
- 356 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Informazioni su questo libro
Se sappiamo quello che sappiamo sulla straordinaria rivoluzione artistica della seconda metà degli anni sessanta, di Arte Povera, Arte Concettuale, Arte Processuale e Land Art; se oggi riconosciamo in Boetti, Pistoletto e Zorio alcuni tra i più importanti esponenti della loro generazione; se conosciamo le ultime dichiarazioni di Lucio Fontana o avevamo già letto di figure recentemente riscoperte come quelle di Agnetti, Baruchello, Dadamaino, Mulas e Griffa, lo dobbiamo anche alle cronache, alle recensioni, ai saggi, all'opera editoriale e educativa di Tommaso Trini (Sanremo, 1937).
Questa antologia colma una lacuna durata troppo a lungo e contribuisce a disegnare una mappa più accurata del panorama critico italiano, al di là di un consunto schema bipolare. Attraverso un'attenta opera di ricerca e di confronto condotta da Luca Cerizza in dialogo con l'autore, il volume raccoglie per la prima volta una selezione dell'ampia produzione critica di Trini: dai testi pionieristici dedicati ai futuri protagonisti dell'Arte Povera, alla serie di approfondite letture di altre figure cardine del dopoguerra, fino alle cronache e le analisi che – tra le prime a livello internazionale – definiscono in tempo reale le caratteristiche dei movimenti artistici postminimalisti che agitavano la seconda metà degli anni sessanta. Attraverso questi scritti, Trini si rivela rapido testimone e allo stesso tempo acuto lettore di molta dell'arte migliore di questo mezzo secolo.
Un libro che restituisce agli appassionati d'arte e non solo una brillante scrittura critica, sostenuta da un ritmo e un'intelligenza incalzanti, in cui la partecipazione "militante" non sfocia mai in posizioni settarie e ideologiche.
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Arte generale1
Michelangelo Pistoletto
La realtà circolare di Pistoletto
C’è molta luce nella pittura di Michelangelo Pistoletto. I quadri ne sono colmi, in profondità. Ma è una luminosità bianca, cruda e senza enfasi, come una fiamma che non bruci. Essa però ci attira, poiché l’aria si apre, i colori diventano vivi e le forme riprendono la loro naturale dimensione. Vediamo la realtà mentre entra nella finzione.
Diciamolo, la pittura talvolta soffoca: troppi simboli, troppi segni, troppi gesti, e anche un po’ meno, talvolta danno fastidio come ragnatele sul viso. Si finisce per girare in tondo, invece di andare da qualche parte, resi stanchi dall’oscurità, dal disordine, dal rumore. Le ragnatele sugli occhi ci fanno penosamente seguire coloro che avanzano, che nell’arte sradicano e abbattono. Occorre qualcuno che ci illumini da capo a piedi, come avviene di fronte a questi quadri; potremmo scoprire che l’arte è a un passo da noi. Pistoletto ci attira in un nuovo spazio di luce, dove egli ha fatto piazza pulita: né simbolo, né segno e né gesto. Movimento di luce e basta, ma in esso abbiamo già messo un piede, ciò è subito evidente, non appena ci affacciamo ai quadri. A noi, quindi, decidere di entrare oppure no.
Chi ha detto che si può uscire dalla selva oscura? Ciò che vogliamo è un po’ di luce, un’apertura. Pistoletto l’ha creata. Non so se egli ci stia conducendo fuori della selva oscura. Non ha importanza. Mi basta sapere, vedere, che egli ci ha condotti di fronte a una uscita. La sua pittura, infatti, è uno strumento di comunicazione, un mezzo prima che un fine, un meccanismo sensibilissimo che reagisce alla nostra presenza istantaneamente e globalmente; grazie a essa, noi passiamo dalla realtà alla finzione, e quindi dalla vita all’arte, con la stessa immediatezza con cui parliamo, secondo la stessa necessità per cui i pensieri diventano espressioni.
I quadri di Pistoletto sono costituiti da collage su acciaio lucidato a specchio, il che è presto detto. Ma la creazione, attraverso la materia (superficie riflettente e superficie opaca e colorata) e attraverso la forma (figure d’uomini o d’oggetti derivate da riproduzioni fotografiche a grandezza naturale), si fa più vasta. C’è infatti il movimento della realtà che entra nel quadro, circola in esso, ed esce risultandone ovviamente trasformata; duplice movimento, nello spazio e nel tempo, che non può essere descritto. Come dice Pistoletto: «La fantasia non mi serve. È la realtà che crea le forme. La riproduzione fotografica, ai bordi della realtà, ci presenta l’uomo anzitutto come forma. Lo specchio e la figura, materia e forma, mi permettono entrambi di riproporre la realtà per analizzarla».
Un quadro di Pistoletto è un mezzo prima ancora che una creazione: un mezzo trasparente che non si oppone alla realtà, come fa la tela, che dietro ha il muro. Esso la riflette, affrontandola semplicemente nei suoi limiti, il tempo e lo spazio. Ma ciò che di essa è riflesso non appartiene più alla creazione. Questa esiste nel doppio fondo di cui il quadro dispone e dove tutto muove. Nella pittura di Pistoletto la frontiera tra la vita e l’arte, se non colmata, è tuttavia in movimento. Dov’è? L’analisi è appena cominciata, ed è un’analisi individuale, ripetibile all’infinito. Tuttavia, Pistoletto ci aiuta a restringere il problema, quando dice: «È la realtà che m’interessa, essendone parte come uomo, ed è la figura dell’uomo che ho utilizzato fin dall’inizio per afferrarne i limiti». Questa frontiera sappiamo almeno qual è.
Il mondo reale è ancora una volta al centro della pittura.
Il suo ritorno ha percorso tappe obbligate che potremo riassumere così. Picasso libera la forma; questa diventa linguaggio, creato dall’artista come sua unica espressione; ma ogni linguaggio è convenzionale e ogni convenzione astratta. Si perde di vista il termine di confronto, l’uomo. Ciò è accaduto. Alle sue estreme conseguenze, l’astrazione prende violenta coscienza di questa mancanza. L’uomo, a questo punto, viene versato e costretto sul quadro attraverso il gesto. La gestualità di Pollock è il braccio che scivola e passa, lasciando la sua impronta. Ma la realtà ha maggior peso, essa urge, spinge quel braccio nel quadro. Rauschenberg lo introduce; sul quadro, considerato oggetto, prendono posto altri oggetti, strumenti di pittura. Quindi, con il successivo allargamento operato dalla Pop Art, l’arte figurativa perviene all’oggettività prodotta dal contatto immediato, riconoscibile tra la rappresentazione della realtà e la realtà medesima.
Pistoletto si situa a questo punto, mediante mezzi personali e con una sua espressione. Posizione che l’impossibilità di equivoco creata dai suoi “specchi” rendono risoluta. Questo artista italiano di trentun anni, vissuto sempre a Torino, privo di avventure esteriori, ha realizzato la sua ricerca in solitudine.
Agli inizi, nel 1956, egli accetta la lezione di Picasso: «M’insegnò a essere libero da ogni regola, anche contro la sua. Cominciai quindi con l’uomo costringendomi a esaminare la sua presenza e il significato di questa». Dipingeva il significato, nella gamma delle verità possibili, ma non ancora l’uomo. Guardava a Vedova e ad altri. «Allorché vidi la loro sorgente, Pollock, il quale sostituisce la rappresentazione con l’azione di una realtà che però resta al di fuori dell’opera, compresi che era tempo d’introdurre anche questa realtà.» L’uomo si rivela nel rapporto con la natura del mondo visibile, e questo è indifferente ai significati della storia. Una grande mostra, di Francis Bacon, per cui l’uomo è in situazione, una situazione patologica, provocò in Pistoletto la delusione che lo decise a rompere. L’introduzione della realtà fa naturalmente guardare alla scultura, alle sue soluzioni. «All’inizio ci ho pensato, ma ho subito intuito che per me sarebbe stato un modo per aggirare l’ostacolo. Dovevo costringermi a risolvere il mio problema sulla superficie di un quadro, per tentare di sfondare una dimensione tradizionale, e questo è stato il lavoro condotto passo a passo per due anni.» La soluzione di affidarsi alla riproduzione fotografica, riportata su disegno, soddisfaceva la primaria necessità di lasciare gli oggetti, compresa la figura umana, nel contesto della realtà; le figure vi occupano il loro posto naturale; i colori sono vividi oppure opachi, carichi e sovrapposti come nella realtà fotografica che, dai rotocalchi e dallo schermo, colora la nostra esistenza quotidiana. Inoltre, lo specchio è disposto come una delle tante forme possibili assunte dal mondo visibile. Il risultato è la partecipazione diretta dello spettatore al movimento di quel mondo.
Lo spettatore diventa attore. I personaggi di Pistoletto sono venuti verso di noi, sul limite della superficie del quadro, dal fondo della loro informe oscurità. Essi ci obbligano al dialogo. Questo dialogo, Pistoletto lo ha lasciato in bianco; ci ha soltanto costretti nello schema d’una azione, la nostra presenza. Essere presenti, qui, significa agire, anche inconsapevolmente, anche distrattamente. «Eschilo sapeva che è la vita di questi spettatori distratti che si gioca nella sua tragedia sacra» nota Michael Sonnabend, che ha intuito il potere di rappresentazione drammatica sprigionato dall’opera di Pistoletto. In effetti, questa vive di un movimento che è cinematografico, poiché si differenzia nel tempo. Forse è senza importanza stabilire tale integrazione della tecnica cinematografica nella pittura di Pistoletto, se non per rilevarne la fondamentale espressione, il tempo, di cui quest’ultima si è appropriata.
Presenti, attori, per che fare? Per parlare, quasi certamente, per chiacchierare con noi stessi: possiamo raccontarci il passato, se vogliamo, o fare l’inventario di ciò che ci circonda, come i personaggi di Beckett; per interrogare le figure venute sul limite tra finzione e realtà, o per riconoscerci in esse. Il dialogo, abbiamo visto, è libero. Possiamo persino sognare.
Conosco un vecchio che uscì dalla selva oscura in uno spiazzo illuminato e solitario, per creare in sogno un figlio. Dormiva, dormiva sempre più a lungo, sognando dapprima tutto il caos del suo passato, quindi liberandosene, imparando a sognare sempre più chiaramente. Dopo anni di preparazione, un giorno, egli vide suo figlio che si formava in sogno e così, lentamente, lo crebbe, al caldo, al sicuro. Quel vecchio aveva scelto, fra le infinite possibilità del sogno, la sua storia.
Libero ognuno, di fronte ai quadri di Pistoletto, di fare altrettanto. «Ognuno può trovarci quel che vuole» egli ci dice «io per esempio ci vedo una rappresentazione di tempo; per il momento nient’altro è per me così chiaro.» Una rappresentazione nel doppio fondo della sua pittura, dove esiste un certo spazio in quanto occorre un certo tempo per percorrerlo.
E una volta percorso? Seguiamo quel vecchio, nel racconto Le rovine circolari di Jorge Luis Borges. Un giorno, lo spiazzo illuminato e solitario è avvolto dalle fiamme. Per salvare il figlio, che vive soltanto nel suo sogno, il vecchio fugge, cercando di salvare se stesso. Ma con angoscia scopre che le fiamme non lo bruciano, non lo scottano, neppure lo lambiscono; come suo figlio, anch’egli non esiste, ma è la proiezione del sogno di qualcun altro.
La finzione, nei quadri di Pistoletto, è altrettanto pericolosa. Essi ci spingono a riconoscere la realtà, qualunque cosa ognuno faccia o non faccia. E con la realtà, i suoi limiti. Chi ci assicura su questi limiti? Potremmo scoprire che sono stati spostati oltre le lastre d’acciaio che separano dal fuoco.
(Dattiloscritto inedito datato Londra, 20 marzo 1964.)
Senza titolo
Nei quadri specchianti di Pistoletto c’è un consumo di realtà. Questa si espande nel suo riflesso mediante l’azione e il movimento, ma senza che i quadri agiscano o muovano. Noi percepiamo in essi il nostro passaggio, sotto forma di sdoppiamento, anche restando immobili. Si può ben parlare d’illusione: ci si può domandare che cosa significa questo gioco di riflessi. Dov’è la realtà e dove l’irreale? Dov’è che noi siamo esattamente? Questi quadri possono rispondere con J.L. Borges: «Noi accogliamo facilmente la realtà, forse perché supponiamo che niente è reale». Ma questo sospetto qui non ha importanza. Qui conta l’azione. Essa ci permette di osservare, in una maniera basata sui simboli, la realtà mentre si consuma. Poiché attraverso le superfici specchianti ogni energia virtuale diventa attuale.
Nell’opera di Pistoletto la realtà si riproduce nelle sue dimensioni fondamentali, il tempo e lo spazio. Il loro meccanismo è scomposto dai quadri sia a livello fisico che a livello mentale. La silhouette dipinta da Pistoletto è superficie bidimensionale e insieme memoria. In una sola realtà, due mondi; quello fisico su cui si modella l’opera, creando strumenti capaci di esplorarla; e quello psicologico mentale su cui l’opera interviene. Tra l’uno e l’altro avviene un movimento – anzi, uno scambio – che Pistoletto individua e al quale dà forma. «L’ambiguità di relazione tra l’oggetto e la sua immagine riflessa permette di mantenere una visione non personalistica» dice Pistoletto, e aggiunge: «Essa è implicita nell’operazione che si deve fare, non è il mio fine». Si tratta qui di un’operazione mentale – visualizzare il tempo. L’oggettività di Pistoletto riconosce e accetta anche le presenze ambigue e illusorie. Egli è oggettivo, ma non è contro la soggettività. Egli dipinge e vive.
Non è tutto pittore, non è tutto spettatore. In quanto pittore, riconosce anzitutto che i due mondi che l’interessano sono l’arte e la vita. Il suo procedimento di lavoro consiste quindi nel sovrapporli. Così facendo, si libera di entrambi. Crea allora un varco tra queste due entità ormai acquisite, una zona libera in cui, come egli dice, «si può inserire la pura creazione, il clic della nostra mente». E di fronte ai suoi quadri precisa: «Per me adesso si tratta di riuscire a vivere tra l’immagine dipinta e il fondo specchiante, tra l’arte e la vita, oltre la vita, oltre la linea che le separa».
La realtà come immagine di se stessa. Pistoletto utilizza lastre di acciaio lucidate a specchio. Ha scritto: «Credo che la prima vera esperienza figurativa dell’uomo sia il riconoscere la propria immagine nello specchio, che è la finzione più aderente alla realtà». In altre parole, parte dalla realtà specchiata. È questa che gli indica ciò che bisogna dipingere. Utilizza lo specchio come metodo oggettivo, e non come oggetto in sé. Semplicemente adatta il materiale al particolare scopo di seguire la realtà. È questa che interviene al posto di Pistoletto. Si può ammettere a questo punto che nei quadri, come nello specchio, non c’è pittura. C’è soltanto l’idea della pittura, che non è un’idea astratta, ma è rappresentata dall’immagine concreta fissata sulla superficie specchiante; immagine piatta, immobile.
Questi quadri sono costituiti: 1) da una silhouette incollata sulla superficie e dipinta su carta velina in modo da suggerire la riproduzione fotografica a grandezza naturale; 2) da un fondo specchiante in cui appaiono e muovono le immagini riflesse dello spettatore e dell’ambiente circostante. Una volta stabilito l’effetto specchiante, la scelta del mezzo fotografico e del soggetto non dipende più da Pistoletto. È connaturata con il tipo di strumento messo in opera: «Se la realtà fosse a pois, io incollerei immagini a pois». In pratica non c’è soggetto, poiché non può essere differente da quello che è nella realtà specchiata.
Recentemente Pistoletto ha utilizzato un fotogramma tratto dal libro di immagini in movimento di Muybridge, The Human Figure in Motion. Tutte le sue silhouette possono essere considerate singoli fotogrammi della presenza dell’uomo e delle cose. In tal senso, esse non hanno storia. Talvolta rappresentano l’uomo alienato tra la folla solitaria, visto di spalle o di profilo, in toni grigi; e tal’altra, l’uomo impegnato in una marcia di protesta politica, in toni più vivi, simili alla stereotipata colorazione presentata dai rotocalchi, da Life. Noi li vediamo vivere gomito a gomito e formare insieme il monumento dell’anonimità quotidiana. Martin Friedman ha scritto che «l’opera di Pistoletto è una apoteosi dell’ordinario». Ma la loro anonimità e impersonalità è implicita nel potere riflettente dei suoi quadri. Ai fini della sua ricerca, l’uomo alienato e l’uomo impegnato si equivalgono. Poiché non sono trattati come simboli, ma semplici fotogrammi del presente. Gli permettono entrambi di considerare «il quadro come una concentrazione dell’universo visibile, non come un frammento di realtà riflesso nello specchio».
Diverse e contraddittorie, queste immagini mostrano, come egli dice, che «anche in questi quadri come nella vita reale noi siamo circondati da azioni pacifiche e da azioni violente». Sono azioni che tendono a livellarsi, le une sovrapposte alle altre, e anche ad annullarsi, private ormai della loro originaria energia. Qui le vediamo entrare in una sorta di tempo permanente e manifestare la loro condizione entropica.
Queste immagini rammentano a taluni il cinema di Fellini, Antonioni, Resnais, e la fenomenologia della École du regard. Una certa iconografia della vita contemporanea può ritrovarla chiunque, basta che si specchi. Così è accaduto nel lavoro di Pistoletto. Ciò che piuttosto è implicito in esso è la tecnica cinematografica. A Pistoletto piace molto andare al cinema: «La storia m’interessa, certo, ma ciò che mi affascina è il meccanismo delle immagini». Le leggi dello spazio e del tempo cinematografici, le relazioni tra staticità e dinamismo, le possibilità di durata e simultaneità, la meccanicità della riproduzione, sono altrettante dimensioni che interessano direttamente la sua ricerca.
Il tempo come protagonista dell’avvenimento. Il suo primo quadro specchiante, esposto a Torino nel marzo del 1962, Pistoletto lo intitolò Il presente. (Avrebbe voluto intitolare così tutti i quadri successivi, ma poi per praticità li distinse con titoli diversi.) Egli è stato fin dall’inizio ben cosciente della loro capacità di visualizzare il tempo: lì dentro, il movimento diventava tempo. Anzitutto, essi definiscono automaticamente lo spazio nelle sue tre dimensioni tradizionali, mediante la bidimensionalità della superficie e la profondità del fondo specchiante. Le relazioni di spazio sono istantanee. Su tale istantaneità si innestano quindi le relazioni di tempo. Tra lo spettatore e il suo riflesso, tra il riflesso e la silhouette, tra la silhouette e lo spettatore, i rapporti sono simultanei. L’istante li accomuna, simili a comparse di un avvenimento regolato dal tempo, che è il vero protagonista di questi quadri.
Inoltre, tra le comparse s’instaurano rapporti di durata. L’universo visibile è concentrato nei quadri attraverso le forme del passato, del presente e del futuro. Questi tempi sono indicati dagli stessi elementi che costituiscono il quadro:
- la silhouette è un fotogramma scattato nel passato. «Un souvenir, une ombre du passé» l’ha definita Alain Jouffroy, per il quale «l’espace miroitant devant lequel les personnages de Pistoletto se détachent est celui de la mémoire que nous nous formons de notre vie instant par instant»;
- lo spettatore e la realtà specchiata sono al presente, che noi percepiamo nel movimento con cui il reale si fa illusorio;
- il gesto interrotto della silhouette, la sua morte, a cui noi sopravviviamo, ci indica che rispetto a esso siamo nel futuro.
In effetti, in questi quadri, passato e futuro vengono a coincidere con il presente. Se, per esempio, l’immagine riflessa produce l’illusione di trasferirsi nel passato, insieme con la silhouette alla quale si sovrappone, ecco che noi reagiamo: è adesso che noi ci riflettiamo. Trasferiamo anzi la silhouette al presente insieme con la nostra immagine riflessa. In tal modo il passato diventa attuale. Lo è anche il futuro. Lo vediamo già, senza necessità di prefigurarlo, oltre il gesto interrotto, e siamo consapevoli che l’azione avviata nel fondo è destinata in ogni modo a continuare. «L’esperienza del passato e la possibilità del futuro non hanno valore in sé» sostiene Pistoletto «servono unicamente per un movimento nel presente.»
Il tempo come spazio non percorribile. Nella galleria Sperone, davanti a uno dei suoi quadri, c’era una ragazza in minigonna. Si guardava le gambe nell’immagine riflessa. Sul quadro c’era la silhouette di una donna nuda, con le sue gambe accavallate, il suo color carne, la sua bellezza. La ragazza osservava le gambe nude della silhouette. Le confrontava con il pensiero al...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Il libro
- Introduzione
- Prima Parte - Saggi
- 1. Michelangelo Pistoletto
- 2. Ettore Sottsass jr.
- 3. Gilberto Zorio
- 4. Alighiero Boetti
- 5. Enzo Mari
- 6. Lucio Fontana
- 7. Piero Manzoni
- 8. Mark Rothko
- 9. Gianni Colombo
- 10. Nanni Strada
- 11. Giulio Paolini
- 12. Vincenzo Agnetti
- 13. Piero Gilardi
- 14. Giorgio Griffa
- 15. Gianfranco Baruchello
- 16. Sol LeWitt
- 17. Ugo Mulas
- 18. Marisa Merz
- 19. Andy Warhol
- 20. Luciano Fabro
- 21. Dadamaino
- 22. Giuseppe Spagnulo
- 23. Ettore Spalletti
- 24. Mimmo Rotella
- 25. Vasco Bendini
- 26. Roman Opałka
- 27. Giovanni Anselmo
- Seconda parte - Cronache e polemiche
- 28. Intervista con Lucio Fontana
- 29. Nuovo alfabeto per corpo e materia
- 30. L’immaginazione conquista il terrestre
- 31. Trilogia del creator prodigo
- 32. Intervista con Arturo Schwarz
- 33. L’opera sparita e diffusa
- 34. Critica e identità
- 35. Intervista con Ian Wilson
- 36. Strategie dopo le avanguardie
- 37. Anselmo, Penone, Zorio
- 38. Intervista con Fabio Mauri
- Ringraziamenti
- Gli e-book di Johan&Levi
- Copyright