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Patì sotto Ponzio Pilato?
Un'indagine storica sulla passione e morte di Cristo
- Italian
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Informazioni su questo libro
Questo libro prosegue e approfondisce Ipotesi su Gesù, il testo divenuto un classico, diffuso in Italia in più di un milione di copie e tradotto con successo in decine di lingue. In quelle Ipotesi, Vittorio Messori passa al vaglio – con esposizione semplice, ma rigorosa – la verità storica dei Vangeli. Giungendo alla conclusione che quel Testo che ha cambiato il mondo non nasce da favole e leggende: la fede cristiana è fondata su eventi autentici e dimostrabili.
In Patì sotto Ponzio Pilato la lente di storico di Messori è puntata sull'ultima (ma decisiva) parte del Vangelo: la condanna, la passione, la morte in croce di Gesù. L'autore è un credente, ma la sua ricerca non è guidata da convinzioni religiose, bensì da documenti inconfutabili e dalla decifrazione di ogni parola evangelica.
Anche questo volume ha ottenuto una vasta diffusione e pure gli specialisti della Scrittura ne hanno riconosciuto la serietà e la fondatezza. A cominciare da Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, che nel suo celebre libro su Gesù ha suggerito ai lettori, a proposito di quest'opera: «Si veda l'importante libro di Vittorio Messori».
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Informazioni
Argomento
Teologia e religioneCategoria
Denominazioni cristiane1.
Ragionando sui Vangeli
Nel 1976 pubblicavo il mio primo libro, cui avevo dato il titolo di Ipotesi su Gesù.
La risposta di massa del pubblico – prima italiano e poi internazionale – sorprendeva innanzitutto gli ambienti editoriali. Ma una simile diffusione, immediata e tuttora persistente, stupiva anche gli «esperti», teologi e biblisti di mestiere, alcuni dei quali, all’apparire del volume, avevano scosso il capo, giudicando ormai improponibile – se non addirittura dannosa – una ricerca che ricordava loro la demonizzata «apologetica». Stando ad alcuni, insomma, membri autorevoli della Chiesa stessa, la fede non aveva più nulla a che fare con l’intelligenza e i credenti non dovevano più prendere sul serio la Scrittura là dove, per bocca di Pietro, esorta a essere «pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1 Pt 3,15).
Devo però riconoscere che questi «professionisti della Bibbia» – posti davanti a un’accoglienza dei lettori che dimostrava l’esistenza di un’enorme «domanda» di informazione alla quale non era stata proposta un’«offerta» da parte di chi avrebbe dovuto e potuto – finirono per accogliere quelle «ipotesi» con interesse, non di rado con simpatia, in ogni caso senza obiezioni tecniche. Riconoscevano, cioè, che – se la forma era divulgativa, giornalistica – i contenuti erano però ineccepibili: derivavano tutti, del resto, dallo studio e dal confronto delle loro ricerche, verso le quali esprimevo il mio debito sin dalle prime pagine.
Non mi sorpresi, dunque, di questa indulgenza «professorale», consapevole di non avere lesinato, per molti anni, tempo e fatica prima di azzardarmi a pubblicare quelle 300 pagine.
Inoltre, a differenza di editori ed esperti, non mi sorpresi neppure in modo eccessivo dell’accoglienza del pubblico, accoglienza costante e praticamente omogenea in tutti i Paesi del mondo nelle cui lingue il libro fu tradotto. Non l’avevo prevista in quella misura, certo. Ma – quale che fosse l’efficacia con cui avevo cercato di rispondere – sapevo bene che erano in molti a porsi le domande che avevano spinto me a quella ricerca. La quale era iniziata e proseguita per rispondere a interrogativi di questo tipo: «Che rapporto c’è tra ciò che i Vangeli narrano e ciò che è davvero successo?»; «Il Nuovo Testamento può trovare ancora spazio sullo scaffale della storia o dobbiamo trasferirlo tra i testi di poesia, di mitologia, di simbologia?»; «Che cosa pensare delle ipotesi – spesso presentate come nuovi dogmi – secondo le quali quei testi fondanti della fede sarebbero passati attraverso tali e tante manipolazioni che sarebbe ingenuo cercarvi una testimonianza storica attendibile?».
Pur ben consapevole della necessità di non togliere alla fede il suo carattere misterioso di «grazia» da parte di Dio e di «accoglienza», di «scommessa» da parte dell’uomo, avevo cercato, come potevo, di ragionare su quella intuizione che, a un certo punto della mia vita, mi aveva fatto «sentire» che nei Vangeli stava la risposta giusta alle domande dell’uomo di sempre e di ogni luogo.
Il mio era un problema di verità, applicato a un antico ebreo che aveva detto di essere egli stesso «la Verità». Malgrado i limiti della mia ricerca (che ero, e sono, il primo a scorgere, tanto da avere lasciato che decine e decine di ristampe e traduzioni si succedessero senza porre mano a un aggiornamento, preferendo fare un libro «nuovo»: ed è questo), era dunque logico che un tentativo onesto e fondato di rispondere alle domande che, dicevo, trovasse eco in tanti. Tra le caratteristiche umane c’è il desiderio, profondamente radicato in ciascuno, di raggiungere la verità. Un desiderio che è tra le «tracce» e le «impronte» – discrete quanto indelebili – lasciate dal Creatore sulle sue creature, alla pari del bisogno di giustizia, di bellezza, di bontà, di libertà.
Dopo Ipotesi su Gesù ho pubblicato altri libri, mossi tutti dal desiderio di far verità sul cristianesimo, dunque sul Cristo che continua la sua vita e il suo cammino nella storia dei secoli (così, almeno, il cattolico crede) con quel suo corpo vivo che è la Chiesa. Ma questa indagine si è sempre accompagnata alla continuazione della prima ricerca, quella attorno alle fondamenta sulle quali tutto l’edificio cristiano sta o cade: Gesù di Nazareth, così come le Scritture lo testimoniano.
Si sa come l’attacco alla fede sia passato e passi innanzitutto attraverso l’attacco alla storicità dei Vangeli. Sgretolare la fiducia nell’attendibilità di quanto quei testi riportano è – come logica ed esperienza insegnano – il grimaldello per far rovinare tutto l’edificio. Si sa pure come la sfiducia nella storicità delle pagine evangeliche abbia contagiato da tempo molti studiosi credenti, i quali (cercando così, probabilmente, di mettersi al riparo da attacchi e difficoltà che pensavano insormontabili e che, dunque, li intimorivano), sono giunti sino a teorizzare che la fede sarebbe indipendente dalla storia. Pertanto, preoccuparsi se ciò che è tramandato corrisponda a ciò che è successo sarebbe cosa irrilevante; anzi, anacronistica, da ingenuo che ragiona con categorie «non aggiornate», premoderne. Un «oscurantista», che non vuole accettare le ragioni invincibili della Scienza.
Eppure, si tratta di posizioni che sembrano davvero insostenibili in una prospettiva cristiana. Basti pensare allo scrupolo con cui, nel prologo del suo Vangelo, Luca avverte di aver fatto «ricerche accurate [...] fin dagli inizi», per «scriverne […] un resoconto ordinato» (Lc 1,3) e poter così «rendere conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto» (Lc 1,4). Non a caso, il sensus fidei dei credenti, il loro istinto cristiano, ha sempre istintivamente rifiutato teorie come quelle dei «demitizzatori» cristiani, sorti in Germania (lo vedremo meglio nel capitolo che segue) e dilagati poi a macchia d’olio tra certa intellighenzia clericale, anche cattolica. Quell’«istinto» dei semplici ha sempre avvertito che la coincidenza tra racconti del Nuovo Testamento e svolgimento reale dei fatti è essenziale per la fede.
A parte, forse, qualche biblista, nessun credente «normale» resterebbe a lungo tale se dovesse davvero convincersi che vita e insegnamenti di Gesù vanno letti senza preoccuparsi se risalgano al Nazareno stesso; che su di essi dobbiamo continuare a scommettere la vita, anche se vanno attribuiti a qualche anonima e oscura «comunità primitiva creatrice».
Considerando, dunque, decisivo per la fede lo scavo per saggiare la solidità dei racconti evangelici, in questi anni non ho mai smesso di alimentare di note il mio archivio, in prosecuzione della ricerca iniziata con Ipotesi su Gesù.
In quel libro avevo tentato di impostare nelle sue linee generali il problema. In questo, invece, di libro (i cui capitoli, in una prima versione, sono stati pubblicati a partire dal maggio del 1988 nel mensile Jesus, sotto il titolo «Il caso Cristo») mi sono proposto di scendere dal generale al particolare.
Ho così sottoposto a riflessione e verifica – versetto dopo versetto – quella parte finale dei racconti evangelici che la Tradizione cristiana indica come «Mistero pasquale». Sono i capitoli che ci tramandano la memoria di passione-morte-risurrezione- ascensione al Cielo di Gesù e nei quali i tre sinottici (Matteo, Marco, Luca) si mettono a procedere in parallelo con Giovanni: distinguendosi tra loro, certo, in molti particolari, ma abbandonando molte di quelle diversità che caratterizzano le parti precedenti.
Anche questo parallelismo è conferma del fatto – accertato e accettato ormai dagli studiosi di ogni tendenza – che proprio il «Mistero pasquale» è il nucleo primitivo, è il cuore stesso dei Vangeli.
Come ha scritto un biblista contemporaneo noto a livello internazionale e divenuto poi ancor più noto come cardinale arcivescovo di Milano, Carlo Maria Martini,
non è mai esistito un cristianesimo primitivo che abbia affermato come primo messaggio: «amiamoci gli uni gli altri», «siamo fratelli», «Dio è padre di tutti», ecc. Dal messaggio «Gesù ha patito, è morto ed è davvero risorto il terzo giorno» deriva tutto il resto.
Dunque, interrogarsi sulla verità storica di quel «Mistero» di morte e di vita significa anche rimettere in piedi la fede, togliendola dall’insidia attuale della riduzione spiritualistica e moralistica, della sua dissoluzione in etica, quasi che Gesù fosse stato riconosciuto come il Cristo non perché risuscitato il terzo giorno, ma perché autore di buone massime, un «grande iniziato»: una sorta, insomma, di Socrate ebreo. Se dei pii giudei hanno creduto in lui come Messia non è, innanzitutto, perché «parlava bene» ma perché ha vinto la morte. Come conferma un altro autorevole studioso contemporaneo, il canadese René Latourelle:
Per chi voglia saggiare la solidità storica dei Vangeli, prendere come punto di partenza la morte in croce di Gesù e ciò che immediatamente la precede e la segue non è una scelta arbitraria, ma un dato fornito dalla stessa predicazione cristiana primitiva. Per dirla con Paolo: “Anch’io, fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l’eccellenza della parola o della sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso” (1 Cor 2,1-2). Il mistero pasquale è il contenuto primario del kérygma, dell’annuncio apostolico.
E lo è a tal punto che altri studiosi, basandosi anche sul numero dei versetti, sproporzionato proprio verso la fine, hanno potuto affermare che «i Vangeli non sono che un racconto della passione-morte-risurrezione con un lungo prologo». A conferma che l’«insegnamento» di Gesù non è il prius della fede, ma è subordinato all’«evento» del suo morire e risorgere.
Da qui, dunque, per realizzare il nostro intento di ricerca, l’iniziare dalla «fine»: che è poi il contenuto della predicazione primitiva e la base della fede stessa.
In questo libro pubblichiamo i risultati dell’indagine sulle due prime «tappe» del «Mistero pasquale»: la passione e la morte in croce. Risurrezione e ascensione (che sono oggetto delle puntate de «Il caso Cristo» pubblicate su Jesus) saranno raccolte in un secondo volume, Dicono che è risorto.
Abbiamo eseguito come dei «carotaggi» nel materiale evangelico, per esaminarlo alla luce di quanto possono dire storia, archeologia, filologia, talvolta psicologia; ma anche – se non soprattutto – alla luce di quel volto umile, quotidiano della ragione che è il buon senso. Una qualità che – come vedremo nello specifico più e più volte – spesso non sembra accompagnare l’erudizione di tanti specialisti.
Quanto a me, «specialista» non mi reputo, malgrado ormai più di due decenni di frequentazione tenace della saggistica biblica. Spero però di poter sfuggire all’epiteto poco lusinghiero di «dilettante». Sono infatti consapevole che «dilettante», in quel senso spregiativo, non è tanto colui che non sa abbastanza, bensì colui che non sospetta (e, dunque, non valuta seriamente, facendosi prudente) la complessità dei problemi.
Soprattutto, poi, il Problema per eccellenza, questo di Gesù di Nazareth, nel quale è possibile che alla fine scopriamo (o troviamo conferma) che il nostro destino stesso, e non solo in questa vita, è coinvolto.
Dopo tanta riflessione e ricerca sui versetti greci del Nuovo Testamento e sui testi dei loro commentatori, mi si lasci dire che so almeno di non sapere; e che, dunque, poco mi sento «dilettante», quasi intendessi semplificare abusivamente temi e questioni di cui vedo bene la complessità, le ramificazioni, le implicazioni.
Inoltre, questa mia fatica non è (così, almeno, spero) una resistenza di retroguardia contro la «modernità» e la sua «scienza», ma un tentativo di passare al post-moderno: non certo contro, bensì semmai oltre la modernità, con i suoi idoli ormai pieni di crepe.
Il lettore sia dunque rassicurato: non sono per niente ignaro del fiume di letteratura specialistica, tra Formgeschichte, Redaktionsgeschichte, Wirkungsgeschichte, Religiongeschichte, Schule, Entmythologisierung, Ur-Markus, fonte Q, loghia, agrapha, ipsissima verba, substrato aramaico, nuovi criteri di storicità…
Inoltre, non ignoro, tra l’altro, il travaglio che ha portato la Chiesa cattolica alla Dei Verbum, la costituzione del Concilio Vaticano II sulla Rivelazione: e, dunque, anche sulla Scrittura e la sua lettura attuale.
Né ignoro che logica enigmatica del cristianesimo è, sempre, quella dell’et-et, non quella dell’aut-aut, che contrassegna al contrario l’eresia (la quale, etimologicamente, è uno «scegliere» un aspetto, tralasciando il resto). Il cristiano crede in un Dio al contempo uno e trino; in un Cristo insieme vero Dio e vero uomo; e così via. Dunque, il cristiano sa che la Scrittura è al contempo opera divina e umana; sa che la Bibbia non è il Corano, il cui originale starebbe in cielo e che l’arcangelo avrebbe dettato a Maometto che si sarebbe limitato a trascriverlo.
Una «rivelazione» estranea a tal punto al mondo da non poter neppure essere tradotta dal suo arabo antico.
Per le Scritture giudeo-cristiane, il credente sa che l’ispirazione è divina, ma che la redazione è affidata agli uomini, i quali vi hanno lasciato le loro tracce che tocca allo specialista (e anche in questo senso il suo lavoro è prezioso) identificare, pur nell’attento rispetto del mistero.
Seppure ben lontano, dunque, da ogni ingenuo letteralismo «fondamentalista» o «coranico», non ho però potuto impedirmi di andare a vedere che possa succedere quando – scevri da ogni pregiudizio, anche «scientifico», o presunto tale – si provi a ragionare davvero su quei versetti greci, passandoli al vaglio di tutto ciò che sappiamo. Riconoscendo, ai testi, certo, quel «genere letterario», quel «carattere di predicazione», quella «scelta» e «sintesi» di cui parla il documento del Concilio; ma non dimenticando neppure quanto quei Padri dichiarano solennemente nella stessa costituzione dogmatica: «La Santa Madre Chiesa ha ritenuto e ritiene con fermezza e costanza massime (firme et constantissime), che i quattro Vangeli, di cui afferma senza esitazione (incunctanter) la storicità, trasmettono fedelmente (fideliter) quanto Gesù Figlio di Dio, durante la sua vita tra gli uomini, effettivamente operò e insegnò per la loro eterna salvezza fino al giorno in cui fu assunto in cielo» (Dei Verbum, n. 19).
Ai molti lettori de «Il caso Cristo» che me ne facevano richiesta dedicai una volta, sempre su Jesus, alcune un po’ provocatorie «istruzioni per l’uso» di certa (non tutta, s’intende) saggistica sul Nuovo Testamento. È un «pezzo» che riportiamo nelle pagine che seguono e nel quale anticipiamo e sintetizziamo, almeno in parte, osserv...
Indice dei contenuti
- 1. Ragionando sui Vangeli
- 2. Ipotesi su (certa) critica biblica
- 3. «Giuda, gettate le monete, andò a impiccarsi»
- 4. Il prezzo del tradimento: Akeldamà, «Campo di sangue»
- 5. Ma l’Iscariota è esistito?
- 6. «E la folla gridò: “Barabba!”»
- 7. «Vi è l’usanza che io vi liberi uno per Pasqua»
- 8. «Con lui crocifissero anche due ladroni»
- 9. «Sua moglie gli mandò a dire...»
- 10. Sub Pontio Pilato
- 11. Il prefetto e l’imperatore: due «cristiani»?
- 12. «Lo mandò da Erode Antipa»
- 13. «Ma non disse neanche una parola»
- 14. «Giunse un uomo di Arimatea, chiamato Giuseppe»
- 15. «Era discepolo di Gesù, ma di nascosto»
- 16. «Vi andò anche Nicodemo»
- 17. «Essendo sommi sacerdoti Anna e Caifa»
- 18. «Così rispondi al sommo sacerdote?»
- 19. «Presero un certo Simone di Cirene»
- 20. «Costui ha detto: “Posso distruggere il tempio”»
- 21. «Hanno profanato la tua Santa Casa!»
- 22. «Per impulso di un Dio»
- 23. «Grideranno le pietre»
- 24. «Secondo le Scritture»
- 25. «E lo schernivano: “Salve, re dei giudei”»
- 26. «Poi lo condussero fuori per crocifiggerlo»
- 27. «Prima che il gallo canti...»
- 28. «Non conosco quest’uomo!»
- 29. «E diceva: “Abbà! Padre!”»
- 30. La scuola di rabbì Gesù
- 31. Una storia tutta ebraica: anche nella lingua?
- 32. «Eloì, Eloì, lema sabactàni?»
- 33. «J.N.R.J.»
- 34. «Si fecero tenebre su tutta la terra»
- 35. Palo o croce?
- Al lettore
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