qual è il costo della sua scelta? È quello a cui rinuncia: la possibilità di studiare deserti, ghiacciai e capitali di uno Stato. Qual è il costo di un nuovo ospedale? Potete sommare il prezzo dei mattoni e dell’acciaio, ma se pensiamo a quello a cui rinunciamo, allora il prezzo è la stazione ferroviaria che avremmo potuto costruire al suo posto. È quello che gli economisti chiamano «costo opportunità», ed è facile non tenerne conto. Scarsità e costo opportunità mostrano un principio economico fondamentale: si devono fare delle scelte, tra ospedali e stazioni, centri commerciali e campi da calcio.
Agli economisti, dunque, interessa come usiamo le scarse risorse per soddisfare i nostri bisogni. Ma c’è qualcosa di più. In che modo cambiano le scelte che le persone si trovano ad affrontare? Nelle società povere sono nette: un pasto per il bambino o gli antibiotici per la nonna malata; nei paesi ricchi come gli Stati Uniti o la Svezia lo sono meno. Si tratta magari di dover scegliere tra un nuovo orologio e l’ultimo modello di iPad. I paesi ricchi affrontano gravi problemi economici – talvolta le aziende falliscono, i lavoratori perdono il posto e faticano a comprare vestiti per i propri figli – ma raramente si tratta di questioni di vita e di morte. Diventa perciò cruciale per gli economisti capire come le società affrontano gli effetti peggiori della scarsità, e perché alcune non riescano a farlo con la stessa rapidità di altre. Per provare a dare una buona risposta non basta padroneggiare il concetto di costo opportunità – essere cioè bravi a capire se è meglio costruire un ospedale o un campo da calcio, se comprare un iPad o un orologio. La risposta dovrebbe attingere a ogni sorta di teoria economica, e a una conoscenza profonda di come le diverse economie funzionano nel mondo reale. Incontrare in questo libro i teorici del pensiero economico è un ottimo punto di partenza; le loro idee mostrano quanto i tentativi degli economisti siano stati straordinariamente vari.
Gli economisti studiano l’«economia», ovviamente. È all’interno dell’economia che vengono impiegate le risorse, si producono cose nuove e si decide chi prende cosa. Per esempio, un produttore acquista della stoffa e assume dei lavoratori per fabbricare t-shirt. I consumatori – voi e io – vanno in negozio, e se hanno i soldi possono comprarsi beni come le t-shirt (le «consumano»). «Consumano» anche servizi, non solo oggetti. Un taglio di capelli, per esempio, è un servizio. Molti consumatori sono anche lavoratori, guadagnano cioè denaro attraverso un lavoro. Aziende, lavoratori e consumatori sono gli elementi chiave di un’economia; ma anche banche e mercati azionari – il «sistema finanziario» – influenzano l’uso delle risorse. Le banche prestano soldi alle aziende, le «finanziano». Quando si prestano soldi a un produttore di abbigliamento per costruire un nuovo stabilimento, il prestito gli consente di comprare il cemento, che finisce così in questa nuova costruzione anziché in un nuovo ponte. Per raccogliere fondi, a volte le società vendono in borsa «quote» (o «azioni»). Se avete una quota in Toshiba, possedete una minima parte della società; e se Toshiba va bene il prezzo delle sue quote sale e voi diventate più ricchi. Anche i governi fanno parte del sistema economico: condizionano l’uso delle risorse quando destinano fondi per una nuova autostrada o per una centrale elettrica.
Nel prossimo capitolo, incontreremo gli antichi greci, tra i primi a riflettere sulle questioni economiche. Il termine «economia» deriva dal greco oikos, casa, e nomos, legge, o norma. Con economia i greci si riferivano dunque a come i nuclei familiari gestivano le proprie risorse. Oggi l’economia include anche lo studio di società e industrie, ma le famiglie e le persone che ne fanno parte rimangono fondamentali. Dopotutto, sono gli individui che acquistano e che compongono la forza lavoro. L’economia, dunque, è lo studio dei comportamenti umani all’interno del sistema economico. Se vi danno venti euro per il compleanno, come decidete di spenderli? Cosa spinge un lavoratore ad accettare un nuovo lavoro per un certo compenso? Perché alcuni riescono a risparmiare mentre altri sperperano soldi comprando cucce di lusso per farci dormire il proprio cane?
Gli economisti provano ad affrontare questi interrogativi da un punto di vista scientifico. Forse il termine «scienza» vi fa pensare a provette gorgoglianti ed equazioni scritte alla lavagna, piuttosto distante rispetto al tema della disponibilità di cibo. In realtà, gli studiosi provano a spiegare l’economia come fanno gli scienziati con il volo dei razzi. Gli scienziati sono alla ricerca di «leggi» fisiche – di come una cosa ne causi un’altra – di come per esempio il peso del razzo determinerà l’altezza del volo; gli economisti sono alla ricerca delle leggi economiche, di come per esempio le dimensioni della popolazione incidano sulla quantità di cibo disponibile. Questa è l’«economia positiva»: le leggi non sono buone né cattive. Semplicemente, descrivono come stanno le cose.
Se state pensando che l’economia è ben più di questo, avete ragione. Pensate ai bambini africani che non sopravvivono ai lori primi anni di vita. È sufficiente descrivere la situazione e chiudere il discorso? Ovviamente no! Se gli economisti non esprimessero giudizi sarebbero piuttosto insensibili. Un altro ramo dell’economia è infatti l’«economia normativa», che ci dice se una data situazione va bene oppure no. Potreste giudicare negativamente lo spreco di un supermercato che getta via cibo ancora buono; o pensare alla differenza tra poveri e ricchi come a un’ingiustizia.
Quando un’osservazione precisa e un giudizio assennato si fondono, l’economia può diventare una forza di cambiamento, per creare società più ricche e più giuste, in cui sempre più persone possano vivere bene. Come ha detto una volta l’economista britannico Alfred Marshall, agli economisti servono «menti fredde ma cuori caldi». Va bene, descrivete il mondo come scienziati, ma siate certi di farlo con compassione per la sofferenza delle persone attorno a voi, e poi tentate di cambiare le cose.
L’economia contemporanea, quella che si studia oggi nelle università, è emersa solo di recente, se pensiamo alle migliaia di anni della civilizzazione umana. È apparsa qualche secolo fa, quando è nato il capitalismo, il sistema economico oggi prevalente. Con il capitalismo, gran parte delle risorse – la terra, il cibo e il lavoro dei cittadini – vengono comprate e vendute per denaro. Questo vendere e comprare è il «mercato». Inoltre, esiste un gruppo di persone – i capitalisti – che possiedono il capitale: il denaro, le macchine e gli stabilimenti che servono per produrre le merci. Un altro gruppo, i lavoratori, sono impiegati nelle aziende dei capitalisti. È difficile oggi immaginarsi un sistema alternativo, ma prima del capitalismo le cose andavano diversamente: le persone producevano il cibo di cui avevano bisogno anziché comprarlo, e la gente comune non lavorava per l’industria, ma per il signore che controllava la terra sui cui viveva.
Se paragonata alla matematica o alla letteratura, quindi, l’economia è una disciplina recente. Ha molto a che fare con le cose di cui si preoccupano i capitalisti: comprare, vendere, prezzi. Gran parte di questo libro si occupa di questo tipo di economia. Ma prenderemo in considerazione anche idee molto più antiche.
In fondo ogni società, capitalistica o no, affronta il problema di come nutrire e vestire la gente. Esamineremo i mutamenti delle idee economiche e come i sistemi stessi sono cambiati; vedremo come le persone abbiano nel tempo cercato di far fronte alla scarsità di mezzi, quando lavoravano nei campi o nelle fabbriche e si riunivano la sera intorno alle pentole sul fuoco.
Gli economisti hanno sempre descritto il sistema economico ed espresso valutazioni come farebbero scienziati scrupolosi o filosofi sapienti? Talvolta sono stati accusati di trascurare le difficoltà dei gruppi più deboli lasciati indietro dall’economia che progredisce, donne e neri soprattutto. È perché storicamente gli economisti provengono dai gruppi sociali più forti? All’inizio del xxi secolo, una grossa crisi è stata causata dall’attività sconsiderata delle banche. Molte persone hanno accusato gli economisti di non essersene accorti per tempo, e alcuni hanno sospettato che la cosa dipendesse dal fatto che gran parte di loro erano influenzati da chi traeva vantaggio da un sistema dominato da finanza e grosse banche.
Forse quindi gli economisti hanno bisogno di qualcosa in più di menti fredde e cuori caldi: uno sguardo autocritico, la capacità di andare oltre le proprie preoccupazioni e il proprio modo di vedere il mondo. Studiare la storia dell’economia ci aiuta esattamente a fare questo: capire come sono nate le idee dei teorici del passato, strettamente legate a circostanze e problemi particolari, e ci consente di vedere con più chiarezza come nascono quelle di oggi. Ecco perché tenere insieme storia e idee è così affascinante, e così importante per creare un mondo in cui sempre più persone possano vivere meglio.
2. I cigni volanti
Come tutti, anche gli uomini primitivi si sono trovati ad affrontare il problema della scarsità, che per loro voleva dire avere abbastanza da mangiare. Non esisteva però un’economia come insieme di fattorie, botteghe e fabbriche. I popoli primitivi sopravvivevano nelle foreste raccogliendo bacche e cacciando animali. È stato solo al nascere di economie più complesse, come quelle dell’antica Grecia e di Roma, che le persone iniziarono a pensare alle questioni economiche.
I primi teorici della materia furono i filosofi greci, che diedero vita alla tradizione del pensiero occidentale di cui l’economia è parte. Le loro idee fiorirono dopo migliaia di anni di lotta per la sopravvivenza dell’essere umano, prima che apparissero le prime civiltà. In precedenza, gli uomini avevano gettato i semi della vita economica imparando a piegare la natura ai loro bisogni. Una volta scoperto il fuoco, per esempio, potevano creare cose nuove da ciò che trovavano: vasi dall’argilla, cibi cotti da piante e animali. Poi, oltre diecimila anni fa, vi fu la prima rivoluzione economica: gruppi di uomini capirono come far crescere le piante e addomesticare gli animali, inventando l’agricoltura. Molti tra loro riuscivano a sopravvivere grazie a un pezzo di terra, e si raggrupparono in villaggi.
Da qui, in Mesopotamia – l’odierno Iraq – si svilupparono civiltà con economie più complesse, dove per «complesse» intendiamo che le persone non producevano in proprio il cibo di cui avevano bisogno. Probabilmente anche voi oggi non producete il vostro cibo ma lo comprate da chi lo fa. In Mesopotamia troviamo i primi esseri umani che non hanno mai raccolto orzo, né munto una capra: i re che governavano la città e i sacerdoti, responsabili dei templi.
Lo sviluppo economico è stato possibile perché gli uomini erano diventati così abili nella coltivazione e nell’allevamento che i contadini iniziavano a produrre più di quello che serviva per la loro stessa sopravvivenza: il surplus era così destinato ai re e ai sacerdoti. Portare il cibo dai coltivatori ai consumatori richiedeva una certa organizzazione. Oggi lo si fa vendendo e comprando tramite denaro, ma le società antiche ripiegavano sulle vecchie tradizioni. Il raccolto veniva portato al tempio come offerta e ripartito tra i sacerdoti. Per organizzare la distribuzione del cibo, le prime civiltà inventarono la scrittura: alcuni dei primi esempi che abbiamo sono liste di consegne del raccolto. Grazie alla scrittura, i funzionari potevano appropriarsi di una parte di quanto prodotto dai contadini (in altre parole, li tassavano), per poi usare le risorse per scavare i canali che portassero acqua ai campi e costruire tombe per onorare i re.
Alcuni secoli prima della nascita di Cristo, la civilizzazione umana era presente in Mesopotamia e in Egitto, in India e in Cina da migliaia di anni, e già erano presenti gli ingredienti della civiltà che sorgerà in Grecia; è qui che si inizierà a pensare in modo più complesso a cosa significhi essere umani e vivere in società. Esiodo, uno dei primi poeti greci, segna il momen...