La pista inglese
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La pista inglese

Chi uccise Mussolini e la Petacci?

  1. 240 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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La pista inglese

Chi uccise Mussolini e la Petacci?

Informazioni su questo libro

Sulla morte di Benito Mussolini e di Claretta Petacci restano ancora solo nuvole nere. Che cosa accadde veramente tra Dongo e Bonzanigo nella giornata del 28 aprile 1945? Chi ha materialmente premuto il grilletto? Chi fu l'effettivo mandante? Questo libro fa il punto sulla «vulgata» ufficiale, evidenziandone le contraddizioni sia nelle argomentazioni sia negli stessi fatti. Gli unici elementi certi sono che insieme con Mussolini scompaiono l'ingente tesoro e i do­cumenti riservati che portava con sé; e che chiunque abbia abbozzato un tentativo di intervento a salvaguardia o recupero dell'uno o degli altri ha pagato nel sangue. Su tutti il valoroso «capitano Neri», ca­po di stato maggiore della brigata che arrestò Mus­solini, e la «Gianna», sua inseparabile compagna d'armi. Fu a lei che toccò di catalogare il cosiddetto «oro di Dongo» al seguito del convoglio fascista, che autorevoli fonti finora sottaciute attribuiscono alla proprietà degli ebrei, spogliati dalla polizia pri­ma della deportazione in Ger­mania. Un patrimonio che, nell'ipotesi suggestiva dell'autore, suffragata da una molteplicità di testimonianze convergenti in un'unica logica ricostruzione, potrebbe essere finito nelle casse dell'allora Pci; col tacito benestare dei servizi segreti inglesi, ma in cambio della documentazione sui contatti se­greti che il capo del fascismo intrattenne con Win­ston Churchill fino a poco prima della fine. Un'ipo­tesi che ha affascinato Massimo Caprara, segretario per vent'anni di Pal­miro To­gliat­ti, il quale nel saggio conclusivo La pista inglese vista da Botteghe Oscure consegna im­portanti rivelazioni.

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Informazioni

Editore
Ares
Anno
2018
Print ISBN
9788881557165
eBook ISBN
9788881557783
Argomento
Storia

TRACCE INDIZIARIE











I segreti di Karl Wolff

Il 28 marzo 1973 il generale Karl Wolff, ex comandante delle Ss tedesche in Italia durante l’occupazione e la guerra civile, consegnò al giornalista Ricciotti Lazzero, ch’era andato a intervistarlo, alcune copie di lettere e registrazioni di telefonate di Benito Mussolini, da lui conservate nel proprio archivio. Il generale Karl Wolff non faceva mai niente per niente. Uscito dal carcere dopo 12 anni di detenzione, e rimasto senza lavoro, campava vendendo memoriali e documenti, col contagocce, a giornalisti e storici che andavano a intervistarlo. L’autore di questo libro lo sa perché nel 1983, un anno prima che morisse, ottantaduenne, andò a intervistarlo, per conto di un importante settimanale italiano, nella cittadina di Prien-am-Chiemsee, in Baviera, e dovette portare con sé 4 milioni di lire in marchi tedeschi: un milione per ognuno dei quattro articoli poi pubblicati. Quindi, anche se nessuno può mettere la mano sul fuoco, è da ritenere che Lazzero (o il suo editore), per avere quei documenti, abbia sborsato molto, ma molto di più. Tanto più che quei documenti sono di un interesse straordinario. Strepitoso. Nel senso che lasciano ben presumere che il «fantomatico» carteggio Mussolini-Churchill non era affatto fantomatico; che il rapporto segreto tra i due uomini politici (Mussolini e Churchill) continuava, e continuò fino agli ultimi giorni di vita del Duce; che Mussolini era praticamente il «portavoce» di Churchill presso Hitler; che Churchill fece fino all’ultimo il possibile e l’impossibile per distogliere Hitler, con la collaborazione di Mussolini, dall’impegno sul fronte occidentale, onde parare, tutti insieme (italiani, tedeschi, inglesi, e – verosimilmente – francesi) la valanga comunista che avanzava da Est; che, grazie alle lettere di Churchill, Mussolini era convinto di cavarsela e, magari, passato il primo momento di caos, di tornare sulla scena politica; che, se Stalin fosse venuto in possesso di quel dossier, avrebbe potuto denunciare immediatamente gli accordi di Yalta, accusando la Gran Bretagna di tradimento e pretendendo territori ben più vasti della Polonia, dell’Ungheria, della Cecoslovacchia e di mezza Germania.
Tanta è la legna che Wolff ha messo sul fuoco della «pista inglese». Dai suoi documenti risulta tutt’altro che peregrina la tesi secondo cui, nella gara tra comunisti e inglesi a chi arrivava prima ad ammazzare Mussolini (e Clara Petacci, conoscitrice e detentrice di tutti i suoi segreti), vinsero gli inglesi, grazie a un loro agente infiltrato nelle file comuniste.


Carta canta

Riciotti Lazzero, uno degli storici più autorevoli e documentati della Rsi, per ragioni che non si conoscono, tenne nel cassetto quei documenti per ventuno anni. Finalmente, li rese noti nel suo libro, di grande successo, Il sacco d’Italia, pubblicato nel 1994. Prima di esaminare i sensazionali documenti, una premessa che serve per capire. Quelle carte sono autentiche. I tedeschi avevano installato a Salò una centrale di ascolto telefonica che captava tutte le conversazioni del Duce. Inoltre, fotografavano tutte le sue lettere, di cui egli consegnava regolarmente copia alla sua amante, più che per ottenerne l’approvazione, per tenerla al corrente di ogni sua iniziativa. E il bello è che Mussolini lo sapeva. Sapeva, in particolare, che Claretta passava le sue lettere a un tenente delle Ss, sua guardia del corpo, affinché le fotografasse. L’operazione serviva per avere più copie del dossier. Mussolini era ossessionato dal desiderio di distribuire le copie dei più importanti documenti che provavano la sua condotta di guerra alle persone più fidate del suo entourage. Tra queste, la Petacci, il ministro Carlo Alberto Biggini, l’ambasciatore giapponese Shinrokuro Hidaka e, appunto, il tenente. Il quale, da buon ufficiale delle Ss, ne faceva una copia in più del previsto. Per il suo capo, il generale Wolff. Ecco da dove arrivavano i documenti consegnati a Ricciotti Lazzero.
Di seguito, si può considerare, in dettaglio, il contenuto dei più importanti.

10.09.1944. Lettera del Duce al maresciallo Graziani.
«Allo scopo di proteggere noi tutti nel futuro, sto raccogliendo il più possibile impegni e precisazioni scritte. Da tutti in autografo. Non escludo nemmeno Hitler. Soltanto il carteggio, ormai voluminoso, in caso di bisogno, parlerà e spezzerà ogni lancia puntata verso di noi. Il solo conoscere l’esistenza dei miei incartamenti fa paura a troppi: da Vittorio Emanuele a Badoglio. Ma anche Churchill, e lo stesso Hitler, saranno obbligati ad attenersi a una linea veritiera».

22.11.1944. Telefonata tra Hitler e Mussolini.
Hitler: «Ma qualcosa da fare c’è, Duce: misure di ritorsione. Nella lettera che vi ho appena inviato sono stato chiaro».
Mussolini: «Anch’io non trovo altra via d’uscita. Siamo costretti a farlo. Che pazzi, questi anglosassoni! Non comprendono che in questo modo si scavano la fossa, soprattutto gli inglesi. Oppure questi credono, con la loro sperata vittoria, di bloccare al canale della Manica il bolscevismo? Sono miopi».
Hitler: «Non miopi, ma ciechi sono, gli inglesi! Ma non si accorgono del colosso russo?».
Mussolini: «In verità, Churchill ha già previsto questo pericolo da anni. Ma ... Führer, voi lo sapete...».
Hitler: «Sì, lo so, conosco tutte le circostanze. Ma Duce, credetemi, questa spada taglia da entrambi i lati. E finché è così non dobbiamo trattare. Vi ricordate quanto vi dissi?».
Mussolini: «Lo ricordo, e continuo ad aspettarmi la vostra comprensione. Non dobbiamo perdere l’occasione di questo momento. Datemi la vostra fiducia!».
Hitler: «La mia fiducia l’avete, non c’è dubbio. Se io però...».
[A questo punto la linea s’interrompe. Evidentissima, in questa telefonata, la testimonianza degli sforzi compiuti dal Duce per spingere Hitler a dargli ascolto, cioè a volgersi esclusivamente contro i russi e a cessare la controffensiva a Ovest. Ma il despota di Berlino continua a essere convinto che la sua spada abbia «due lame»].

9.01.1945. Lettera di Mussolini a Graziani.
«Ho una lettera di Hitler datata 2 gennaio ’45. La sua pretesa di ritirarci, in caso di bisogno, al Nord e il suo consiglio di portare con me tutti gli incartamenti della cui esistenza gli feci cenno, e che proposi di sfruttare, parlano chiaro. Al momento, ritengo di grande importanza portare al sicuro questi incartamenti, in primo luogo lo scambio di lettere e gli accordi con Churchill. Questi saranno i testimoni della malafede inglese. Questi documenti valgono più di una guerra vinta».
[Mussolini sa di poter tenere in pugno Churchill, almeno finché avrà i documenti].

14.03.1945. Lettera di Mussolini a Claretta.
«Claretta mia cara, hai ragione. Si avvicina il giorno in cui Hitler si convincerà della necessità di trattative dirette con l’Inghilterra. Lui conosce le mie possibilità [si riferisce chiaramente ai contatti diretti con Churchill]. Ma ha paura, io conosco la ragione di questa sua paura. E maledico questa mia conoscenza, perché mi dà l’incubo di essere vile, di non sapermi decidere ad agire, sebbene senta l’assoluta necessità, anzi il dovere, di agire, finalmente. Però, agire d’accordo con Hitler significa rischiare di correre il pericolo di compromettere la nostra situazione e la nostra possibilità di salvare il salvabile. Agire di nostra iniziativa? Da soli? Non è consigliabile. Non voglio mettermi nella traccia dei Savoia e degli altri traditori! Quale tormento! E quale crisi di coscienza!»
[Qui si evince che Claretta Petacci era a conoscenza di ogni problema politico dello Stato, anche dei più delicati].

25.03.1945. Telefonata col ministro Paolo Zerbino.
Zerbino: «Ho fatto eseguire i vostri ordini. Sono già pronte tre copie fotografiche. Il materiale destinato a quell’uomo in Italia [chi è?, l’ambasciatore giapponese?] è già pronto a partire».
Mussolini: «Mandate subito il materiale a Milano. Le altre copie fatele portare qui, con gli originali. Per questi ultimi, il luogo di destinazione è già scelto. Le altre due copie devono essere conservate in posti diversi. Io terrò poche carte. Non si sa mai a cosa si può andare incontro e bisogna in ogni modo impedire che anche una piccola parte possa cadere in mani di gente che abbia interesse a distruggerla o a nasconderla. La gente a cui alludo sono i molti italiani che non hanno esitato ad allearsi ai nemici dell’Italia per poter avere buon gioco vent’anni dopo [l’allusione al Clnai è evidente]. Figuratevi se questi pensano di muovere un dito per il prestigio nazionale! Questi straccioni non hanno fatto altro che tradire: nel nostro Paese e all’estero!».
[Zerbino era il ministro dell’Interno].

25.03.1945. Telefonata con Alessandro Pavolini.
Mussolini: «Al momento, ritengo che la cosa più importante e utile sia di portare al sicuro le nostre carte, soprattutto la corrispondenza e gli incartamenti sugli accordi con Churchill. Queste carte saranno l’inevitabile documentazione della malafede degli inglesi. Questi documenti valgono per l’Italia più di una guerra vinta!».
[Pavolini era il ministro segretario del Partito fascista].

2 aprile 1945. Lettera di Claretta Petacci a Mussolini.
«La mia convinzione, ferma, è sempre una sola: non scendiamo a patti! I Savoia, Badoglio e soci stanno facendoci un tranello! Tu per loro sei un fuorilegge, un condannato a morte. Ascolta il mio consiglio: stai in guardia! Hanno tutti l’interesse a farti tacere per sempre! Tu dici: parlano i documenti. Ma loro sanno che i documenti si comperano, si rapinano, si distruggono. Un fatto è sicuro: se tu, se il carteggio, doveste essere un giorno in loro possesso, le tue ore di vita, nonché quelle del carteggio, sarebbero contate! Ben, ti supplico, non prendere decisioni senza consultarti con chi sai!».
[A chi si riferisce Claretta? Accorta, non fa nomi. E il tragico epilogo della sua vita è la più drammatica conferma della sua lucidità e capacità di previsione].

3 aprile 1945. Lettera di Mussolini a Graziani.
«La vostra proposta è assolutamente insensata! Affidare al Savoia i documenti per vincere la pace? Vittorio Emanuele mi ha rinnegato, e continuerà a tradire uno dopo l’altro tutti i suoi compari, liquidandoli dopo averli sfruttati. Mai il Savoia potrà servirsi delle nostre carte!».

15 aprile 1945. Lettera di Mussolini a Nicola Bombacci.
«Mio vecchio e caro amico, allo stato attuale, poco mi resta. Solo le nostre carte possono essere la nostra salvezza, morale e materiale. Dovessi perire assassinato, sfruttate i documenti!».


I tanti testimoni di una verità negata

Le persone di parte italiana che hanno testimoniato su contatti, incontri e scambi di lettere tra Mussolini e agenti inglesi durante i mesi della Rsi (e non alla vigilia dell’entrata in guerra dell’Italia o nel periodo immediatamente successivo) sono una moltitudine.
I loro racconti, le loro testimonianze, sono raccolti in libri di ricercatori e storici di assoluta onestà e serietà. Questi i loro nomi: Dino Campini (Strano gioco di Mussolini, Milano 1952, e Piazzale Loreto, Milano,1972), Franco Bandini (Le ultime 95 ore di Mussolini, Milano 1959, e Vita e morte segreta di Mussolini, Milano 1978), Alessandro Zanella (L’ora di Dongo, Milano 1993), Fabio Andriola (Appuntamento sul lago, Milano 1990, e Mussolini-Churchill carteggio segreto, Casale Monferrato 1996), Arrigo Petacco («Dear Benito, caro Winston», Milano, 1985), Giorgio Cavalleri (Ombre sul lago, Casale Monferrato 1995), Roberto Festorazzi (Mussolini-Churchill: le carte segrete, Milano, 1998). A giudizio dell’autore, il libro che ricostruisce nella maniera più completa e rigorosa la vicenda dei rapporti segreti tra il Duce e il premier britannico rimane Mussolini-Churchill carteggio segreto, di Fabio Andriola.
Accanto a questi testi (ormai dei classici, sull’argomento), esiste una miriade di diari, memoriali, interviste – sempre di parte italiana – nei quali si fanno cenni più o meno approfonditi sui rapporti segreti italobritannici che ebbero luogo nell’ultimo volgere del conflitto. Curiosamente, questa imponente letteratura è considerata in blocco carta straccia da tutti gli autori inglesi. Per i quali è folle anche solo ipotizzare rapporti che non fossero di guerra tra Winston Churchill e l’uomo che egli, in più d’un’occasione, aveva definito ora «il gran diavolo», ora «il bestione».


Falsa pista: i documenti del ’40

Allo snobismo dei ricercatori inglesi offre il destro, purtroppo, una parte della letteratura italiana sull’argomento. E precisamente quella parte che colloca il carteggio esclusivamente nei mesi che precedono l’entrata in guerra dell’Italia, il 10 giugno 1940, allorché Churchill avrebbe cercato in ogni modo di evitare il coinvolgimento italiano nel conflitto promettendo, in cambio della neutralità di Mussolini, compensi territoriali non soltanto a svantaggio proprio, cioè della Gran Bretagna (Malta e Gibilterra), ma addirittura a detrimento della Francia (Nizza, la Savoia, la Tunisia) e di altre nazioni (la Jugoslavia e la Grecia). Secondo altre fonti, che si dicono a conoscenza del contenuto del carteggio, in quei mesi Churchill avrebbe sì scritto a Mussolini, ma esattamente in senso diametralmente opposto: cioè sollecitandolo a entrare in una guerra che si prevedeva avviata a una rapida conclusione con l’immancabile vittoria della Germania, per mitigare le pretese di Hitler al tavolo della pace: insomma, per controllare il dittatore nazista, sul quale Mussolini aveva sempre esercitato un indubbio ascendente.
Su questi temi ci sono le recenti rivelazioni che nel 1998 un ex questurino giunto ormai alle 84 primavere, Luigi Carissimi-Priori, ha rilasciato all’accanito ricercatore storico e appassionato giornalista comasco Roberto Festorazzi. Luigi Carissimi-Priori, ex esponente del defunto Partito d’azione ed ex capo dell’ufficio politico della Questura di Como all’indomani della Liberazione, emigrò poco tempo dopo quegli eventi. Divenuto ingegnere, dopo aver trascorso all’estero quasi tutta la sua esistenza, è tornato in patria nell’autunno della sua vita, deluso quant’altri mai – a giudicare dai suoi colloqui con Festorazzi – dell’Italia «nata dalla Resistenza», e ben deciso a non consegnare ai patrii archivi ciò di cui le circostanze gli consentirono d’entrare in possesso: appunto le copie della corrispondenza (o meglio: d’una parte della corrispondenza) tra Mussolini e Churchill.
Un altro, dunque, che ritiene di poter fare un uso privato di documenti che appartengono alla storia d’Italia. Ma veniamo al punto. Secondo quanto racconta a Festorazzi il vecchio ingegnere, il carteggio Mussolini-Curchill, rubato al Duce al momento del suo arresto e finito nelle mani del segretario del Pci di Como, fu da costui «venduto agli inglesi, d’accordo con il partito, il quale gli ordinò di riprodurre il materiale, prima della consegna, per inviarlo agli archivi centrali di Botteghe oscure». Proprio in quei giorni, Carissimi-Priori, nella sua veste di poliziotto, è incaricato d’indagare «sulla fucilazione di Mussolini e sulla sparizione del tesoro di Dongo». È durante questa indagine che – rivela Festorazzi – s’imbatte nella copia dei documenti. E che fa? La nasconde «in luogo sicuro» e adesso, ormai ottantaquattrenne, promette che «verrà pubblicata a tempo debito all’estero», aggiungendo testualmente: «Favorirò la riconsegna di questi materiali ai legittimi proprietari, ossia agli inglesi». E gli italiani? Proprio non li considera, par di capire. Non diversamente dai numerosi p...

Indice dei contenuti

  1. INTRODUZIONE
  2. MORTE SENZA CONDANNA
  3. QUANTI GIUSTIZIERI PER DUE CADAVERI
  4. A DONGO, QUEL 28 APRILE
  5. TRACCE INDIZIARIE
  6. SPUNTA LONATI, COL CAPITANO «JOHN»
  7. I DIARI (SECRETATI) DI CLARETTA
  8. IL «GIALLO» BIGGINI
  9. STORIA DEFINITIVA DI «NERI» E «GIANNA»
  10. ORIGINE E FINE DELL’«ORO DI DONGO»
  11. MEMORIA. LA «PISTA» IN 10 PUNTI
  12. DOCUMENTI
  13. Le relazioni della paura
  14. Spampanato: uno che aveva capito
  15. La «vulgata» non si tocca!
  16. La «Resistenza insozzata»
  17. POSTFAZIONE DI MASSIMO CAPRARA
  18. La pista inglese vista da Botteghe Oscure