
- 152 pagine
- Italian
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Etica dell'interpretazione
Informazioni su questo libro
«Nella misura in cui l'ermeneutica si riconoscecome provenienza e destino, come pensierodell'epoca finale della metafisica e cioè del nichilismo, essa può trovare nella "negatività ", nel dileguarsicome "destino dell'essere" – il quale si dà non come presenza dell'arché ma solo come provenienza –quel principio orientativo che le permette di realizzarela propria originaria vocazione etica senza restaurarela metafisica né abbandonarsi alla futilità di una relativistica filosofia della cultura.»
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Informazioni
1. POSTMODERNITÀ E FINE DELLA STORIA
Una delle caratterizzazioni più generalmente accettate della postmodernità , è, forse, quella che la vede come la fine della storia.
C’è, ovviamente, in questa caratterizzazione, anche un certo tono apocalittico, che viene accentuato specialmente nelle interpretazioni di sinistra del postmoderno; e ciò accade sia che tali interpretazioni lo rifiutino polemicamente – è il caso di Habermas – sia che abbraccino la sua causa come nuova chance di una «emancipazione» che non ha più nulla a che fare con i vecchi ideali umanistici, ma che, comunque, rappresenta una alternativa positiva – è la posizione di Lyotard. Ma non tutti coloro che parlano di postmoderno accettano questa connotazione apocalittica; e anche il significato di «fine della storia» che si annette all’espressione viene interpretato, o, per così dire, «declinato», in modo diverso. Le due posizioni che, in modo diametrale, si contrappongono generalmente su questo tema, e cioè quella di Lyotard1 e quella di Habermas2, condividono, in realtà , la stessa descrizione della postmodernità , e divergono soltanto nella valutazione del fenomeno: entrambe infatti lo descrivono come il venir meno dei grandi «metarécits» che legittimavano l’iniziativa storica dell’umanità sulla via dell’emancipazione, e il ruolo di guida degli intellettuali in essa; questo per Habermas è una sciagura, l’imporsi di una mentalità conservatrice, che ha rinunciato al progetto dell’Illuminismo, identificato con il progetto della modernità ; invece per Lyotard – che segue in ciò Nietzsche, Heidegger, e più recentemente, Foucault – rappresenta un passo sulla via della liberazione dal soggettivismo e umanismo moderni, cioè dall’ideologia del capitalismo, dell’imperialismo ecc. In tutti e due questi casi, «fine della storia» significa fine dello storicismo, cioè della concezione delle vicende umane come inserite in un corso unitario dotato di un senso che, nella misura in cui viene riconosciuto, si svela come un senso di emancipazione. La storia, intesa in questo modo, finisce perché – dice Lyotard – «chacun des grands récits d’émancipation à quelque genre qu’il ait accordé l’hégémonie, a pour ainsi dire été invalidé dans son principe au cours des cinquante dernières années…»3. Per Lyotard la razionalità del reale è stata «confutata» da Auschwitz; la rivoluzione proletaria come recupero della vera essenza umana è stata «confutata» da Stalin; il carattere emancipativo della democrazia è stato «confutato» dal maggio ’68; la validità dell’economia di mercato è stata «confutata» dalle crisi ricorrenti del sistema capitalistico…4 I «grandi racconti», quelli che non si limitavano a legittimare in senso narrativo una serie di fatti e comportamenti, ma che nella modernità e sotto la spinta di una filosofia scientista5 hanno cercato una legittimazione «assoluta» in una struttura metafisica del corso storico, hanno perduto credibilità . Questa perdita per Lyotard è irrimediabile, e indica il fallimento del progetto moderno – un fallimento, che, si sottointende, non è poi un gran male, perché, in realtà , questi «metaracconti» legittimanti sono sempre stati delle violenze ideologiche.
L’obiezione di Habermas è che il fallimento dei progetti emancipativi della modernità – che egli vede più unitariamente articolati intorno a quello dell’Illuminismo – non li invalida nel loro fondamento teorico; la «prova» di ciò, tuttavia, non è, in Habermas, teoricamente cogente: si limita, in fondo, a segnalare che, senza un «metaracconto» forte, che si sottragga alla dissoluzione e demistificazione dello storicismo, questa dissoluzione e demistificazione perde senso, non si può nemmeno pensare. La «critica dell’ideologia», insomma, non può sboccare in una «critica della critica», come, in fondo, vuole Nietzsche.
Il problema, in fondo, è se anche la storia della «fine della storia» possa o no valere come un racconto – o un «metaracconto» – legittimante, indicante compiti, criteri di scelta e di valutazione, e dunque ancora un qualche corso di azione dotato di senso. Per Habermas, la dissoluzione dei «metarécits» ha senso solo se uno di essi si eccettua, il che, in fondo, toglie alla dissoluzione dei «metaracconti» il senso catastrofico di fine della storia; la storia non può finire se non finisce l’umano (cioè l’ideale dell’emancipazione). Per Lyotard, la dissoluzione dei «metaracconti» è completa; ma il motivo per cui essa è considerata tale, è «davvero» tale, si sottrae davvero alla forza altra volta attribuita ai «metaracconti»? Che cosa significa affermare che i «metaracconti» sono stati invalidati, se non proporre a propria volta un «metaracconto»? Questo, però, nella mis...
Indice dei contenuti
- PREFAZIONE
- 1. POSTMODERNITÀ E FINE DELLA STORIA
- 2. SECOLARIZZAZIONE DELLA FILOSOFIA
- 3. ERMENEUTICA NUOVA KOINÉ
- 4. ermeneutica e secolarizzazione
- 5. UTOPIA, CONTROUTOPIA, IRONIA
- 6. LA CRISI DELLA SOGGETTIVITÀDA NIETZSCHE A HEIDEGGER
- 7. L’ERMENEUTICA E IL MODELLO DELLA COMUNITÀ
- 8. DALL’ESSERE COME FUTUROALLA VERITÀ COME MONUMENTO
- 9. IL DISINCANTO E IL DILEGUARSI
- 10. ETICA DELLA COMUNICAZIONEO ETICA DELL’INTERPRETAZIONE?
- Etica come orientamentoEmilio Carlo Corriero