Il candidato digitale
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Il candidato digitale

L'arte della campagna elettorale nell'epoca dell'algocrazia e del post-Covid

  1. 272 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il candidato digitale

L'arte della campagna elettorale nell'epoca dell'algocrazia e del post-Covid

Informazioni su questo libro

Affrontare una tornata elettorale nell'era dell'intelligenza artificiale – e in una società sconvolta dal drammatico impatto con la pandemia di Covid-19 – richiede approcci e competenze che fino a qualche anno fa erano difficili anche solo da immaginare. Basti pensare al fatto che i comizi, il "porta a porta", la propaganda nei mercati e tutte quelle altre occasioni di contatto fisico che hanno sempre rappresentato snodi fondamentali di ogni campagna oggi sono sub judice, appesi agli umori del virus e della nostra – non sempre impeccabile – capacità di fronteggiarlo efficacemente.L'ambito specifico della comunicazione politica non fa eccezione.

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1) Una volta qui era tutta campagna (elettorale)

Affrontare una tornata elettorale nell’era dell’intelligenza artificiale – e in una società sconvolta dal drammatico impatto con la pandemia di Covid-19 – richiede approcci e competenze che fino a qualche anno fa erano difficili anche solo da immaginare. Basti pensare al fatto che i comizi, il “porta a porta”, la propaganda nei mercati e tutte quelle altre occasioni di contatto fisico che hanno sempre rappresentato snodi fondamentali di ogni campagna oggi sono sub judice, appesi agli umori del virus e della nostra – non sempre impeccabile – capacità di fronteggiarlo efficacemente.
Durante la pandemia, abbiamo fatto di necessità virtù accelerando processi come lo smart-working e la didattica a distanza, che non avevamo preparato per tempo. Ci siamo arrangiati: benché il digitale abbia ormai da tempo permeato ogni aspetto della nostra vita, il livello medio di conoscenza specifica è ancora drammaticamente basso. La rivoluzione tecnologica procede con una velocità che non ha precedenti nella storia, ma non si può certo dire lo stesso in merito alla capacità diffusa di cavalcarla per ottenerne dei vantaggi significativi. Potenzialmente il digitale potrebbe ridurre la forbice sociale determinatasi con la “Old Economy”, ma l’effetto prevalente pare essere quello opposto: chi riesce a dominare il nuovo ecosistema prolifera costruendo imperi (pensate ad esempio a Jeff Bezos e alla sua Amazon), mentre gli altri arrancano, assistendo impotenti al crollo di interi settori produttivi. Se ogni rivoluzione porta con sé vincitori e vinti, almeno fino ad oggi quella digitale sembra aver esasperato il divario tra la parte più agiata e quella meno agiata del mondo. Rientrano tra i soccombenti una vasta gamma di comparti, dai piccoli negozi di prossimità a quello che più ci riguarda come professionisti: nell’editoria, nell’informazione e nella comunicazione in generale siamo ben consapevoli che i modelli di business legati alla carta stampata e al primato della conoscenza da parte dei giornalisti siano un ricordo del passato, ma ancora non sono del tutto chiari i nuovi indirizzi da seguire.
L’ambito specifico della comunicazione politica non fa eccezione. Al contrario, è gravato da fardelli di tipo culturale, economico e procedurale che sicuramente non aiutano a fare il salto di qualità.
Se vi state apprestando ad affrontare una campagna elettorale, da candidato o in un ruolo di supporto, uno dei vostri compiti più delicati riguarderà la necessità di una continua relazione con chi ha il potere di affidarvi tale ruolo, ovvero il gruppo politico di riferimento.
Oltre all’ovvia complessità della missione da portare a termine, tenete conto del fatto che nella maggior parte dei casi vi rapporterete con persone non più giovani, che hanno accumulato una considerevole esperienza sul campo e che ovviamente ne rivendicheranno la centralità, anche perché frutto di un impegno – quasi sempre volontaristico – che ha caratterizzato una parte della loro vita decisamente importante, sia in termini quantitativi che qualitativi. In questo processo dovrete conciliare la necessaria diplomazia nei confronti di chi vi ha aperto le porte dell’avventura che state intraprendendo (e che potrebbe risultare divertentissima, fidatevi) con il giusto scetticismo nei confronti dei consigli e delle indicazioni che riceverete: per quanto l’esperienza sia preziosa, la capacità di adeguarsi a un contesto in rapida evoluzione quale la comunicazione politica nell’era dell’intelligenza artificiale è imprescindibile. La logica del “si è sempre fatto così” può risultare deleteria in qualunque ambito e a maggior ragione in un contesto del genere. Guardatevene bene o, come disse un leader politico decisamente poco cortese nei confronti dei suoi colleghi più maturi, presto vi troverete a cercare di infilare un gettone telefonico nel cellulare.

1.1 Una rapida evoluzione

Un esempio lampante di questa rapida mutazione riguarda i manifesti elettorali, in quanto la loro improvvisa sparizione dalle nostre strade ha colpito anche chi segue la politica in maniera solo superficiale. Nel breve arco dell’ultimo lustro, siamo passati da una situazione nella quale i candidati consideravano i manifesti così importanti da farvi ricorso ben oltre i limiti concessi dalla legge (con conseguenti multe e polemiche) a una che vede le plance preposte per le affissioni rimanere sempre più spesso desolatamente vuote. Le decine di metri di stalli abbandonati non possono che colpire, acquisendo peraltro un valore sociologico interessante: i residui cartacei delle precedenti campagne che affiorano tra la ruggine rilanciano i “faccioni” dei vecchi candidati, ricordandoci chi nel frattempo ha cambiato sponda, chi è finito in disgrazia e chi invece ha tenuto fede alle proprie promesse. Qualcuno c’è.
Dal punto di vista comunicativo, però, sono modernariato di utilità relativa. “Relativa”, non “nulla”, perché in effetti in alcuni contesti i mezzi tradizionali sono ancora efficaci. Ad esempio nella differenziazione dei messaggi elettorali della quale parleremo nelle prossime pagine, nella possibilità di “marcare il territorio” con dei manifesti cartacei in un quartiere difficile per via del degrado, oppure distribuendo volantini all’uscita di un centro sportivo che si intende riqualificare, la carta può in effetti produrre ottimi risultati.
Ciò che però conta davvero comprendere è la portata di una rivoluzione che, come tale, non prevede ritorni al passato. La propaganda tradizionale è stata soppiantata dall’evoluzione tecnologica in un modo decisamente più rapido e drastico rispetto a come la tv digitale abbia soppiantato i videoregistratori.

1.2 Gli effetti del cambiamento

È irrimediabilmente finita un’era nella quale era il manifesto cartaceo a racchiudere sia slogan storici come “Nel segreto dell’urna Dio ti vede, Stalin no” (DC, elezioni 1948) o “Un impegno concreto: meno tasse per tutti” (Silvio Berlusconi, 2001), così come particolari vezzi estetici riguardanti ad esempio eccessi di fotoritocco (lo stesso Berlusconi, seguito poi da Giorgia Meloni) oppure di tipo gerarchico, che in alcuni partiti regolavano la produzione dei manifesti. Sarebbe facile obiettare che questo tipo di comunicazione ha semplicemente traslocato: un tempo veniva affisso sulle plance metalliche, ormai vetuste, mentre oggi appare sulle più moderne piattaforme digitali. Sì, sarebbe facile. Ma sbagliato.
Questo rappresenta infatti uno dei più comuni errori di valutazione di fronte all’irrompere della rivoluzione digitale: i nuovi mezzi di comunicazione non devono imitare i loro predecessori, bensì devono adattare il proprio modo di comunicare all’ecosistema nel quale si trovano a operare. Un esempio pratico è, ancora una volta, dato dall’informazione: un giornale online non può limitarsi a dare le notizie, come si faceva con la carta stampata, ma deve integrare funzioni aggiuntive quali i contenuti audio/video, l’interattività con il lettore e la tempestività della pubblicazione.
Allo stesso modo, slogan come quelli descritti in precedenza o come il più recente “Prima gli italiani” sono evidentemente ancora presenti nell’agone politico, ma incidono solo nella misura in cui essi riescano a cogliere l’interattività che è tipica della Rete: non più messaggi top-down da subire passivamente, ma vere e proprie call-to-action che diventano un incentivo alla riproposizione attiva, sia essa attraverso i retweet che innervando l’azione politica quotidiana di chi li adotta come propri.
Se i dinosauri si sono estinti a causa dell’impatto di un asteroide con la Terra, i manifesti cartacei sono stati relegati a un ruolo marginale per una molteplicità di ragioni. La prima è, evidentemente, di tipo economico: l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti ha ridimensionato in maniera drastica le risorse a disposizione, costringendo i professionisti delle campagne elettorali a rivedere completamente le proprie abitudini e a sforbiciare i budget di spesa.
“Non ci sono più soldi. La campagna elettorale si è spostata su Internet. Un mondo è finito”: così sentenziava Carlo Cotticelli, tesoriere del PD romano e “memoria storica del partito nella capitale” in un eloquente articolo pubblicato da ilsole24ore.com alla vigilia delle elezioni politiche del 4 marzo 2018 [1]. Inevitabilmente, la gratuità della Rete è sembrata a molti la soluzione del problema, con particolare riferimento a Facebook e agli altri social network, un altro fenomeno che affronteremo più approfonditamente nelle prossime pagine. Attenzione però a non emettere giudizi superficiali: fare campagna sul Web può certamente dare un ROI (Return On Investment) decisamente più alto rispetto ai metodi tradizionali, ma gestirlo in maniera professionale richiede competenze e, quindi, risorse economiche adeguate.

1.3 Investimenti e reddittività

Spieghiamo il concetto di ROI nella propaganda elettorale con dei dati eloquenti. I classici “6 x 3”, ovvero i manifesti cartacei di 6 metri di larghezza e 3 metri di altezza sul quale spiccavano i faccioni dei protagonisti della politica avevano un limite oggettivo: si rivolgevano a un target indifferenziato. Di ogni cento cittadini che, transitando in una qualsiasi piazza del nostro Paese nel 2001, si imbattevano in un cartellone dal quale Berlusconi li ingolosiva promettendo il fatidico taglio delle tasse, oltre 42 erano effettivamente sostenitori del centrodestra, ma quasi 39 erano invece elettori del centrosinistra [2] e per questi ultimi il messaggio era ovviamente inutile, se non fastidioso, pur rappresentando un costo elevato per chi lo aveva fatto realizzare ed affiggere.
Con tutta evidenza, è decisamente più mirata la propaganda che si può organizzare in Rete, grazie agli algoritmi che selezionano i contenuti in base alle preferenze (anche politiche) del fruitore specifico. Già nell’edizione 2018 del CES (la fiera internazionale della tecnologia, che si tiene ogni anno a Las Vegas), il Chief Product Officer di YouTube Neal Mohan spiegava che oltre il 70% di quello che vediamo sulla piattaforma video è influenzato dall’intelligenza artificiale. “E se guardi i video attraverso il cellulare, la sessione media di visione dura oltre 60 minuti, proprio grazie alle proposte che ti vengono sottoposte dai nostri motori di ricerca”, aggiungeva Mohan [3].
Giusto per avere un ordine di grandezze, le visite di YouTube dal cellulare sono oltre un miliardo al giorno (il 25% del totale). Ogni mese la piattaforma con sede in California processa tre miliardi di ricerche, a fronte di 3,25 miliardi di ore che, negli stessi trenta giorni, vengono visti in tutto il mondo. La crescita dei contenuti è esponenziale: ogni minuto l’immenso archivio di video di YouTube cresce addirittura di 100 ore di materiale, grazie ai caricamenti degli utenti/creatori. E, in questo oceano di dati, l’intelligenza artificiale è abbastanza potente da seguire gli umori di chi, in un piccolo Paese dell’Europa meridionale caratterizzato da molti aspetti positivi e da una certa instabilità politica, cerca di capire se ad essere più affine a lui sia il Matteo che riunisce amici e sostenitori alla Leopolda o quello che, dopo aver postato scorpacciate di tutti i tipi, ha avuto il coraggio di avventurarsi in quella landa virtuale e per molti ancora sconosciuta che è TikTok (ne riparleremo nelle prossime pagine).
È pensabile che l’utilizzo di strumenti così potenti sia affidato a dilettanti o comunque orientato al massimo risparmio? Certamente no. Un dato illuminante è quello pubblicato da openpolis.it in occasione delle elezioni europee de...

Indice dei contenuti

  1. Il candidato digitale
  2. Colophon
  3. Indice
  4. Introduzione
  5. 1) Una volta qui era tutta campagna (elettorale)
  6. 2) Dalla Prima alla Seconda Repubblica: l’era del “Politainment”
  7. 3) La rivoluzione digitale
  8. 4) Esempi pratici di utilizzo dei nuovi strumenti di comunicazione
  9. 5) Social network: quali scegliere per la comunicazione politica?
  10. 6) Come usare i media digitali durante la campagna elettorale
  11. 7) La comunicazione digitale dei politici italiani
  12. 8) L’analisi di contesto
  13. 9) Come formulare e gestire il budget elettorale
  14. 10) L’analisi della situazione personale di partenza
  15. 11) L’organizzazione della “macchina elettorale”
  16. 12) Dall’idea iniziale alla scelta dei messaggi vincenti
  17. 13) “Votami, stupido”: si tratta di seduzione
  18. 14) La realtà non esiste
  19. 15) Vincere, ma rispettando le regole
  20. 16) Guida alla produzione dei materiali elettorali