capitolo quarto
Indigenismo, anarchismo e femminismo
Una nuova cornice per l’esplorazione di futuri post-imperiali
di Jacqueline Lasky
Introduzione
Nonostante da più parti si affermi che siano ormai del tutto superati, il colonialismo e l’imperialismo continuano a essere profondamente radicati all’interno dei numerosi e spesso sanguinosi conflitti che affliggono il mondo contemporaneo. La realizzazione di un mondo più giusto e pacifico richiede quindi un’analisi di questi rapporti di potere attraverso la raffigurazione di futuri post-imperiali dell’ordine politico globale. Molti intellettuali hanno criticato i rapporti di potere derivanti dal sistema westfaliano degli Stati-nazione sovrani da diversi punti di vista quali il post-modernismo, il femminismo e i Cultural studies, rivelandone le pratiche ideologiche e discorsive costitutive, nonché le strutture di genere e le gerarchie a esso connaturate1. I fautori di un approccio critico alle relazioni internazionali hanno proficuamente accantonato l’opposizione binaria tra esterno e interno, riducendo la distanza tra globale e locale e documentando la correlazione tra la statualità, la costruzione della nazione e un sistema interstatale in continua creazione e contestazione. Molte femministe continuano inoltre a dimostrare come (neo)colonialismo e (neo)imperialismo siano tuttora saldamente radicati nei progetti interconnessi di patriarcato, razzismo e capitalismo2.
Un approccio che non è stato ancora considerato con la dovuta attenzione è rappresentato dall’indigenismo il quale, riconfigurando le relazioni internazionali, e sfidando le gerarchie (neo)coloniali proprie dello Stato e del sistema interstatale, rivela i legami creativi esistenti tra battaglie locali e reti transnazionali in quanto attuazioni di auto-determinazione3. È tuttavia importante notare come la particella auto- non stia qui a indicare l’individuo sovrano e il termine nazione non si riferisca allo specifico corpo politico proprio dell’immaginario tradizionale delle scienze politiche occidentali. L’indigenismo propone infatti un registro per concepire le relazioni all’interno di scenari locali e globali del tutto diverso. Inoltre, se la problematica dell’«anarchia» è stata centrale nei dibattiti sulla politica mondiale, l’anarchismo invece come approccio teorico e pratica politica è stato pressoché ignorato nel più generale studio della politica globale e questo a dispetto dell’interessante produzione accademica circa la sua rilevanza, tanto storica quanto attuale, rispetto alle pratiche di governance democratica e ai movimenti sociali di massa4.
Concentrandosi su tali aree della teoria politica, ancora non adeguatamente approfondite, i contributi presenti nel numero di «Affinities Journal» intitolato Anarch@Indigenism5 esplorano le intersezioni fra tre tradizioni, ben radicate e tuttavia spesso prese in analisi singolarmente, ovvero anarchismo, indigenismo e femminismo, nonché il potenziale pratico in esse contenuto6. Sebbene l’anarchismo si concentri generalmente sul capitalismo e sulla forma dello Stato, l’indigenismo sul razzismo e sulla decolonizzazione/anti-imperialismo e il femminismo sulle relazioni di genere e sul patriarcato/eterosessimo, ciascuno di essi affronta anche le questioni centrali degli altri confrontandole con le rispettive analisi. L’interazione tra queste diverse tradizioni, alla quale alcuni hanno dato il nome di «anarco-indigenismo»7, dà luogo a un’analisi intersezionale, promuovendo una prassi atta a de-centrare e dis-fare forme di oppressione lungo diversi assi. In altre parole, l’anarco-indigenismo tenta di unire idee e visioni critiche di futuri post-imperiali secondo modalità non-gerarchiche che destabilizzino8 le autorità statali, prevedano una molteplicità e pluralità di modi di essere al mondo e rispettino l’agency autonoma della personalità collettiva9.
Tale dimensione intersezionale di indigenismo, anarchismo e femminismo risulta particolarmente significativa nel campo dei Global studies, e in particolare nelle sue correnti critiche, per almeno tre ragioni. In primo luogo, la fine della guerra fredda, l’attuale «guerra al terrore», l’intensificazione del capitalismo globale, l’incremento nell’uso delle tecnologie di comunicazione (tra le altre) e le rivolte democratiche in Medio Oriente e Nord Africa mostrano come quella contemporanea sia indubbiamente un’epoca di profonda transizione10 e ciò che viene definito anarco-indigenismo offre un nuovo quadro teorico e una nuova prassi idonei a penetrare questo terreno transitorio in maniera trasversale. In secondo luogo, sebbene le perenni tensioni tra universale e particolare, «noi» e «loro», le distinzioni di genere tra uomo e donna, le barriere interne e quelle tra comunità politiche continuano a essere violentemente contestate, esse sono al contempo rese apparentemente irrilevanti dall’esistenza di realtà ibride11. Oltre a contemplare modi di essere al mondo molteplici e plurali, l’analisi non-gerarchica e intersezionale formulata dall’anarco-indigenismo mostra possibilità per negoziare tali tensioni secondo modalità più eque e adeguate alle realtà di un mondo condiviso come quello in cui viviamo. In terzo luogo, sulla scia della fondamentale opera di Michel Foucault, è di vitale importanza comprendere come, all’interno delle forme di governamentalità del nostro tempo, il potere circoli attraverso una molteplicità di relazioni e intersoggettività prodotte, riprodotte e continuamente contestate12. In quanto luogo di resistenza ed empo...