Città nascoste - Trieste, Livorno, Taranto
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Città nascoste - Trieste, Livorno, Taranto

Trieste, Livorno, Taranto

  1. 192 pagine
  2. Italian
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Città nascoste - Trieste, Livorno, Taranto

Trieste, Livorno, Taranto

Informazioni su questo libro

Con la prefazione di Alessandro LeograndeUna discesa verticale dentro tre città, una sorta di immersione profonda in tre luoghi di mare: Trieste, Livorno e Taranto. Città distanti tra loro ma che sembrano scritte dallo stesso sceneggiatore, con un passato che ha non poche similitudini e la necessità di inventarsi un futuro. Un reportage narrativo a due voci, quelle di Paolo Merlini e Maurizio Silvestri, viaggiatori che utilizzano per i loro spostamenti unicamente mezzi pubblici.C'è stato un momento in cui Trieste, Livorno e Taranto non erano Città nascoste, oggi però questi luoghi si lasciano alle spalle una notorietà e una prosperità economica legate a un'industria fiorente o alle fortune commerciali di un porto; e ora, esaurito il filone buono, hanno un futuro tutto da inventare per uscire dal cono d'ombra in cui sono finite. Un futuro questa volta più vicino alle proprie radici, un'identità legata alla loro bellezza, ai luoghi, alla tradizione e anche, perché no, alla cultura del cibo e del vino.Il libro conduce alla scoperta delle tre città; ma è soprattutto un viaggio "altro", che rivela le ragioni che dovrebbero spingere il viaggiatore a farvi tappa, a scoprirle o riscoprirle.TRIESTE, in balìa dei suoi venti fin dentro le librerie e i caffè carichi di storie, il tram di Opicina, il Carso e i suoi vini austeri, i profumi d'Oriente.LIVORNO, la sua identità multiculturale, la città dei "5 e 5" al mercato vecchio, del "popolo del Basaglia" con il suo Atelier Blu Cammello, del cacciucco davanti al mare, degli chansonnier maledetti.La luce sconvolgente di TARANTO, la città vecchia, le battaglie per la Riserva Naturale, per un teatro nel cuore del rione Tamburi, la ripresa dell'allevamento delle cozze, cibo identitario della città.

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Informazioni

eBook ISBN
9788898848867
Categoria
Viaggi
LIVORNO
Le città sono personaggi. Sono come vecchi amici. Ti senti malese non li vedi per troppo tempo. Devi andarli a trovare.
Wim Wenders
VIAGGIO D’AUTUNNO
Che ci faccio qui? Seduto sull’unica panchina sotto un ippocastano ciclopico davanti alla vecchia stazione di Volterra Saline, penso. Nemmeno un gatto randagio a farmi compagnia, il cielo azzurro grigio tra i rami ormai quasi del tutto spogli, le foglie a terra, il silenzio della controra disturbato solo dalle ultime auto che sulla provinciale 68 corrono verso una tavola apparecchiata. Io ho già mangiato al bar del paese. In quello che un tempo era il dopolavoro delle saline mi sono fatto preparare un robusto panino con formaggio pecorino e ho scambiato due parole con alcuni operai in pausa pranzo. Mi dicono che le famose saline di Volterra, che già gli antichi romani sfruttarono abbondantemente, sono state privatizzate diversi anni fa. Adesso ci lavorano solo quaranta operai contro i trecento dei tempi belli del Monopolio di Stato. Obietto che sicuramente si estraeva più sale. «Macché, se ne estrae molto di più ora! Hai capito perché l’Italia è in crisi?». Ho poco da ribattere. Sullo schermo della tv, sistemato sopra lo scaffale delle patatine fritte, scorrono le immagini di Parigi scioccata dagli attentati dell’Isis. Quando esco in bacheca vedo manifesti di solidarietà per i lavoratori della Smiths Bits, multinazionale americana di Volterra. Di fianco al bar c’è lo storico e ben restaurato Palazzo dell’Orologio, sede delle saline. Mi dicono che non c’è niente da vedere, non c’è più niente di poetico oggi nell’estrazione del sale che avviene meccanicamente con un processo idrico.
In compenso proprio dietro lo stabilimento ci sono gli ultimi mozziconi dei binari della vecchia ferrovia che portava da Volterra a Saline. Al posto della ferrovia oggi ci sarebbe un percorso di trekking e biking che parte dalla vecchia stazione di Volterra. Sull’autobus ho chiesto lumi sulla ferrovia a un’anziana signora dal volto bello e colorito. «Sì, c’era la ferrovia, ma io non ci so’ mai montata! Poi immaginà da quanto tempo ‘un c’è più». In effetti poi ho scoperto che è stata dismessa negli anni Sessanta. Era un tratto di appena una decina di chilometri che ruspava tra colline ondulate, cipressi e ulivi, ma dalla pendenza micidiale visto che c’era voluta la cremagliera per portare il treno lassù fino ai 500 metri di Volterra, che per inciso è una piccola meraviglia e si sarebbe meritata più del tempo di un cambio tra il bus da Colle Val d’Elsa e quello per Saline.
Qualcosa si muove all’orizzonte, arriva una corriera blu della Sita che deposita davanti alla stazione un nugolo di ragazzi. La maggior parte se ne va a casa verso il paese, si rimane solo in cinque ad aspettare sul piazzale. Finché eccola che arriva la signorina ALn 668, l’ultima littorina che fa ancora servizio da Volterra fino a Cecina, sul Tirreno. Leggo che è stata fabbricata nel 1982. Il capotreno più scanzonato e felice che abbia mai incontrato invita a bordo, ché si parte immediatamente. Strombazza e annuncia la partenza addirittura in inglese, uno sbuffo di gasolio e via. È per questo che dovevo trovarmi qui, penso. Mentre mi controlla il biglietto gli domando se Volterra si trova in provincia di Pisa o di Livorno. «Volterra sta per conto suo, non è né pisana, né livornese. È etrusca!».
Ponte Ginori, case di mattoni rossi e un lindo ordine di stampo scozzese, la stazione vale da sola una visita. Sugli archi in mattoni rossi delle porte conserva le scritte originali in lettere blu scuro: “Capo Stazione” e “Sala d’aspetto” mentre di fianco c’è una piccola dependance con la scritta “Ritirate”. Non si difettava in stile una volta.
Stazione di Casino di Terra, case zero, solo fossi e canneti. Verde, giallo e marrone. È una ferrovia bucolica dal sapore eccitante e dolce.
A Riparbella realizzo che posso perfino aprire il finestrino per salutare un cane acciambellato sulla porta della stazione. Assaporo il piacere dimenticato di affacciarmi e scattare una foto, quasi mi fumerei pure una sigaretta.
L’incantesimo finisce quando ci si avvicina all’arrivo e si intravedono le sagome di fabbriche e capannoni. Stazione di Cecina, fine corsa. D’ora in poi basta ferrovia, si va in corriera, queste sono le indicazioni di Paolo, il mio “esperto di vie traverse”. L’autista stava aspettando giusto me, faccio al volo il biglietto all’automatico e mi ritrovo diretto a nord sulla vecchia statale Aurelia. La piccola Vada, la chimica Rosignano Solvay, l’esclusiva Castiglioncello, la pittoresca Quercianella, pinete ventose e deserte intervallano i paesi della Costa degli Etruschi. La strada sale, il Tirreno lo vedo sempre più in basso, liscio, senza una grinza, impeccabile nei suoi toni di grigio. All’orizzonte si intravede una sagoma fantasmatica. «È l’isola di Gorgona», mi svela pronto l’autista. Ormai ci siamo, mi pervade la leggera euforia di ogni arrivo in una città nuova. Canticchio tra me e me una delle canzoni più belle di Bobo Rondelli, “Viaggio d’andata senza ritorno. Bella Livorno, mi fermo qui”.
Il premio Ciampi val bene un viaggio a Livorno. Ogni autunno, da oltre venti anni, Livorno ha il merito di ospitare una rassegna musicale e dedicare un premio a uno dei suoi figli maledetti, Piero Ciampi. Il premio Ciampi Città di Livorno sulla carta è un concorso musicale che premia un giovane artista al suo esordio, di fatto è l’occasione per assistere a concerti unici che hanno visto transitare sul palco del teatro Goldoni tutto il meglio della canzone d’autore italiana. Il libro del ventennale, intitolato semplicemente Premio Ciampi, curato dal direttore artistico e fondatore del premio Franco Carratori, è testimonianza di un encomiabile lavoro svolto al servizio della musica e della città, capace di dare nuova vita all’eredità artistica di un genio della musica italiana. Inoltre in piena coerenza con la filosofia di premiare artisti sempre in bilico, capaci di giocare vicino al margine, in grado di comporre versi non levigati e di andare dritto al cuore con un coraggio che sfiora la disperazione, l’Associazione ha istituito un premio riservato alle arti visive, il premio Ciampi L’altrarte, e uno dedicato alla poesia, Valigie Rosse.
Quando scendo al capolinea in piazza Grande, compro una copia de «Il Vernacoliere» per sincronizzarmi con l’umore della città. La verve dello storico mensile livornese di satira è sferzante come sempre. Però io a Livorno non ho altra pista da seguire che quella ciampiana. Manifesti relativi al premio in giro per la città non se ne vedono, ma dal programma che ho scaricato in rete ho visto che durante la settimana, oltre ai concerti nei teatri cittadini, sono previste delle cene concerto in alcune osterie popolari di Livorno. Alla portineria dell’albergo dove sono sistemato chiedo come arrivare alla Cantina Senese, in Borgo Cappuccini, quartiere popolare al di là dei Fossi. Quando arrivo è già buio, ma è ancora presto per la cena. Nella sala vuota due ragazzi, che hanno tutta l’aria di essere gli artisti della serata, stanno discutendo a un tavolo con al centro un fiasco di vino e un mazzo di carte. L’oste è sulla porta, si chiama Fabio, mi racconta che il nome dell’osteria non ha nulla a che vedere con la cucina di Siena, ma hanno voluto mantenere il nome originario dell’osteria che era lì da oltre ottanta anni. Il vecchio bancone di marmo, i ritratti alle pareti, le grandi mensole di legno su cui sono sistemate centinaia di bottiglie di vino stanno a testimoniare una cura per la tradizione che mi ispira molta fiducia. Appena gli racconto che mi sono fatto un viaggio solo per essere lì stasera mi fa quasi una festa, e mi sistema al tavolo di famiglia vicino al bancone con alcuni amici che collaborano all’organizzazione del premio Ciampi. Non avrei potuto chiedere di meglio.
Dopo un po’ mi ritrovo seduto al tavolo con Stefano, Riccardo, Alessandra, Emiliano, Silvia e altri. Volti e nomi sconosciuti ma subito familiari. Sono artisti, scrittori, musicisti, ma soprattutto uomini e donne di Livorno uniti dall’amore per l’arte. Sono accolto con grande calore, mi sento come un viandante in un vecchio pub dublinese dove entri da solo per farti una pinta al banco e dopo mezz’ora ti ritrovi seduto a un tavolo nel centro del vortice delle storie della città, accolto come uno di famiglia. A tavola inizio a scoprire il sapore della cucina popolare livornese, assolutamente non convenzionale, con le alici alla poverella, il bordatino (zuppa di fagioli, farina gialla e cavolo nero), e la francesina alla livornese, il tutto corroborato da fiaschi di vino rosso. In un ambiente di grande calore e suggestione Francesco Mugnari e Simone De Fazio, due voci e una chitarra, non si risparmiano e interpretano con intensa partecipazione poesie e canzoni di Piero Ciampi. Nella sala strapiena l’energia è quella giusta, la poesia libera fa breccia nel cuore di tutti i presenti, che partecipano e accompagnano le canzoni.
È un’atmosfera in cui sembra davvero di incontrare lo spirito più lirico di Piero Ciampi ma anche quello di una poetessa altrettanto à la marge come Alda Merini che ha scritto “A me piacciono gli anfratti bui delle osterie dormienti, dove la gente culmina nell’eccesso del canto”.
Quando siamo al famoso ponce livornese, la chitarra arriva al nostro tavolo e Alessandra Falca non si fa pregare per cantare con una voce graffiante Sul porto di Livorno. Quando ci salutiamo siamo già amici, ma non di quelli per una sera soltanto. Cammino solitario nel cuore della notte lungo i fossi per tornare in albergo, ho il taccuino pieno di nomi e numeri di telefono da contattare l’indomani ma soprattutto ho il cuore gonfio di un’infantile felicità. Il battesimo con Livorno è stato un battesimo ciampiano.
Due voci e una chitarra, non si risparmiano e interpretano con intensa partecipazione poesie e canzoni di Piero Ciampi.
Foto di Maurizio Silvestri
LIVORNO FUORIROTTA
È strano come certi luoghi restino lì ad aspettarti fino al giorno in cui, non si capisce bene per quale congiunzione di astri, ci arrivi e te ne innamori perdutamente.
È notte fonda e aspetto il bus sul ciglio della statale. Un po’ mi sento come Kerouac al capolinea della 242a strada.
No, non sono Kerouac, infatti sono sobrio e molto più semplicemente aspetto il Roma Marche Linee bus per Roma, proprio qui appoggiato alla palina di fronte al civico 5 di corso Mazzini che poi, per dirla tutta, sarebbe uno dei nomi che prende la Statale 16 Adriatica quando attraversa il mio paese. Mi sento solo come il Kim di Kipling all’ingresso della stazione di Lucknow, il bus non si vede e io penso ai fatti miei. Tutto questo per me è già viaggio!
Il cacciucco è morto? Il Mau è partito ieri alla volta del porto labronico per verificare personalmente ed eventualmente prendere parte alle esequie. Invece io, da bravo padre di famiglia, abituato ad anteporre il dovere, cioè il lavoro, al piacere, ho deciso di partire col bus notturno delle 2.55 che poco dopo le 6 promette di lasciarmi all’autostazione Tiburtina, perché raggiungerò Livorno col treno. Arriva il bus, è ben riscaldato e i pochi passeggeri sonnecchiano. Salgo a bordo, mi assopisco e dormicchio fino a destinazione.
ELOGIO DELLA FERROVIA TIRRENICA
Il biglietto del regionale Roma-Livorno, 316 chilometri, costa qualche centesimo in più di ventidue euro. Già pregusto il lunghissimo viaggio lento. Ci vogliono quasi quattro ore a...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. I viaggi senz’auto
  3. CITTÀ NASCOSTE
  4. Colophon
  5. Dedica
  6. Esergo
  7. Prefazione di Alessandro Leogrande
  8. TRIESTE
  9. LIVORNO
  10. TARANTO
  11. Bibliografia
  12. Ringraziamenti
  13. Il libro
  14. Gli autori
  15. Indice
  16. Nella stessa collana