Il Mio Socialismo
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Il Mio Socialismo

  1. 149 pagine
  2. Italian
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Il Mio Socialismo

Informazioni su questo libro

Scritti e articoli del futuro fondatore del fascismo, tratti da vari quotidiani e riviste (Avvenire del Lavoratore, Avanguardia Socialista, La Lima, La Lotta di Classe, Il Popolo), nel periodo in cui stava per divenire un esponente di spicco del Partito Socialista Italiano.

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LA FILOSOFIA DELLA FORZA

(Postille alla conferenza dell’on. Treves)
I.
Più che trattare di una Filosofia della Forza, e cioè di una filosofia che abbia qual nucleo centrale e irradiatore una ben determinata nozione di forza — la conferenza dell’on. Treves è stata una chiara, sintetica, brillante esposizione delle teorie di Federico Nietzsche. Treves sa che il Wille zur Macht è un punto cardinale della filosofia nietzschiana, ma ci sembrerebbe inesatto affermare che a quell’unica nozione possano ridursi tutte le idee di Nietzsche. Non si può definire questa filosofia, poiché il poeta di Zarathustra non ci ha lasciato un sistema. Ciò che v’è di caduco, di sterile, di negativo in tutte le filosofie è precisamente il «sistema», questa costruzione ideale, spesse volte arbitraria e illogica, tale da dover essere interpretata come una confessione, un mito, una tragedia, un poema.
Nietzsche non ha mai dato una forma schematica alle sue meditazioni. Era troppo francese, troppo meridionale, troppo «mediterraneo» per «costringere» le speculazioni novatrici del suo pensiero nei quadri di una pesante trattazione scolastica. Ma creatore di sistemi filosofici o no, Nietzsche è pur sempre lo spirito più geniale dell’ultimo quarto del secolo scorso e profondissima è stata la influenza delle sue teoriche. Per qualche tempo gli artisti di tutti i paesi, da Ibsen a D’Annunzio, hanno seguito le orme Nietzschiane. Gli individualisti un po’ sazi della rigidità dell’evangelio stirneriano si sono volti ansiosi a Zarathustra e nella filosofia dell’Illuminato trovano il germe e la ragione di ogni rivolta e di ogni atteggiamento morale e politico. Non mancano gli imbecilli che chiamano super-umanismo, certo equivoco dandysmo da efebi e invocano la solita «torre d’avorio» per celare a chi sa essere osservatore il vuoto spaventoso delle loro scatole craniche. Infine — per completare il quadro — ecco i filosofi salariati che hanno la religione del 27 del mese — gli accademici — questi goffi rappresentanti della scienza ufficiale — che scongiurano la giovinezza di non cedere alle lusinghe dei nuovi pensatori liberi, dal momento che Federico Nietzsche, capo riconosciuto di questi homines novi, ha passato gli ultimi anni della sua vita nelle tenebre della pazzia. Nietzsche è dunque l’uomo più discusso dei giorni nostri. L’uomo, ho detto, perché in questo caso è l’uomo appunto che può spiegarci il grande enigma.
II.
Ci permetta l’on. Treves di aggiungere qualche cosa a quanto egli disse, e cominciamo dallo Stato.
Per Stirner, per Nietzsche e per tutti coloro che Türck nel suo Der geniale Mensch chiama gli «Antisofi dell’egoismo», lo Stato è l’oppressione organizzata ai danni dell’individuo. Ma come è sorto lo Stato? Forse in seguito a un Contratto Sociale come Rousseau e i suoi illusi seguaci pretendevano? No. Nietzsche nella sua Zur Genealogie der Moral (pag. 71 e seg.) ci descrive la genesi dello Stato.
«È un branco di biondi animali da preda — è una razza di signori e di conquistatori che si getta sulle popolazioni limitrofe, disorganizzate, deboli, nomadi. È una violenza compiuta da uomini che — nella e per la loro organizzazione guerresca, non hanno il concetto di riguardo al prossimo, di responsabilità, di colpa. Il loro egoismo di forti non ammette limitazioni. Essi sentono la pienezza della loro vita e la tensione delle loro energie sol quando possano stritolare un altro essere umano. Lungi dal comprimerlo essi danno libero sfogo al loro primordiale istinto di crudeltà. La loro divisa è la parola d’ordine dell’orientale setta degli assassini. Nulla esiste, tutto è permesso. E aggiungono: veder soffrire fa bene, far soffrire fa meglio».
Tuttavia, un principio di solidarietà governa le relazioni di questi biondi animali da preda. Anche i conquistatori obbediscono alle disposizioni che la collettività prende per salvaguardare gli interessi supremi della casta e questa può dirsi una prima limitazione della volontà individuale. Non solo i guerrieri si «costringono» a una rigida disciplina — manifestazione e prova di una preesistente solidarietà d’interessi, ma sono forzati a risparmiare e a proteggere gli schiavi che producono i materiali mezzi di vita. Non basta creare delle nuove tavole di valori morali, bisogna anche umilmente produrre il pane. L’unico non può dunque mai essere «unico» nel senso stirneriano della parola, ché la fatale legge della solidarietà lo piega e lo vince. L’istinto di socievolezza è, secondo Darwin, inerente alla natura stessa dell’uomo. Non si concepisce un individuo che possa vivere avulso dall’infinita catena degli esseri. Nietzsche sentiva la «fatalità» di questa che potrebbe dirsi legge della solidarietà universale e per uscire dalla contraddizione, il superuomo Nietzschiano — l’eroe Nietzschiano il guerriero saggio e implacabilecostretto a risparmiarsi all’interno scatena la sua volontà di potenza all’esterno e la tragica grandezza delle sue imprese fornisce ai poeti per qualche tempo ancora — materia degna di conto.
Ma con la guerra e la conquista esterna, si allarga il cerchio della solidarietà positiva fra i dominatori, negativa verso i dominati. Nietzsche è nuovamente afferrato dalla contraddizione: o il superuomo è «unico» e non obbedisce a leggi — o ammette delle limitazioni al suo arbitrio individuale e allora rientra nella mandra. Davanti a questo dilemma Nietzsche immagina che la società rovini e crepiti come un gigantesco fuoco d’artificio. Nell’orgia della palingenesi finale l’unico osa finalmente di essere «unico» contro tutto e contro tutti! A questo punto della storia (Al di là del Bene e del Male — pag. 236 e seg. edizione tedesca) si rallenta la formidabile tensione. D’un colpo la costrizione della vecchia disciplina si spezza: se volesse sussistere non lo potrebbe che sotto forma di lusso, di gusto arcaico. La variazione, sia come trasformazione in qualche cosa di più alto, di più fino, di più raro sia come degenerazione e mostruosità è d’improvviso sulla scena in tutta la sua pienezza e il suo splendore: l’unico osa di essere unico e di appartarsi dal resto. È il momento storico in cui si mostrano vicini l’uno all’altro e talvolta l’un coll’altro superposti e ingrovigliati sforzi multipli e superbi di elevazione e di crescenza. Una specie di «tempo» tropicale e una meravigliosa corsa alla caduta e all’abisso grazie agli egoismi rivolti selvaggiamente gli uni contro gli altri esplodenti nello stesso tempo, egoismi che lottano insieme per il sole e la luce e non sanno ormai più trovare né limite, né freno, né moderazione nella morale fino allora regnante. Fu questa stessa morale che ha accumulato la forza sino all’enormità, che ha teso l’arco in modo sì minaccioso; ora essa è superata, sarà vissuta. Si è raggiunto lo stadio pericoloso e critico in cui la vita più grande esorbita dai confini della vecchia morale. L’individuo è là: forzato a darsi una propria leggel’arte e la sagacia della propria elevazione, conservazione, liberazione. Più nessuna formula generale — la caduta, la corruzione e i più alti desideri orribilmente intrecciati il genio della razza straripante da tutte le coppe del bene e del male — una simultaneità fatale della primavera e dell’autunno piena di nuove attrazioni e di misteri che sono proprii della corruzione giovane non ancora sazia e spossata. Di nuovo sorge il pericolo — il padre della morale — il grande pericolo — questa volta trasportato nell’individuo, nel prossimo, nell’amico, nella strada, nel proprio figlio, nel proprio cuore, in tutto ciò che v’è di più personale e di più segreto in quanto a desideri e volontà. I filosofi moralisti che sorgeranno in quel tempo che cosa avranno da predicare? Questi acuti osservatori scopriranno che tutto è ben presto finito — che tutto intorno a loro perisce e fa perire, corrompe e fa corrompere — che nulla dura sino posdomani, eccetto una specie di uomini «irrimediabilmente mediocri». Solo i mediocri hanno la prospettiva di continuarsi, di transvegetare — essi sono gli uomini dell’avvenire, gli unici superstiti: Siate come loro! Diventate mediocri! grida ormai la sola morale che ha ancora senso, che trova ancora auditori. Ma è difficile da predicare la «morale della mediocrità», essa non può giammai confessare chi è e che cosa vuole.
È dunque in una specie di caos, in una gigantesca Cariddi che sprofonda l’organizzazione statale della casta aristocratica. E questo epilogo è determinato dal fatto che quando l’uomo non può più calpestare, sacrificare, annientare il proprio simile — volge le armi contro se stesso e trova nella sua volontaria eliminazione dalla scena del mondo l’abisso e la cima del proprio ideale, oppure diventa mediocre, cioè filantropo, umanitario, altruista... È allora che la tavola dei valori morali s’«inverte» e sorgono gli ideali ascetici delle religioni buddista e cristiana. La morale degli schiavi finisce per avvelenare la gioia del tramonto alle vecchie caste — e i deboli trionfano sui forti e i pallidi giudei sfasciano Roma. — Ciò che era buono diventa cattivo. I deboli, i vinti, gli afflitti, i diseredati, gli avariati fisicamente e psicologicamente hanno una buona volta il coraggio di proclamare la superiorità della loro debolezza, della loro miseria, della loro viltà! Lieti della loro ignominia terrestre che gli farà bene accetti nel regno de’ cieli, gli schiavi traggono dopo secoli di servaggio la loro grande vendetta. E i forti ruinano. Ma perché questa ruina è possibile?
Come avviene che gli uomini «duri» di Federico Nietzsche — gli uomini che sanno vivere al di là del bene e del male — gli uomini dalla vigilante tenacia, dall’impassibile crudeltà — dall’anima abituata alle grandi altezze del pensiero e alle diuturne difficoltà dell’azione, come avviene che possano ruinare davanti a una sollevazione di schiavi? L’inversione dei valori morali compiuta dagli schiavi, come può togliere le ragioni di vita ai signori? Sono o non sono, i signori, al disopra di quella morale?
III.
L’inversione dei valori morali è stata l’opera capitale del popolo ebreo. I palestinici hanno vinto i loro secolari nemici rovesciandone le tavole dei valori morali. È stato un atto di vendetta spirituale conforme al temperamento sacerdotale del popolo ebreo. Treves ricordò questa colpa — se così può dirsi, che Nietzsche getta sulla nazione errante e melanconica — ma dimenticò di far risaltare che nel pensiero Nietzschiano è precisamente Gesù di Nazareth lo strumento, forse inconscio, della vendetta spirituale della sua razza e della conseguente inversione dei valori morali. Altrove Nietzsche ci parla di un Gesù assetato d’amore — dell’amore degli uomini — di un Gesù che subisce l’onta estrema del Calvario per dare una prova immortale del suo amore per il genere umano. È il Gesù di Pietro Nahor — uno Jesus, squisito temperamento visionario — iniziato da Kuwcamithra asceta indiano — ai misteri e alle dottrine della religione d’oriente — Jesus — dotato di una straordinaria energia nervosa per cui facile gli riesce suggestionare la folla degli umili che a lui convengono sulle rive del Giordano; Jesus che s’avvia al sacrificio — serenamente e umanamente — nella certezza intima che così vuole l’Eterna Saggezza. Ma in questo Redentore si personifica — secondo Nietzsche — la spirituale vendetta degli schiavi. Ed ecco come si esprime l’autore di Zarathustra a pagina 14 della sua Zar Genealogie der Moral (Ediz. tedesca).
«Questo Gesù di Nazareth, quale incarnato evangelio dell’Amore, questo Redentore arrecante ai poveri, agli ammalati, ai peccatori la beatitudine e il trionfo, non è il traviamento nella sua forma più sospetta e irresistibile conducente all’ebraico rinnovamento dell’Ideale? Israele stesso non ha forse, col giro vizioso di questo Redentore, di questo apparente avversario e dissolvitore d’Israele, raggiunto l’ultimo scopo della sua sublime vendetta? E non appartiene forse a una segreta, tenebrosa arte di una veramente grande politica della vendetta, di una vendetta prelungoveggente, precalcolatrice e sotterranea, che Israele stesso abbia inchiodato alla croce e calunniato innanzi al mondo qual nemico mortale l’unico strumento della propria vendetta, affinché tutto il mondo, cioè tutti gli avversari d’Israele, potessero senza esitazione mordere a quell’esca?».
E dell’esca cristiana, molti si cibarono. Lo prova una storia ormai due volte millenaria.
«Il popolo ha trionfato, cioè gli schiavi, cioè la plebe, cioè il gregge o come vi piacerà chiamarlo e se ciò è avvenuto per opera degli Ebrei — ebbene, può dirsi che nessun popolo al mondo ebbe una missione storica così universale! I “signori” sono liquidati: la morale dell’ “uomo comune” ha trionfato. La liberazione del genere umano è a buon punto — tutto si giudaizza, cristianizza, plebeizza e questo processo dell’avvelenamento attraverso il corpo dell’Umanità sembra irresistibile». (Op. Cit. pag. 15).
Colla caduta di Roma, scompare una società di dominatori — l’unica forse — da che gli uomini lasciarono ai posteri memoria degli avvenimenti che si svolsero sulla superficie del nostro pianeta. E Roma sentì nell’Ebreo qualche cosa come la contro-natura stessa, come il suo antitetico mostro — (Op. Cit. pag. 34). Ma chi riportò le palme della vittoria in questa lotta suprema? Roma o Giuda?
«Per saperlo — aggiunge tristemente Nietzsche — basta guardare davanti a chi come alla sintesi dei più alti valori ci s’inchina oggi in Roma, e non solo in Roma, ma dovunque l’uomo è addomesticato o vuol diventarlo — davanti a tre ebrei e a un’ebrea: Gesù di Nazareth, il pescatore Pietro, il fabbricante di tappeti Paolo e Maria, la madre di Gesù».
Nietzsche è ancora e sempre decisamente anticristiano. Altrove ha proclamato il cristianesimo l’immortale stigmata d’obbrobrio dell’umanità. Nel libro Così parlò Zarathustra (Edit. Bocca — Torino) troviamo questi versi che a qualcuno sembreranno strani e che ci piace ad ogni modo di riportare:
Nel primo anno, cred’io, di grazia, un dì
La Sibilla ebbra, e non di vin, così
Parlò «le cose volgon molto male
Mai cadde il mondo in basso in guisa tale!»
Iddio si fece ebreo, imbestiò
Cesare, e Roma putta diventò.
Per comprendere questo feroce anticristianismo Nietzschiano, dobbiamo esaminare alcun poco il «mondo interno» di Nietzsche. Egli era profondamente antitedesco. Negli ultimi tempi immaginò un albero genealogico della sua famiglia in cui gli antenati erano nobili polacchi — Nietzschy — da cui il verdeutscht Nietzsche. La gravità teutonica e il mercantilismo inglese erano ugualmente indigesti all’autore di Zarathustra. Forse il suo Anticristo è l’ultimo portato di una violenta reazione contro la Germania feudale, pedante, cristiana. In faccia al popolo che beve colla stessa avidità insaziata e la birra e la Bibbia — in faccia ai lattiginosi teologi del Nord — Nietzsche proclama la bancarotta divina e scioglie un inno per chi sarà così «uomo» da diventare «l’assassino di Dio». Già prima di lui, un altro genio egualmente antitedesco, consigliava gli uomini di lasciare il paradiso agli angeli e ai passeri e di amare la terra che deve dare a tutti i figli suoi e rose e mirti e bellezza e piaceri e piselli, piselli dolci non appena si sgranano i gusci.
Ma un’altra ragione ben più profonda inspirava a Nietzsche la sua campagna anticristiana. Col cristianesimo è la morale della rinuncia e della rassegnazione che trionfa. Al diritto del più forte — base granitica della civiltà romana — succede l’amore del prossimo e la pietà. Dal giorno in cui Massenzio vide le sue legioni sgominate sulle rive del Tevere e Costantino trionfante; dal giorno in cui sui labari di guerra fiammeggiò la croce — i vecchi iddii abbandonarono i loro templi, un soffio di morte spense la giocondità dell’olimpo pagano, e il Nazzareno dalle rosse chiome ascese il Campidoglio. Quando Giuliano l’apostata volle tentare un ritorno all’ellenismo, era ormai troppo tardi. E per 20 secoli la fo...

Indice dei contenuti

  1. LA VIRTÙ DELL’ATTESA
  2. LA GENTE NUOVA
  3. DEMOCRAZIA PARLAMENTARE
  4. OPINIONI E DOCUMENTI
  5. KARL MARX
  6. SOCIALISMO E SOCIALISTI
  7. SOCIALISMO E SOCIALISTI
  8. TI SVIRGOLO!!!
  9. LA FILOSOFIA DELLA FORZA
  10. CENTENARIO DARWINIANO
  11. LA COMUNE DI PARIGI
  12. «LA VOCE»
  13. MEDAGLIONI BORGHESI
  14. MEDAGLIONI BORGHESI
  15. LO SCIOPERO GENERALE E LA VIOLENZA
  16. IL PROLETARIATO HA UN INTERESSE ALLE CONSERVAZIONI DELLE PATRIE ATTUALI?
  17. LA DISOCCUPAZIONE
  18. MEDAGLIONI BORGHESI
  19. AL LAVORO!
  20. COMMENTO AL NOSTRO CONGRESSO
  21. [L’ALTRO GIORNO SI È CHIUSO A ROMA]
  22. POLEMICHETTA IN FAMIGLIA
  23. SEMINATORI DI ODIO: NOI O VOI?
  24. ALLA VIGILIA DEL NOSTRO CONGRESSO NAZIONALE
  25. ALLA VIGILIA DEL NOSTRO CONGRESSO NAZIONALE IL PROBLEMA DELL’«AVANTI!»
  26. ESAME DI COSCIENZA
  27. DOPO IL CONGRESSO DI MILANO
  28. TRA L’ANNO VECCHIO E IL NUOVO
  29. PROFETI E PROFEZIE
  30. GLI UNITARI
  31. OSARE!
  32. «SE MI ASSOLVERETE MI FARETE PIACERE, SE MI CONDANNERETE MI FARETE ONORE»