«Lo stupore di Dio»
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«Lo stupore di Dio»

Vita di papa Luciani. Nuova edizione 2019

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«Lo stupore di Dio»

Vita di papa Luciani. Nuova edizione 2019

Informazioni su questo libro

NUOVA EDIZIONE RIVISTA & AMPLIATA 26 agosto-28 settembre 1978: durò un lampo il pontificato di Giovanni Paolo I, ma quei pochissimi giorni furono sufficienti a rapire il cuore di milioni di fedeli affascinati dal suo sorriso contagioso, dalla sua semplicità, dall'immediatezza dei suoi racconti aneddotici. In queste pagine si delinea un completo itinerario biografico di Albino Luciani, che ci svela i segreti di un uomo semplice e di umili origini che, spendendosi con generosità e intelligenza nel suo ministero, è stato chiamato a servire l'umanità e la Chiesa come successore di Pietro.

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Informazioni

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Canale d’Agordo

paese natale di Albino Luciani

 
 
 
 
 
Forno di Canale, come si chiama fino al 1964, quando diviene Canale d’Agordo, a 926 metri sul livello del mare è il paese natale di Albino Luciani, futuro papa Giovanni Paolo I. Si estende su un declivio tra la sponda destra del torrente Biois e quella sinistra del Liera. La valle, che comprende altri paesi simili o più piccoli, non era abitata prima dell’anno Mille. Solo in seguito si ebbero i primi insediamenti, di origine pastorale prima e stanziale poi. Degli influssi linguistici ed etnici di ceppo ladino ci sono ancor oggi tracce vive: uno proveniente da nord, da Fodom, tramite Rocca Pietore e San Tomaso Agordino, un altro da ovest, dal Trentino, attraverso il Passo San Pellegrino e un terzo dalla pianura bellunese, tramite le strade sulla destra del torrente Cordevole. Rocca Pietore è il comune più alto dei tre che si spartiscono geograficamente l’intera vallata. Il mediano è Canale d’Agordo, il più basso Vallada.
«Fino al 1930», scrive Ferruccio Mazzariol, «il Biois era torrente di fluitazione (menada). L’acqua non bastava, nel suo alveo normale, a smuovere i tronchi, intervenivano allora i menadass (gli addetti alla fluitazione) a creare piccole dighe. Il corso irrobustito trascinava con forza, spostando a valle, il legname che giungeva fin quasi al centro di Agordo. I menadass disincagliavano gli abeti e i larici tagliati, servendosi di una lunga pertica munita di una punta ferrata anghier e di un altro arnese denominato thapin. Essi costituivano il sottoproletariato della valle del Biois, sopportando una vita agra e quasi avventurosa. Molti morivano a causa della pericolosità del loro mestiere, malpagato, come testimoniano i documenti parrocchiali, obbligatori a partire dal Concilio di Trento. La valle, oggi rustica e aperta, ma anche raffinata e turistica, specialmente nella parte più alta ha la sua fisionomia particolare che inizia a configurarsi intorno al Duecento, quando la proprietà dei terreni, tolte le servitù al vescovo di Feltre, passa nelle mani dei contadini e si formano i masi isolati. Autosufficienti. La famiglia è patriarcale e i figli vivono sotto lo stesso tetto dipendendo dall’autorità del patriarca. Con la legislazione napoleonica, il maso, che comprende la fattoria di montagna, i poderi a pascolo, le colture e il bosco, viene spezzato e suddiviso tra tutti i figli. La proprietà si polverizza, soprattutto dopo il 1866, quando anche la valle del Biois viene a far parte con il Veneto del Regno d’Italia. Nasce così un’agricoltura della miseria, che costringerà molti a emigrare»1.
È il 30 dicembre 1889. Il Parlamento italiano approva una legge sull’emigrazione. È il primo testo organico voluto dal governo Crispi. Riconosce la libertà di emigrare, favorendo il fenomeno come rimedio alla sovrappopolazione e alla povertà di certe regioni, purché chi espatria sia in regola con il servizio di leva. È il caso del Bellunese. Fabbri e segantini, braccianti e manovali, scalpellini e venditori ambulanti «invadono» Austria e Ungheria. Partono per la Croazia e la Romania, la Germania e la Svizzera, il Belgio e l’Olanda, la Francia e gli Stati Uniti.
L’emigrazione, però, non riguarda soltanto ristrette fasce di popolazione. Il fenomeno diventa di massa. Abitanti di interi paesi della Valbelluna e del Feltrino, con il parroco in testa, lasciano la loro terra per andare in cerca di fortuna. Sono gli anni del boom del caffè di San Paolo. In Argentina si fonda persino una città turistica: San Carlos de Bariloche. 
In California i coniugi Zannini di Sovramonte, un comune in provincia di Belluno, scoprono l’oro, ma vengono travolti dalla sfortuna. Sui tralicci per costruire i grattacieli di New York sono impegnati i muratori bellunesi, ma sono presenti anche nella costruzione della ferrovia transiberiana, della galleria del San Gottardo e del Sempione, del ponte di Budapest. Gli emigranti sono 26.500, di cui 12.158 stagionali, quasi tutti prestano lavoro all’estero. In quell’anno sono rilasciati 9.698 passaporti e in qualche paese la «fuga» supera il 40 per cento dei residenti.
Nella seconda metà del diciannovesimo secolo si verifica una vera e propria emorragia di forze e di cervelli verso la Germania e i paesi dell’Impero Austro-Ungarico; i migranti saranno impiegati nella costruzione di ferrovie, come maestri d’ascia, o troveranno lavoro in zone più ricche d’Italia.
Nella penisola intanto l’economia inizia a decollare, in particolare nei settori metallurgico, meccanico, chimico ed elettrico. La banca più attiva è quella Commerciale, l’istituto di credito a capitale italo-tedesco. Sostiene quasi tutte le iniziative delle principali aziende, in particolare della nascente industria elettrica. Viene costituito un consorzio per le utilizzazioni delle forze idrauliche del Veneto. L’obiettivo è quello di costruire una grande centrale elettrica sul Cellina, fiume che scorre al confine tra Friuli e Veneto. Il capitale iniziale è di sei milioni. La Comit, la Banca Commerciale Italiana, tramite una sua finanziaria per lo sviluppo delle imprese elettriche in Italia, sovvenziona anche la costruzione degli impianti di Malnisio (entrati in funzione nel 1905) e di Giais (1908); entrambi alimentano la città di Udine. 
Nel Veneto c’è un imprenditore che intravede un’importante opportunità nel settore dell’elettricità. È il veneziano Giuseppe Volpi. Nel gennaio del 1905, raduna attorno a sé, oltre ad alcuni concittadini, anche il trevigiano Ruggero Revedin e il padovano Amedeo Carinaldi e dà vita alla Sade, la Società Adriatica di Elettricità. Il capitale iniziale è di 300mila lire. Volpi prende contatto con i proprietari dei piccoli insediamenti sorti nelle varie zone del Veneto. Rileva le aziende e stringe accordi con i grandi gruppi e la società Cellina. La Sade vuole portare l’elettricità dappertutto. Collega gli impianti esistenti attraverso una rete integrata: prima Mestre, seguita da Mira, Stra, Padova e Vicenza. Poi Verona, Treviso, Belluno, Udine, Rovigo, Ravenna, Forlì e Bologna. Il sogno del conte veneziano è quello di elettrificare l’intero versante adriatico della penisola. Si limita, però, solo al Veneto, all’Emilia e in parte alle Marche.
Nel 1900 inizia anche il quattordicesimo anno di vita de Il Gazzettino, giornale fondato il 20 marzo 1887 da Giampiero Talamini. Nato a Vodo, nell’alto Cadore, il 19 febbraio 1845, dopo gli eventi del 1866 parte alla volta di Venezia. Ha poco più di vent’anni, figlio di un maestro elementare, viene avviato alla medesima professione. Di questo periodo della sua vita sappiamo solo che entra nel mondo letterario pubblicando un foglietto quindicinale intitolato La gioventù italiana, che gli offre l’opportunità di avere contatti con numerosi scrittori del tempo. Questa prima esperienza, però, ha scarso successo, come i due settimanali Il Cadore e La voce del Cadore che cesseranno le pubblicazioni per mancanza di lettori. Nel 1876 esce a Venezia il quotidiano politico L’Adriatico, organo della Democrazia Veneta e fondato dall’avvocato Sebastiano Tecchio. Talamini entra a far parte della redazione, ma per dissensi con il direttore, se ne va quasi subito. In lui si fa strada il sogno di diventare editore di un quotidiano popolare, ispirato a ideali patriottico-sociali. Comincia a elaborare l’idea, a partire dal 1885, cercando contatti in tutto il Veneto. A questa nuova iniziativa editoriale impone il nome de Il Gazzettino, non in contrapposizione diminutiva alla storica Gazzetta di Venezia, organo delle classi dirigenti in auge, ma, molto probabilmente, per un riferimento sentimentale al carattere battagliero e alla natura polemica del tramontato Gazzettino Rosa di Milano, già diretto da Achille Bozzoni e Felice Cavallotti.
Allo sviluppo dell’imprenditoria fa riscontro un’organizzazione operaia più vivace, spesso in conflitto con le aziende. Nel novembre del 1901 nasce la Federazione nazionale dei Lavoratori della Terra, meglio conosciuta come Federterra. È la prima vera e grande vittoria dei braccianti. Anche gli edili si riorganizzano e nello stesso periodo nasce la Fiom, la Federazione Italiana Operai Metallurgici e Meccanici. Viene anche costituita la Federazione dei Tessili. Sono anni difficili, ma anche di conquiste e la protesta si estende rapidamente. Il Veneto risponde in maniera diversa da zona a zona. L’adesione quasi totale si registra a Venezia e a Verona. A Padova e a Vicenza, invece, sono le stesse Camere del Lavoro a non aderire allo sciopero. Negli anni successivi, nella regione, gli scioperi sono frequenti. Tra il 1904 e il 1905 incrociano le braccia gli orafi di Vicenza e i portuali di Venezia. Nel 1906 i tessili e nel 1907 i ferrovieri di Verona. Nel frattempo, gli operai inglesi si costituiscono in associazione. I sindacati, nati come confederazioni metallurgiche e tessili, vedono la nascita di una nuova struttura, quella dei minatori. Uno sciopero dei lavoratori portuali di Londra segna l’inizio della grande protesta del mondo operaio. Gli addetti ai servizi dei porti, infatti, incrociano le braccia per oltre un mese e chiedono aumenti salariali e riduzione dell’orario di lavoro.
Anche la Chiesa fa sentire la sua voce. Con l’enciclica Graves de communi Re2, Leone XIII3 si pronuncia a favore dell’impegno sociale dei democratici cristiani.
Sempre all’inizio del Novecento viene assassinato re Umberto I4. L’omicida, Gaetano Bresci, è un anarchico rientrato dagli Stati Uniti con l’intento di assassinare il sovrano. È il 29 luglio del 1900. Il re è a Monza. La folla acclamante gli si stringe intorno. Sono le 22.40 quando Bresci gli spara, uccidendolo.
In Italia, una nuova legge elettorale riconosce il diritto di voto a tutti gli italiani di sesso maschile, con età superiore a 21 anni, purché sappiano leggere e scrivere. Ma queste condizioni non sono sufficienti: bisognava pagare un’imposta di 5 lire all’anno. Sulla scena politica nazionale, intanto, si fa avanti un nuovo personaggio. È Benito Mussolini. Figlio del fabbro ferraio romagnolo Alessandro e della giovane maestra elementare Rosa Moltoni, nasce a Predappio il 29 luglio 1883. Il padre, risoluto esponente dell’internazionalismo romagnolo, sceglie per i suoi tre figli i nomi di tre «esempi di vita». Per il primogenito si ispira a Benito Juàrez, per il secondo ad Amilcare Cipriani, un eroe della spedizione dei Mille, per l’ultimo ad Andrea Costa. Benito, che fisicamente rassomiglia alla madre, ben presto è attratto dalle idee del padre. Sin da giovane, il futuro Duce si richiama a un insegnamento di Nietzsche: «Vivere pericolosamente», che diviene un suo motto di battaglia. Frequenta gli studi con passione. Inizia una nuova attività pubblicistica prima come direttore del giornale L’Avvenire del lavoro di Trento, poi come collaboratore de Il Popolo. Nei suoi articoli si leggono veri e propri attacchi agli agrari, in particolare nei confronti di un giovane leader cattolico, Alcide De Gasperi, direttore del più diffuso quotidiano locale Il Trentino. Lo definisce «pennivendolo», «uomo senza coraggio». Le autorità sono preoccupate per l’atteggiamento di Mussolini e si arriva così a un provvedimento di espulsione dal Trentino firmato dal procuratore Tranquillini. Ritorna a Forlì, dove si unisce a Rachele Guidi. Un’unione «senza vincoli ufficiali, né civili né religiosi».
Nel frattempo, i cattolici si organizzano. I circoli di carattere religioso-culturale si vanno formando in tutto il Paese. Tra questi il Circolo universitario romano san Sebastiano di Giulio Salvatori, che svolge un’importante azione apostolica tra i giovani studenti romani. Non ultimo il Circolo di Pio Molajoni per il rinnovamento della cultura cattolica. In Italia ci sono nuovi fermenti politici, in particolare all’interno del mondo cattolico. La figura più contestata è quella di Romolo Murri, il sacerdote che favorisce la nascita di un movimento cristiano-sociale. La scelta non viene condivisa e papa Pio X lo sospende a divinis, per poi scomunicarlo, dopo la sua elezione al Parlamento. La sua eredità viene raccolta da don Luigi Sturzo, che nel 1919 dà vita al partito popolare italiano.
Nella primavera-estate dello stesso anno, il Parlamento dà il via libera alla riforma elettorale con 284 voti favorevoli e 62 contrari da parte della Camera dei Deputati. Il Senato la approva il 29 giugno con 131 voti favorevoli e 49 contrari. La nuova legge estende il diritto di voto a tutti i cittadini maschi, compresi gli analfabeti, che abbiano compiuto il trentesimo anno di età e ai ventunenni in possesso dei requisiti della precedente legge. Gli aventi diritto al voto passano da 3.329.147 a 8.672.249.
Il 20 luglio del 1903 la Chiesa è in lutto, muore Leone XIII, dopo un pontificato durato venticinque anni. Il mattino del 4 agosto 1903, Giuseppe Sarto viene scelto dai cardinali riuniti in Conclave come successore di Pecci, col nome di Pio X5. Al momento dell’elezione al soglio pontificio ha 68 anni. È nato a Riese, in provincia di Treviso, il 2 giugno 1835 da una famiglia modesta.
Negli anni della nascita di Albino Luciani non esiste ancora la strada agordina, ma sentieri e percorsi accidentati costituiscono le vie di comunicazione per gli abitanti del paese. Falcade, Agordo, Belluno e Feltre sono il mondo verso cui si intrecciano relazioni.
Nei mesi invernali la neve copre ogni cosa fino ad aprile e la natura, con il suo ritmo, regola le condizioni di vita degli abitanti. Pochi i cereali coltivati; qualche mucca, la legna da ardere e le patate costituiscono le risorse dei poveri abitanti, che sono spesso costretti a emigrare. La zona, salvo periodi più floridi per la raccolta e l’impiego del legno e la trasformazione del ferro in chiodi e altri oggetti strumentali, ha sempre offerto una vita difficile sia nell’Ottocento che agli inizi del Novecento, facendosi poi durissima, al limite della sopravvivenza.
Viene ancora ricordata la grande fatica delle donne, che si recavano negli anni Trenta a raccogliere il fieno nelle baite di montagna, con la slitta, a piedi nudi sulla neve, per non bagnare le scarpe di pezza.
La salute delle popolazioni è piuttosto precaria e la vita è breve a causa di epidemie endemiche, dovute alla povertà, alla denutrizione e a malattie professionali. La mortalità è causata soprattutto dalle affezioni alle vie respiratorie e alla tisi. Il territorio agordino è ricoperto per gran parte da fitti boschi di conifere e latifoglie. Ed è proprio dal lavoro nelle foreste e dalla pastorizia che gli abitanti di Canale d’Agordo traggono le maggiori risorse per vivere. Alcuni di loro, però, vengono impiegati in una piccola industria metallurgica per la lavorazione e la fusione delle pepite di ferro ricavate dalle miniere della valle di Gares e di Sais. I forni, secondo le ultime ricerche storiche, furono spazzati via nel 1748 da un’improvvisa piena, di quelle che ancor oggi costituiscono una piaga della montagna dolomitica.
La storia registra altre «nascite illustri». Da ricordare don Antonio Della Lucia6, fondatore della prima latteria sociale cooperativa e uno dei pionieri dell’emancipazione giuridica della donna. Altro nome illustre è il gesuita Luigi Cappello7 che conosce a memoria 12.500 canoni di diritto canonico, la Divina commedia, l’Eneide e, in latino, tutta la teologia morale di sant’Alfonso Maria de’ Liguori. Docente per quarant’anni anni all’Università gregoriana e autore di duecento opere di diritto e teologia, è noto a Roma per le sue alte qualità di «confessore». Di questo servo di Dio è stata avviata di recente la causa di beatificazione.
Da citare, infine, è il parroco di Canale d’Agordo, don Filippo Carli che Albino scelse come modello e guida da seguire.
È un dato di fatto che nella valle del Biois e, in genere, in tutto l’Agordino, le idee circolassero molto più rapidamente delle persone. Una statistica del 1858 riferisce che a Canale, su 109 ragazzi in età scolare, ben 99 frequentano regolarmente la scuola. Questo, però, non significa che i piccoli non siano d’aiuto ai loro genitori nei campi. Anzi, le necessità sono tante e perciò tutti devono lavorare. Significativo un aneddoto. Un tempo bisognava alzarsi molto presto per andare a falciare l’erba in zone lontane. Spesso si dovevano raggiungere località di alta montagna. I bambini seguivano i genitori. Quando erano stanchi si mettevano le mani attorno alle gambe, piegandosi sulle ginocchia, e non volendo andare più avanti chiedevano alla madre di essere portati sulla schiena. Queste, per un tratto acconsentivano, anche a cavalluccio, ma quando si trovavano nelle vicinanze di una baita, dicevano: «Adesso basta, bisogna che tu scenda dalla mia schiena, altrimenti dalla baita esce la vècia baragùta e ti sgrida. Devi incominciare a camminare».
Il più delle volte i piccoli riprendevano il cammino, fino a quando erano di nuovo stanchi e bisognava riprenderli sulla schiena. Ma giunti a un’altra baita, la donna raccontava nuovamente la stessa storia. A destinazione, sui prati, la madre era più stanca del figlio e voglia di falciare non ce n’era più.

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La famiglia Luciani

A metà del secolo XIX la miseria colpisce due terzi della popolazione della valle del Biois, costringendo tanti a emigrare all’estero. Tra gli emigranti troviamo anche Giovanni Luciani1. A 11 anni, nel 1883, parte per trasportare calze a Innsbruck. Va a piedi fino a Ora, un paesino di 2.500 abitanti in provincia di Bolzano e poi prosegue in treno. In seguito, fa il muratore a Pforzheim e a Bellingen, da dove porta a casa, tra l’altro, un vero orologio a «cucù».
Lavora come operaio specializzato negli altiforni nella zona di Ruhr, a Solingen, Essen, Bochum, ovunque riesca a trovare un lavoro. E ancora: muratore in Belgio e in Francia. Una vita dura, costruita giorno dopo giorno con fatica, umiliazione, sudore e precarietà. R...

Indice dei contenuti

  1. Prefazione alla nuova edizione, del card. Pietro Parolin
  2. Prefazione alla prima edizione, del card. Angelo Scola
  3. Introduzione alla prima edizione, di mons. Maffeo Ducoli
  4. 1. Canale d’Agordo, paese natale di Albino Luciani
  5. 2. La famiglia Luciani
  6. 3. Luciani a scuola
  7. 4. Luciani in seminario
  8. 5. Luciani vescovo
  9. 6. A Vittorio Veneto
  10. 7. La via dei sassi
  11. 8. Tra scandali finanziari e piccolo scisma
  12. 9. Luciani al Concilio
  13. 10. L’«Humanae vitae»
  14. 11. Luciani catechista sorridente
  15. 12. «Porterò Vittorio Veneto nel cuore»
  16. 13. La santificazione del lavoro
  17. 14. Luciani tra la gente
  18. 15. Ancora uno scalin e poi...
  19. 16. Giovanni Paolo I
  20. 17. Primi passi nel palazzo apostolico
  21. 18. La catechesi da pontefice
  22. 19. La morte
  23. 20. La causa di beatificazione
  24. Bibliografia
  25. Note
  26. Indice dei nomi
  27. Indice generale