La sfinge russa
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La sfinge russa

Francesca Legittimo

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La sfinge russa

Francesca Legittimo

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La Russia non è comprensibile con la mente non è misurabile con il comune metro. Ha una natura propria, nella Russia si può solo credere. Questi emblematici versi di Fëdor Ivanovi? Tjut?ev sembrano racchiudere la visione che il mondo occidentale ha della Russia, un paese enigmatico e indecifrabile che, proprio come la Sfinge, sfugge a qualsiasi tentativo di comprensione. E se fosse la sua lingua la chiave per svelare i suoi segreti? In ogni lingua ci sono parole che consentono di aprire le porte alla comprensione della mentalità di un popolo, della sua Weltanschauung o, come dicono i russi, del suo "quadro del mondo". Parole come vera (la fede), stroit' (costruire) o toska (melanconia) sono diventate le tappe di un percorso che guida il lettore attraverso territori ancora poco conosciuti, alla scoperta delle radici, della cultura, della storia collettiva e individuale di un Paese ancora troppo legato a immagini stereotipate di matrioške, vodka e icone.

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Informazioni

Editore
Hoepli
Anno
2020
ISBN
9788820397364

A ty menja uvažaeš?

(A ты меня уважаешь?) – Ma tu mi rispetti?

“Ma tu mi rispetti?” – è questa la domanda che l’uomo russo ubriaco pone con voce sbiascicata al suo interlocutore che spesso è il suo compagno di bevute e in quel momento è altrettanto ubriaco quanto lui. Se i latini avevano ragione nel sostenere che in vino veritas, bisogna dedurre che il rispetto o il mancato rispetto stiano molto a cuore ai russi.
Il concetto di rispetto (in russo uvaženie уважение) è in realtà più complesso di quanto si sia soliti credere. Il rispetto può essere inteso come una forma di riverenza formale, una genuflessione più o meno metaforica, una specie di manifestazione di sudditanza dovuta alla presenza di una scala gerarchica. Vi è poi un altro tipo di rispetto che consiste nel riconoscere e ammettere tutto ciò che esiste, noi compresi. Rispettare significa attribuire un valore “1” a ogni persona, pensiero, manifestazione che ci circonda. Dare un “1” a ciascuno equivale a invitarlo a tavola, offrendogli sedia, piatto, posate e vivande. Dare invece uno “0” a un individuo a causa del suo essere, della sua cultura e dei suoi pensieri, significa estrometterlo da quel grande tavolo al quale sono seduti tutti gli esseri umani, senza distinzioni o gerarchie. È assai diverso rispettare qualcuno perché si trova su un gradino più alto della scala gerarchica o semplicemente perché è un essere umano.
In Russia prevale tradizionalmente la prima tipologia di rispetto. Dall’istituzione della Tabella dei gradi da parte di Pietro I nel 1722, il rango (in russo čin) ha rivestito un ruolo cruciale nella società russa e nelle sue dinamiche relazionali. Alcuni racconti di Čechov, per esempio Il grasso e il magro o La morte dell’impiegato sono una perfetta esemplificazione di come il rispetto verso i superiori tendesse a degenerare in una forma di deferenza estrema che giungeva sino all’annullamento dell’io. L’impiegato del racconto di Čechov, che di cognome fa Červjakov (červ’ significa verme, chiara allusione alla natura strisciante del personaggio) muore perché non regge all’ansia provocata in lui dal fatto di avere sputato casualmente sulla testa di un generale durante una rappresentazione teatrale.
È superfluo osservare che chi non rispetta se stesso non potrà mai aspettarsi che gli altri lo rispettino; già Čechov, alla fine dell’Ottocento, parlò della necessità di depurare il sangue russo dal virus della servitù. Nel 1993 il poeta Iosif Brodskij dichiarò con il distacco e l’obiettività conquistati grazie a ventun anni di lontananza dalla patria, che la tragedia fondamentale della vita politica e sociale russa consiste nella profonda mancanza di rispetto nei confronti dell’essere umano. All’origine di questo atteggiamento di disprezzo ci sarebbero quei decenni, anzi secoli, di umiliazione generale in cui ogni uomo veniva considerato alla stregua di un oggetto, sostituibile e assolutamente casuale. Quell’uomo, quel servo, poteva anche essere caro al suo padrone, ma il padrone in fondo si chiedeva sempre: “Ma che roba è questa? Questo è forse un uomo?”.
In una società verticale o piramidale quale quella russa, è degno di rispetto solo chi si trova su un gradino più alto: il padre viene rispettato dal figlio, la maestra dall’alunno, il poliziotto dall’automobilista e così via. In Unione Sovietica, nonostante l’abolizione della proprietà privata o forse proprio in virtù di essa, la struttura gerarchica della società rimase rigida e la cosiddetta nomenklatura, ossia l’elenco delle posizioni di maggiore responsabilità, riproponeva in forma moderna la Tabella dei gradi di Pietro il Grande.
Non può considerarsi casuale il fatto che le lettere formali inizino tutte con la formula “Rispettabili signori” o “Rispettabile Ivan Petrovič” che può essere ulteriormente enfatizzata e diventare un “Assai rispettabile Ivan Petrovič” (mnogouvažaemayj многоуважаемый) e terminino con un seconda conferma del rispetto provato: Con rispetto (S uvaženiuem С уважением) a cui segue la firma del mittente.
Ritornando alla frase iniziale, a quel “Ma tu mi rispetti?”, occorre specificare che questa frase viene solitamente pronunciata quando qualcuno si rifiuta di bere in compagnia. Bere insieme equivale a una dimostrazione di rispetto perché si beve solo con i propri pari. Negare all’altro la propria partecipazione alla bevuta significa quindi offenderlo. Lo stesso avviene anche con il cibo, l’ospite è quasi sempre tenuto a mangiare ciò che gli viene offerto.
E proprio l’offesa e il risentimento o il rancore (obida, обида) rappresentano una delle emozioni fondamentali dell’universo psicologico russo. I vocabolari definiscono l’obida come una forma di compassione verso se stessi unita a una pretesa o aspettativa nei confronti dell’altro. Questo sentimento compare quando l’altro non è abbastanza attento oppure non mi rispetta o non si fida di me. Il suo comportamento, le sue parole o i suoi gesti mi inducono a dubitare dell’amore che io speravo egli nutrisse nei miei confronti. La persona offesa si considera vittima di un’ingiustizia. Il verbo corrispondente (obižat’, offendere), contiene l’idea del non vedere, dell’ignorare. Vengono in mente le considerazioni di Gogol’ sul bisogno di amore che ogni individuo prova, sul desiderio di essere visti, considerati. Qualsiasi vocabolario russo-italiano indica il verbo “offendere” come l’equivalente di obižat’, ma questo è vero solo in parte. Una mamma russa chiede al figlio che si trova nella colonia estiva: “A tebja nikto ne obižaet?”. Difficilmente una madre italiana pronuncerebbe nell’analoga situazione la domanda: “Qualcuno ti offende?”. È quindi lecito pensare che non si tratta dell’offendere nell’accezione italiana del verbo, ma piuttosto del trattare male, di un prestare poca attenzione ai bisogni dell’altro.
Bisogna anche osservare che colui che è vittima di una obida è colpito nei suoi sentimenti, e non nell’onore. L’onore non è in effetti uno dei concetti basilari della mentalità russa.
Ovviamente quando si parla di offese, di rancore, di risentimento, si entra nella sfera della soggettività: lo stesso gesto o comportamento può offendere una persona e lasciare un’altra del tutto indifferente. Determinanti sono le aspettative, ciò che ci aspetta dal proprio prossimo, e qui i russi paiono particolarmente sensibili e quindi anche vulnerabili. Là dove lo stato, nel migliore dei casi, è indifferente ai bisogni dei suoi cittadini e nel peggiore si rivela un nemico crudele e avido, la rete dei rapporti basata sui legami familiari o di amicizia acquista un ruolo fondamentale, diventa l’unica àncora di salvezza nei momenti di difficoltà.
La “Canzone dell’amico” del mitico cantautore Vladimir Vysotskij è la migliore esemplificazione di che cosa significhi per i russi l’amicizia (družba, дружба).
Se un amico si rivela ad un tratto
né nemico né amico, ma solo un po’ così,
se non capisci affatto
se è buono o cattivo
portalo in montagna: fai un tentativo.
Ma non lasciarlo separato,
fai che sia legato a te
e lì capirai chi è.
Se sulla montagna un amico, dico un amico e mica un ah,
subito si lagna o ha un collasso, e ammesso che sul
ghiacciaio
al primo passo sia già depresso
o inciampi in un guaio,
vuol dire che c’è un intruso accanto a te,
non mettergli il muso, ma mandalo via:
lassù hanno chiuso ogni via a genie così e qui
su questa gente non cantano niente.
Ma se non hai udito un lamento,
e se anche imbronciato e accigliato ha camminato,
e quando tu sei caduto dalla roccia
soffrendo ha tenuto,
se in vetta era tutto in fervore,
se è salito contento e spedito
su di lui potrai contare
come su te stesso.
L’amicizia deve essere confermata dai fatti, l’amico (drug, друг) si rivela tale solo nel momento del bisogno, e Vysotskij decide che la migliore prova sia rappresentata da un’ascesa in alta montagna. Nelle ultime parole è espresso il carattere distintivo dell’amicizia, ciò che la differenzia da qualsiasi altro tipo di relazione: il poter contare sull’altro come su se stessi.
Enfatizzando un po’ si può affermare che per i russi l’amico è colui che è pronto ad aiutarti nel momento di difficoltà, mentre per l’uomo occidentale è colui con cui ci si diverte, si trascorre piacevolmente il tempo libero. Per questo tipo di rapporto basato prevalentemente sul piacere di stare insieme, la lingua russa dispone di un’altra parola: prijatel’ (приятель) per l’uomo e prijatel’nica per la donna. La presenza di due parole che corrispondono entrambe all’italiano amico e all’inglese friend attesta il bisogno da parte della comunità dei parlanti di differenziare tra i vari gradi di amicizia. Gli amici sui quali si può contare come su se stessi, citando le parole della canzone di Vysotskij, sono inevitabilmente pochi, due o tre al massimo; i prijateli invece possono essere numerosissimi.
È significativo il fatto che i russi ricorrano al termine inglese friend e abbiano addirittura coniato dei nuovi verbi, zafrendit (“aggiungere agli amici”) e otfrendit’ (“togliere dagli amici”) per indicare le amicizie nate sui social network, spinti evidentemente dal sospetto che questo tipo di amicizia non possa ambire alla nobile designazione di družba. Quel sentimento al quale il poeta Puškin dedicò questi versi:
Amici miei, meraviglioso è il nostro sodalizio!
È come nell’anima, indivisibile ed eterno, saldo, libero
e spensierato
Quando gli amici si ritrovano tra di loro, per lo più obšajutsja (comunicano): questo verbo viene solitamente tradotto con il verbo comunicare, in parte a ragion veduta dato che in entrambi i verbi è contenuto l’aggettivo obščij, “comune”. In realtà la traduzione è precisa solo in parte, dal momento che una frase quale: “Ieri Irina è venuta a casa mia e abbiamo comunicato bene è inconcepibile in italiano. Una traduzione più precisa potrebbe essere: abbiamo chiacchierato amabilmente. In altri casi lo stesso verbo può significare avere rapporti con qualcuno”. (Lena ne obščaetsja so svekrov’ju. Lena non ha rapporti con la suocera). I linguisti ricorrono perciò a una perifrasi per illustrare il vero significato del verbo obščat’sja (общаться): “comunicare con qualcuno per un certo lasso di tempo al fine di mantenere il legame psicologico”.
Comunicare è contemporaneamente una necessità pratica e un bisogno psicologico che accomuna tutti i popoli, ma le modalità della comunicazione differiscono notevolmente da una società all’altra. Contrariamente al luogo comune che considera i russi come degli orsi taciturni, la conversazione nell’accezione più vasta del termine occupa un posto fondamentale nelle terre che si estendono da Kaliningrad a Vladivostok.
Sociologi e linguisti, sia russi sia stranieri, hanno cercato di individuare le peculiarità della comunicazione in Russia. In primo luogo i russi hanno una certa facilità a fare conoscenza, ad approcciare una persona sconosciuta in un luogo pubblico che può essere lo scompartimento di un treno, una spiaggia, un parco. La conversazione è spesso finalizzata a se stessa, nel senso che in occasioni conviviali le persone si riuniscono in primo luogo per scambiarsi delle idee: il mangiare e il bere sono puri pretesti, per cui la qualità del cibo consumato non riveste quel ruolo centrale che ha invece in Italia. La conversazione deve fluire come un fiume ricco d’acqua: i momenti di silenzio sono considerati imbarazzanti, e chi tace viene visto male.
Si predilige un colloquio informale rispetto a uno formale e la linea di demarcazione tra i due è molto netta. Il passaggio dalla forma di cortesia (in russo il voi) al tu non è mai casuale e segnala sempre un’evoluzione del rapporto; in generale è inusuale dare del tu agli sconosciuti, alle persone più anziane o che occupano un gradino più alto della scala gerarchica.
La conversazione più apprezzata è quella po dušam (по душам), a cuore aperto, durante la quale le persone dimenticano qualsiasi remora di tipo psicologico e si sfogano completamente riversando sull’altro il proprio fardello di problemi e preoccupazioni. Domande considerate inopportune in altre culture, come per esempio sullo stipendio, la costituzione della famiglia o la fede religiosa, sono ammesse e comuni già in una fase iniziale della conoscenza. Mentre altri popoli, soprattutto quelli anglosassoni, evitano di toccare argomenti che potrebbero essere fonte di polemiche e discussioni, i russi cercano proprio quelli e considerano il cosiddetto small talk una sciocca perdita di tempo. Le discussioni sono spesso molto lunghe e animate e dato il forte coinvolgimento emotivo assumono spesso le parvenze di un litigio. Un ottimo esempio sono le trasmissioni televisive che ospitano dibattiti politici: i partecipanti non esitano ad alzare la voce, a interrompere un altro partecipante, a ricorrere a una forte gestualità come espressione del loro dissenso. L’oratore persuaso di possedere la verità, cerca sempre di convincere gli altri ed è poco propenso al compromesso. Queste animate discussioni sono poi presto dimenticate e non compromettono la prosecuzione dei rapporti.
Un concetto che non potrà mai attecchire bene in Russia è quello di privacy: non porre domande viene spesso considerato come una mancanza di interesse, di indifferenza. La privacy e lo spazio individuale non sono valori assoluti e intoccabili; diversa è anche la distanza alla quale si tengono le persone durante la conversazione o nei mezzi pubblici. Il contatto fisico non viene evitato, e i 25 centimetri stimati dagli statunitensi come la distanza minima possono ridursi notevolmente. Prassi comune è fare osservazioni agli sconosciuti o a persone che si conoscono poco: può accadere che un passante venga fermato perché ha le scarpe slacciate oppure perché si è infilato il maglione alla rovescia. Sono questi diversi aspetti di una mentalità collettivista che considera tutto affare di tutti.
Estremamente interessante è il fatto che in Russia al giorno d’oggi manchi una forma per rivolgersi a una persona di cui si ignori l’identità: il nostro “signore” o “signora”. Prima della Rivoluzione tali appellativi esistevano, il socialismo reale impose la forma tovarišč, “compagno”, precorrendo in un certo senso le recenti discussioni sul sessismo della lingua in quanto tovarišč valeva sia per le donne sia per gli uomini. Attualmente esistono delle forme quali giovanotto o ragazzo o nonna, ma hanno tutte una precisa connotazione psicologica, rilevano qualcosa sull’atteggiamento che si ha nei confronti di quella persona, non sono forme neutre come signore o Madame.
In generale il crollo dell’Unione Sovietica e la nascita di un nuovo tipo di società hanno provocato una vera e propria rivoluzione a livello linguistico. Se in epo...

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