In dialogo con il Signore
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In dialogo con il Signore

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In dialogo con il Signore

Informazioni su questo libro

Dopo È Gesù che passa e Amici di Dio, le edizioni Ares continuano la pubblicazione delle Opere di san Josemaría Escrivá con una raccolta di 25 testi inediti nei quali ritroviamo alcuni degli snodi del pensiero del fondatore dell'Opus Dei, come l'invito per ogni cristiano a identificarsi personalmente con Cristo, la riflessione sulla filiazione divina, l'amore per Dio e per la Chiesa, la ricerca della santità nella vita quotidiana, la possibilità di trasformare il lavoro in orazione. Sono meditazioni e conversazioni di contenuto spirituale che, negli anni tra il 1954 e il 1975, egli rivolse a persone dell'Opus Dei che abitavano a Roma; per insistenza dei suoi figli, queste meditazioni furono registrate, trascritte, sottoposte alla sua revisione e in seguito pubblicate a uso dei membri dell'Opus Dei. Siamo in presenza della sua preghiera a voce alta; il fondatore parla con Dio dei temi centrali della spiritualità cristiana e dà efficaci consigli per rispondere generosamente alla chiamata universale alla santità. Confida anche alcuni particolari della sua vita e della storia dell'Opus Dei, di grande valore biografico.

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Informazioni

Testi della predicazione di san Josemaría

1. Vivere per la gloria di Dio

(21 novembre 1954)

Contesto e storia
La meditazione corrisponde a una giornata di ritiro del Collegio Romano della Santa Croce. Il diario, che come in tutti i centri dell’Opus Dei registrava i fatti più significativi del giorno, narra che san Josemaría aveva promesso qualche giorno prima di impartire la meditazione che, in effetti, predicò alle 10 del mattino. «Il Padre ci aveva detto – leggiamo nel diario – che ci avrebbe parlato di barche e di mari, della nostra vocazione e della libertà che godiamo in essa, dentro la barca di Cristo... e della missione meravigliosa del sacerdote in Casa».
Si era all’inizio dell’anno accademico. I nuovi alunni arrivavano di solito tra ottobre e dicembre. Le attività formative procedevano a pieno ritmo, erano iniziate le lezioni e i nuovi arrivati avevano avuto il tempo di ambientarsi e di abituarsi alle condizioni di vita a Villa Tevere. Era un momento adatto perché il fondatore trasmettesse loro le idee che riteneva più importanti, circa la vita spirituale e la ricerca della santità, per quel periodo di formazione.
Il testo fu rivisto da san Josemaría per la pubblicazione in Crónica e Noticias del giugno 1975, che uscirono poche settimane dopo la sua morte, avvenuta il 26 giugno. Nessuno poteva immaginare, quando gliela dettero da approvare, che il titolo e il contenuto della meditazione, “Vivere per la gloria di Dio”, avrebbero acquistato un nuovo significato con la morte del fondatore.
La redazione scrisse una nota spiegando che quelle pagine riassumevano «il significato del nostro cammino terreno, che il Padre ci aveva preparato con la sua vita santa, guidato da Dio. Mentre si sta preparando, per i numeri di luglio e agosto, la narrazione dettagliata delle giornate che abbiamo vissuto nel pianto ma con una pace profonda, sarà di grande consolazione per tutti leggere questa meditazione, da poco approvata dal Padre per la pubblicazione, in cui ci ricorda alcuni punti essenziali dello spirito affidatogli da Dio, che si è già diffuso nel mondo intero. (...) Le sue parole qui riportate sono una prova ulteriore delle premure che si prese per evitare che, con la grazia di Dio e la nostra fedeltà, non si torca mai il nostro cammino e l’Opera sia sempre lievito di vita cristiana tra gli uomini di ogni tempo».
Contenuto
San Josemaría sviluppa per i fedeli dell’Opus Dei che lo ascoltavano il tema della sequela di Cristo, che vale per ogni cristiano e che la vocazione all’Opus Dei rafforza. Il battezzato è chiamato a vivere in intimità con Cristo, a condividerne la vita e a immedesimarsi con Lui. Tale identificazione, che il fondatore incoraggia a ricercare ogni giorno con il proprio sforzo e con l’aiuto della grazia, è la stessa di cui san Paolo parla ai Galati: «Non vivo più io, ma Cristo vive in me» (2, 20).
All’Autore piaceva ricrearsi negli scenari evangelici ma ce n’era uno che prediligeva: le rive del lago di Galilea. Parlando di barche, reti e mari riviveva la predicazione e i miracoli di Gesù e si soffermava a considerare la vocazione degli Apostoli. Passando dalla barca di Pietro, che è la Chiesa, alla barca dell’Opus Dei, domandava: «Signore, perché sono venuto su questa barca?». La risposta, che era anche la sua orazione ad alta voce, fu di parlare di libertà e dedizione.
Pertanto, parla di fedeltà a Dio e alla missione che è stata affidata a ognuno. La dedizione totale e senza crepe ha per manifestazioni la docilità e l’unità con i direttori e la decisione di essere fedeli alla vocazione. Spiega che sono necessari molta umiltà e molto sacrificio per vivere così: è necessario «darsi, consumarsi, diventare olocausto», dice senza esitare. Parla poi della necessità della formazione per la santità e per l’apostolato.
Oltre a compiere gli studi superiori ecclesiastici, coloro che risiedevano nel Collegio Romano ricevevano una formazione spirituale specifica. Spesso era il fondatore stesso a impartirla per mezzo di meditazioni e di frequenti tertulias, nelle quali si conversava su diversi aspetti dello spirito o della storia dell’Opus Dei.
Diceva loro che erano a Roma come il lievito che si prepara per mischiarlo alla pasta, o anche come il materiale atomico immagazzinato per usi civili. Sebbene mancasse loro quasi del tutto la possibilità di svolgere un’attività esterna di apostolato, possedevano una efficacia soprannaturale e desiderava che rientrando nei Paesi di origine fossero lievito di santità fra gli altri.
Tratta poi del bisogno di sacerdoti nell’Opus Dei e della piena libertà di cui godono coloro che vogliano considerare questa possibilità ulteriore di dedizione.
Per san Josemaría la libertà e l’amore nella risposta alla chiamata di Dio sono temi importanti. Lo ricorda al suo uditorio, sottolineando che sono lì perché l’hanno scelto liberamente. Usa un linguaggio particolarmente espressivo: «Sei salito sulla barca, su questa barca dell’Opus Dei, perché ti andava di farlo, che a me sembra il motivo più soprannaturale».
Queste parole del fondatore dell’Opus Dei sono una affermazione della piena libertà di cui godono i cristiani che intendono seguire Cristo. Al tempo stesso contengono una profonda lezione: soltanto l’amore spiega una libera dedizione. Talvolta l’amore, per chi lo osserva dall’esterno, sembra esprimersi in gesti irrazionali (il famoso paradosso di Pascal: «Il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce»). Chi fa dono di sé stesso si fida di Gesù che ha detto: «Chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà» (Mc 8, 35).
Per san Josemaría la scelta libera e dettata dall’amore è «il motivo più soprannaturale». L’amore che conduce alla dedizione non può esistere senza libertà ma al tempo stesso implica di metterla in gioco, di “spenderla” per qualcosa o per qualcuno. Dopo la decisione iniziale, la libertà continua a essere indispensabile per rinnovare l’amore: «Sia ben chiaro: la nostra perseveranza è frutto della libertà, della dedizione, dell’amore».
Tratta poi, in rapida successione, altri temi importanti: umiltà, vita contemplativa, serenità, correzione fraterna, gioia... Parla dell’essere anelli della catena di trasmissione dello spirito dell’Opus Dei alle future generazioni e strumenti dell’espansione.

Vivere per la gloria di Dio

1a «Emitte lucem tuam et veritatem tuam» (Sal 42 (43), 3); manda, Signore, la tua luce e la tua verità.

1b Figli miei, seguire Cristo – «venite post me et faciam vos fieri piscatores hominum» (Mt 4, 19) – è la nostra vocazione. Seguirlo tanto da vicino da vivere con Lui, come i primi Dodici; tanto da vicino da identificarci con Lui, da vivere la sua stessa Vita, nell’attesa che giunga il momento, se non abbiamo frapposto ostacoli, in cui potremo dire con san Paolo: «Non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2, 20).

1c Che gioia immensa sentirsi in Dio! Divinizzati! E, al tempo stesso, che gioia notare anche tutta la piccolezza, tutta la miseria, tutta la fragilità della nostra povera natura terrena, con le sue debolezze e i suoi difetti! Difatti, quando Cristo ci parla in parabole, come ai primi, spesso non lo comprendiamo e dobbiamo fare nostra la preghiera degli apostoli: «Edissere nobis parabolam (Mt 13, 36); Signore, spiegaci la parabola.

2a Quando fai orazione, figlio mio – non mi riferisco adesso all’orazione continua che si prolunga per il giorno intero ma ai due momenti della giornata che dedichiamo esclusivamente al colloquio con Dio, ben raccolti rispetto a tutte le cose esteriori –, quando inizi la meditazione, spesso, a seconda delle circostanze, ti raffiguri la scena o il mistero che desideri contemplare; poi vi applichi la mente e cerchi subito un dialogo pieno di affetti di amore e di dolore, di atti di ringraziamento e di desideri di essere migliore. Per questa via devi pervenire a un’orazione di quiete, dove è il Signore a parlare, mentre tu devi stare in ascolto di ciò che Dio ti dice. Come si notano allora le ispirazioni interiori e gli ammonimenti che infiammano l’anima!

2b Per favorire l’orazione, è opportuno materializzare anche ciò che è più spirituale, ricorrere alla parabola: è un insegnamento divino. La dottrina deve giungere alla nostra mente e al nostro cuore attraverso i sensi: non ti meraviglierà, allora, che mi piaccia tanto parlarvi di barche e di mari.

2c Figli miei, siamo saliti con Cristo sulla barca di Pietro, sulla barca della Chiesa, che apparentemente è fragile e sgangherata, ma che nessuna tempesta può far naufragare. Sulla barca di Pietro tu e io dobbiamo chiederci senza fretta, con calma: Signore, perché sono venuto su questa barca?

2d Questa domanda ha assunto per te un significato particolare, da quando sei salito sulla barca, su questa barca dell’Opus Dei, perché ti andava di farlo, che a me sembra il motivo più soprannaturale. Ti amo, Signore, perché mi va di amarti: avrei potuto donare il mio povero cuore a una creatura... e invece no! Lo metto tutto, giovane, palpitante, nobile, pulito, ai tuoi piedi, perché mi va di farlo!

2e Con il cuore hai dato a Gesù anche la tua libertà, e i tuoi obiettivi personali sono diventati del tutto secondari. All’interno della barca puoi muoverti liberamente, con la libertà dei figli di Dio (Cfr Rm 8, 21) che sono nella Verità (Cfr Gv 8, 32), compiendo la Volontà divina (Cfr Mt 7, 21). Non puoi però dimenticarti che devi restare sempre dentro i limiti della barca. E questo perché ne hai avuto voglia tu. Ripeto ciò che vi dicevo ieri o l’altro ieri: se esci dalla barca, cadrai tra le onde del mare, andrai incontro alla morte, perirai annegato nell’oceano e non starai più con Cristo, perderai la sua compagnia che accettasti volontariamente, quando Egli te l’offerse.

2f Pensa, figlio mio, quanto è gradito a Dio nostro Signore l’incenso bruciato in suo onore. Pensa quanto poco valgono le cose della terra, che non appena cominciano sono già finite. Pensa al nulla che siamo tutti noi uomini: «Pulvis es, et in pulverem reverteris» (Feria IV Cinerum, Ant.); torneremo a essere come la polvere della strada. Eppure è straordinario che, nonostante tutto ciò, noi non viviamo né per questa terra, né per il nostro onore, ma per l’onore di Dio, per la gloria di Dio, per il servizio di Dio. Ecco ciò che ci muove!

2g Pertanto, se la tua superbia ti sussurra: qui nessuno si accorge di te, dei tuoi talenti eccezionali..., qui non darai tutto il frutto che potresti..., sarai sprecato, ti consumerai inutilmente... Tu, che sei salito sulla barca dell’Opera perché ne hai avuto voglia, perché è indubbio che Dio ti ha chiamato – «nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato» (Gv 6, 44) –, devi corrispondere a questa grazia consumandoti completamente, facendo sì che il nostro sacrificio gioioso, la nostra dedizione sia un’offerta: un olocausto!

2h Figlio mio, ormai con questa parabola ti sei convinto che, se vuoi avere vita e vita eterna e onore eterno, se vuoi la felicità eterna, non puoi uscirtene dalla barca e devi prescindere in molti casi dal tuo fine personale. Io non ho altro fine che quello comune: l’obbedienza.

2i Che bello obbedire! Ma proseguiamo con la parabola. Siamo dentro questa vecchia barca, che da venti secoli naviga senza affondare; la barca del dono di sé, della dedizione al servizio di Dio. E mentre stai in questa barca, povera e umile, ti ricordi di possedere un aeroplano, che sei in grado di pilotare perfettamente, e pensi: posso arrivare lontanissimo! E allora vai, vattene su una portaerei perché qui il tuo aeroplano non serve! Sia ben chiaro: la nostra perseveranza è frutto della libertà, della dedizione, dell’amore, ed esige un completo dono di sé. All’interno della barca non possiamo fare quel che ci pare. Se il carico della stiva si ammassa tutto in uno stesso punto, la barca va a fondo; se ciascuno dei marinai abbandona il suo compito specifico, la povera barchetta finisce male. L’obbedienza è necessaria; persone e cose devono stare dov’è stabilito che stiano.

2j Figlio mio, convinciti una volta per tutte che abbandonare la barca vuol dire la morte. E che, per restare nella barca, occorre sottomettere il proprio giudizio. Occorre impegnarsi a fondo nell’umiltà: darsi, consumarsi, diventare olocausto.

3a Andiamo avanti. I fini che ci proponiamo nell’Opera sono la santità e l’apostolato. E per realizzarli abbiamo bisogno soprattutto di formazione. Per la nostra santità, dottrina; per l’apostolato, dottrina. Per la dottrina, tempo, in un luogo opportuno, con i mezzi opportuni. Non aspettiamoci illuminazioni straordinarie, che Dio non ha motivo di darci, dal momento che ci offre alcuni mezzi umani concreti: lo studio, il lavoro. Occorre formarsi, occorre studiare. In questo modo, vi predisponete alla vostra santità attuale e a quella futura, e all’apostolato, di fronte agli uomini.

3b Non avete visto come preparano il lievito, come lo tengono rinchiuso, a una temperatura ben determinata, per unirlo poi alla massa...? Conto su di voi come sul motore più potente per muovere il nostro lavoro in tutto il mondo. Nessuno di voi è inefficace: tutti siete pieni di efficacia per il solo fatto di compiere le Norme, di studiare, di lavorare, di obbedire.

3c Non capisco quasi nulla del materiale atomico, so solo quello che leggo sui giornali. Ma ho visto fotografie e so che lo seppelliscono, se necessario, a molti metri sotto terra, che lo ricoprono con grandi lastre di piombo e lo custodiscono tra spesse pareti di cemento. Tuttavia, è attivo e lo portano di qua e di là, lo applicano alle persone per curare tumori, lo utilizzano per altri scopi e opera in mille modi meravigliosi, con una straordinaria efficacia. Lo stesso voi, figli miei, quando vi dedicate a incarichi interni o vi trovate nei centri di formazione dell’Opera. Ancora più efficaci! Perché avete l’efficacia di Dio, quando vi deificate, facendo dono di voi stessi come Cristo, che annientò sé stesso (Cfr Fil 2, 7). Noi ci annientiamo e apparentemente perdiamo la nostra libertà, mentre invece diventiamo perfettamente liberi con la libertà dei figli di Dio (Cfr Rm 8, 21).

3d Formazione, dunque, per dare dottrina e per la vostra santità personale. Formazione per il tempo indispensabile, nel posto adatto, con i mezzi necessari; ma con lo sguardo all’universo intero, a tutta l’umanità, col pensiero rivolto a tutte le anime. E i vostri fratelli che stanno aprendo il fronte in nuovi Paesi non saranno soli perché voi da qui, tra queste pareti che sembrano di pietra e sono fatte d’amore, state inviando loro tutta l’efficacia de...

Indice dei contenuti

  1. Nota all’edizione italiana
  2. Prologo, di mons. Javier Echevarria
  3. Abbreviazioni
  4. La predicazione di san Josemaría
  5. Alcuni aspetti del messaggio di In dialogo con il Signore
  6. Testi della predicazione di san Josemaría
  7. Indice scritturistico
  8. Indice Generale