
- 53 pagine
- Italian
- ePUB (disponibile sull'app)
- Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub
Informazioni su questo libro
È il 1937 e la Spagna è dilaniata dalla guerra civile. A luglio un servizio della rivista Life traccia il funesto bilancio delle vite falciate in un anno di scontri e riproduce una fotografia destinata a fare il giro del mondo diventando un'icona dell'eroismo repubblicano: il Miliziano colpito a morte di Robert Capa. Lo scatto mette sotto gli occhi di tutti la morte in diretta di un combattente raggiunto in pieno volto da un proiettile nemico. Ma è davvero così? All'apice di un conflitto tanto radicalizzato sul piano ideologico, lo sguardo dei corrispondenti di guerra è necessariamente di parte.
Dagli anni settanta tra i commentatori di quest'immagine s'insinua un sospetto e cominciano a emergere molti dubbi sulla sua veridicità. Si arriva addirittura a sostenere che sia il risultato di una vera e propria messinscena. L'opera che ha dato origine al mito del fotoreporter di guerra con la Leica al collo mentre si getta nella mischia sarebbe allora un falso? Si scatena così un vero e proprio "affaire Capa", un processo a puntate al fotogiornalismo che vede accusatori e difensori coinvolti in un'accesa disputa sul luogo della tragedia, sull'identità del miliziano ucciso e sulla sequenza degli scatti realizzati. Il baricentro di tutte le argomentazioni avanzate dalle parti in causa è sempre l'autenticità, sacro requisito del fotogiornalismo.
Con l'abilità di un investigatore Vincent Lavoie ricompone un mosaico di testimonianze dirette, ricerche documentali e perizie criminalistiche, ma anche di incongruenze, negativi falsificati e depistaggi. Un'indagine sulla verità in fotografia incisiva e avvincente che ripercorre le tappe di una controversia senza precedenti e che, in tempi di fake news e di reiterata manipolazione delle immagini, si rivela di una folgorante attualità.
Domande frequenti
Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
- Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
- Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a L'affaire Capa di Vincent Lavoie in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Arte e Fotografia. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.
Informazioni
Argomento
ArteCategoria
Fotografia1
La parola dei testimoni
La diffidenza di Phillip Knightley nei confronti dei principali attori istituzionali del giornalismo di guerra – redazioni delle grandi riviste e dei quotidiani, servizi stampa delle agenzie governative ecc. – è grande. Per tutto il volume egli contrappone i rappresentanti dell’establishment mediatico ai giornalisti, o almeno a quelli in cui, non senza ingenuità, riconosce la sincerità degli autentici reporter. Il giornalista nasce buono, è il giornalismo a corromperlo: sembra essere questo il motto di Knightley, che cerca costantemente nella parola dei reporter “imparziali” i segni di un’informazione autentica. Convinto che le redazioni e l’ambiente della stampa in generale distorcano i fatti a beneficio di ideologie o interessi particolari, Knightley si rivolge naturalmente alle fonti di prima mano, ovvero spesso ai testimoni degli eventi in questione o ad alcuni giornalisti esasperati dal controllo e persino dalla censura di cui sono oggetto. L’intervista è la forma che predilige, perché a suo dire gli permette di raccogliere informazioni non ancora filtrate o alterate dal lavoro dei redattori. Alle parole scelte dai professionisti dell’editoria, Knightley preferisce l’assertività delle testimonianze, che sono, a suo parere, le più consone ad avvalorare i fatti registrati dalle immagini. Per l’autore del Dio della guerra è importante che le immagini siano autenticate dai testimoni dei fatti, quegli stessi cui la presenza effettiva sul teatro delle operazioni conferisce un’incontestabile autorità. Il credito attribuito alla parola dei testimoni rivela non soltanto una grande fiducia nella veridicità dei racconti riportati dai protagonisti degli avvenimenti, ma anche una diffidenza nei confronti del valore testimoniale delle immagini, ovvero verso la loro capacità di mostrare e raccontare da sole gli avvenimenti. Tale sospetto non esprime una semplice precauzione metodologica tesa a ricordare che i significati attribuiti alle immagini giornalistiche dipendono da un insieme di considerazioni di ordine editoriale e tecnico. Esso manifesta in realtà una concezione per cui le immagini fotografiche sono inadatte a costituire testimonianze probanti dei fatti – una concezione che trae la sua legittimità dalla dottrina giuridica stessa.
Knightley e l’attestazione testimoniale
Non sorprende certo che l’opera di Knightley, scritta in piena guerra del Vietnam, risuoni delle efferatezze raccontate da reporter e fotogiornalisti coevi, come si constata leggendo i due capitoli dedicati a quel conflitto. Knightley intervista per esempio il giornalista di Time John Shaw, ai tempi corrispondente dal Vietnam, che approfitta dell’occasione per denunciare la sordità di certi direttori di giornali americani alle informazioni riportate dai loro stessi reporter inviati all’estero, a tutto vantaggio di quelle diffuse dai servizi stampa della Casa Bianca e del Pentagono.1 Incontra anche il fotogiornalista britannico Philip Jones Griffiths, le cui immagini di civili vietnamiti feriti o uccisi non sono ben accolte dai direttori dei giornali americani.2 Griffiths confida a Knightley che era diventato uno sforzo vano, poco dopo il massacro di My Lai,3 render conto delle violenze perpetrate dai militari americani ai danni della popolazione civile vietnamita.
Knightley applica il suo metodo d’inchiesta a tutte le guerre del XX secolo, intervistando testimoni di eventi che risalgono a volte sino alla Prima guerra mondiale. Questa pratica dell’intervista non è estemporanea: nasce dalla ferma convinzione – ribadita per tutto il libro – della veridicità della parola dei testimoni, che si tratti di giornalisti o di semplici civili. Il testimone, avendo vissuto in prima persona gli avvenimenti, è per Knightley l’interlocutore ideale per ogni opera di verifica di fatti che si suppone siano stati alterati dai media. Come precisa Paul Ricœur, il testimone trae la sua legittimità dal soddisfare diverse condizioni, tra cui quella di essere stato effettivamente presente sui luoghi dell’evento, circostanza espressa in modo esemplare dall’affermazione “io c’ero”.4 L’affidabilità della sua parola è strettamente legata alla sua esperienza diretta dell’avvenimento. È per questa ragione che il testimone è autorizzato a descrivere la scena vissuta e a certificarne la realtà fattuale. Ugualmente, il sociologo Renaud Dulong, in uno studio dedicato alle condizioni sociali dell’attestazione personale, sottolinea che l’espressione “io c’ero”, oppure “io l’ho visto”, conferisce alla testimonianza un supplemento di verità in virtù del carattere autobiografico dell’enunciato in prima persona. In tal modo
la persona si impegna a rispettare la verità di ciò che racconta, accetta in anticipo le conseguenze sociali, prevedibili o meno, di questa dichiarazione particolare, saldando definitivamente ciò che è raccontato a colui che lo racconta.5
È questa certificazione dei fatti che Knightley ricerca attraverso le sue conversazioni con i protagonisti e i testimoni dei conflitti che prende in esame, tra i quali, ovviamente, la Guerra civile spagnola. Vari testimoni saranno dunque chiamati a deporre nel capitolo dedicato a questo conflitto, e in particolare nel passaggio che contesta l’autenticità del Miliziano colpito a morte. Poiché la testimonianza, nella consuetudine, è assimilata alla deposizione giudiziaria, non stupisce che Knightley abbia privilegiato questa forma di attestazione nella sua crociata volta a ristabilire i fatti che concernono l’immagine di Capa. La testimonianza gli offre infatti ciò di cui ha bisogno per legittimare le sue accuse: un metodo di autenticazione dei fatti convalidato dall’istituzione giudiziaria, una parola attestata da un’esperienza appurata, una prova orale fornita da un testimone ritenuto credibile. Certo, l’affaire Capa non viene giudicato dai tribunali, ma i metodi di verifica di cui Knightley si avvale “giudiziarizzano” il dibattito dando la precedenza alla parola di chi, al pari di Capa, ha vissuto gli avvenimenti della Guerra civile spagnola.

Philip Jones Griffiths, Civile ferito. Quang Ngai, Vietnam, 1967, dalla serie Vietnam Inc., pubblicata sulla copertina del Sunday Times Magazine, 13 febbraio 1972. Collezione privata.
Poiché la credibilità della prova orale dipende molto dalla reputazione dei testimoni interrogati, Knightley si rivolge a personalità la cui integrità etica sia al di sopra di ogni dubbio. Interroga per esempio il fotografo Henri Cartier-Bresson, che nel 1937 dedicò il suo primo documentario, Victoire de la vie, agli ospedali della Spagna repubblicana. Cofondatore dell’agenzia Magnum nel 1947, insieme tra gli altri proprio a Capa, il fotografo francese è la persona adatta per fornire a Knightley informazioni affidabili e credibili sull’autore del Miliziano colpito a morte. Non gli sarà tuttavia di alcun aiuto, poiché affermerà di non essere stato in compagnia di Robert Capa nel momento del celebre scatto.6 Knightley si rivolge allora a Stefan Lorant, fondatore del settimanale illustrato Picture Post, che nel 1938 aveva definito Capa “il più grande fotografo di guerra al mondo”. Ma nonostante la grande stima che tributa a Capa, Lorant non offre informazioni che attestino la sua presenza a Cerro Muriano nel settembre del 1936, o che convalidino l’autenticità dello scatto. Risulta apparentemente più loquace il drammaturgo canadese Ted Allan, soldato di ventura nelle brigate internazionali e membro del servizio canadese di trasfusioni di sangue per l’esercito spagnolo diretto da Henry Norman Bethune. Allan incontrò prima Capa a Madrid e in un secondo momento Gerda Taro; si trovava con lei quando fu schiacciata da un carro armato a Brunete nel luglio del 1937. In una lettera indirizzata a Knightley e datata 4 ottobre 1974, Allen afferma di aver avuto una conversazione con David “Chim” Seymour dopo la pubblicazione del Miliziano colpito a morte,7 nel corso della quale quest’ultimo avrebbe sostenuto che Capa non ne era l’autore. Ma la conversazione risale a molti anni addietro, e Allan non riesce a ricordare se Chim se ne fosse attribuito la paternità o se avesse indicato Gerda Taro come autrice dell’immagine.

Jacques Lemare, Henri Cartier-Bresson e Herbert Kline, Quinto, ottobre 1937. Foto Unit #: D041, ottobre 1937; Harry Randall: Fifteenth International Brigade Films and Photographs; ALBA PHOTO 011; item: 11-0818. Tamiment Library/Robert F. Wagner Labor Archives, Elmer Holmes Bobst Library – 70 Washington Square South, New York, NY, 10012, New York University Libraries.
Una seconda testimonianza, resa da O’Dowd Gallagher, avrà conseguenze ben più rilevanti. Questa la sostanza, come la riferisce Knightley a seguito dell’intervista con il giornalista:

Ritratto di Robert Capa realizzato da Gerda Taro, in Picture Post, 3 dicembre 1938. Collezione privata.
Gallagher racconta che a un certo punto, durante la guerra, lui e Capa abitarono la stessa stanza d’albergo. Per vari giorni l’attività al fronte si era ridotta e Capa e altri si lamentarono con gli ufficiali repubblicani dicendo che non riuscivano a fare fotografie. Alla fine, afferma Gallagher, uno degli ufficiali gli disse che avrebbe incaricato un certo numero di soldati di accompagnare Capa in un posto vicino, dove c’erano delle trincee. I soldati avrebbero inscenato una serie di manovre sul terreno affinché i fotografi potessero fare il loro lavoro. Capa ritornò la sera, molto contento delle fotografie scattate. Gallagher afferma che quando venne pubblicata la fotografia intitolata “l’istante della morte” si complimentò con Capa per l’aspetto genuino proprio della fotografia a causa dell’immagine leggermente sfocata. “Lui (Bob) si fece una bella risata e disse: ‘Se vuoi delle belle istantanee di guerra, l’obiettivo non dev’essere mai perfettamente a fuoco. Se la mano ti trema un po’, viene fuori una splendida foto che sembra scattata in pieno combattimento’.”8
Le parole di Gallagher hanno un peso schiacciante perché inficiano tutti gli attributi di autenticità e veridicità su cui si fonda il valore emblematico del Miliziano colpito a morte. Affermando che l’immagine è una messinscena organizzata al solo scopo di produrre un simbolo della resistenza armata, Gallagher priva la fotografia della sua esemplarità, fondata sino a quel momento sulla cristallizzazione dell’attimo parossistico della morte eroica di un miliziano in combattimento. Sostenere che l’immagine sia frutto di una messinscena ne annulla radicalmente il valore canonico e scuote dalle fondamenta buona parte della storiografia del fotogiornalismo, che fonda la sua autorevolezza sul carattere improvvisato della scena.9 Ancora più gravi sono le affermazioni secondo cui Capa, impaziente di ottenere delle fotografie di guerra, si sarebbe accordato con le truppe spagnole. Avrebbe così violato una delle regole fondamentali dell’etica giornalistica: il divieto di qualunque intervento diretto sulla realtà. Ne viene intaccata la sincerità stessa del fotografo, la sua onestà di corrispondente di guerra. Un altro commento che aggrava la posizione di Capa e infama la sua reputazione allude al fatto che la realizzazione della fotografia non sia il frutto di un rischio veramente corso ma di un pericolo soltanto simulato. Insinuando che le imprecisioni dell’immagine siano il risultato di una menzogna bella e buona e non la conseguenza di uno scatto effettuato in condizioni imprevedibili e rischiose, Gallagher attacca la credibilità di Capa dipingendolo come un falsificatore.
La prima risposta alle affermazioni di Gallagher riferite da Knightley verrà da Richard Whelan, nella sua biografia del 1985. Convinto che la fotografia di Capa mostri un miliziano colpito da una pallottola nemica, e certo dell’onestà giornalistica del fotografo, Whelan mette in dubbio il valore del racconto di Gallagher, testimone principale di Knightley. Non gli sembra credibile che il giornalista sudafricano avesse condiviso con Capa nel 1936 una camera d’albergo; Whelan ritiene che i due non si fossero incontrati prima dell’autunno del 1938,10 se non addirittura del gennaio del 1939, quando Capa fotografò Gallagher in compagnia del giornalista Herbert Matthews. Questa prima risposta appare tutto sommato debole, e l’affaire Capa ha un esordio alquanto incerto. Innanzitutto, la biografia di Whelan esce dieci anni dopo la pubblicazione del libro in cui Knightley lancia le sue accuse. Whelan e i difensori della reputazione di Capa – in primis l’ICP di New York – non avvertirono evidentemente alcuna necessità di opporre una pronta risposta alle affermazioni di Gallagher. Inoltre, l’attacco sferrato da Whelan a Gallagher non è dei più violenti. Certo, il biografo scredita le affermazioni del giornalista, ma la sua difesa lascia intendere che in definitiva ciò che importa non è tanto la verità effettiva dei fatti fotografati quanto il valore simbolico dello scatto. A proposito del desiderio di verità che anima Knightley, Whelan arriva a dire che

Robert Capa, fotografia di alcuni giornalisti, tra cui Herbert Matthews (all’estrema sinistra) e O’Dowd Gallagher (all’estrema destra), Barcellona, gennaio 1939. © International Center of Photography/Magnum Photos. In basso, il retro della stampa. © International Center of Photography.
insistere nel voler sapere se la foto mostri veramente un uomo nel momento in cui è stato colpito da una pallottola è al tempo stesso morboso e insignificante, poiché la grandezza dell’immagine risiede in definitiva nelle sue implicazioni simboliche, non nella sua precisione letterale nel registrare la morte di un particolare uomo.11
Relativizzare così l’importanza dei fatti a vantaggio della rete di significati che la fotografia di Capa dispiega non avvalora necessariamente la tesi dell’autenticità di questa immagine. La scarsa attenzione che Whelan sembra riservare alle ricadute storiografiche delle affermazioni di Gallagher tradisce in fondo la fragilità della sua controffensiva. È sorprendente che il biografo all’epoca non avesse preso in considerazione le parole di Gallagher riportate in The Camera at War di Jorge Lewinski, un libro pubblicato nel 1978. La circostanza è ancora più singolare se si considera che l’autore ringrazia vivamente Knightley per i suoi “innumerevoli consigli e [le sue] informazioni” e Gallagher per “reminiscenze e ricordi”. La pubblicazione di questi ringraziamenti in apertura esprime un ossequio nei confronti dei detrattori di Capa che Whelan non ha colto. Le parole di Gallagher riprodotte da Lewinski – ottenute grazie a una nuova intervista – sono tuttavia tali da mettere in discussione la strategia argomentativa di quanti condividono il suo punto di vista. Questa testimonianza differisce infatti per più di un aspetto da quella resa tre anni prima a Knightley. Gallagher ribadisce che Capa ha fotografato semplici manovre militari e non reali combattimenti, ma ora sostiene che tali manovre si siano svolte nel nord della Spagna, ossia in territorio nazionalista. Inoltre – elemento ancora più rilevante – le simulazioni di attacchi destinate alla propaganda sarebbero state orchestrate dalle truppe franchiste, e non dai repubblicani, come pure aveva affermato nel 1975:
La maggior pa...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Il libro
- Frontespizio
- Dedica
- Introduzione
- 1. La parola dei testimoni
- 2. La risposta documentale
- 3. Le perizie criminalistiche sull’immagine
- Conclusioni: arringhe finali
- Ringraziamenti
- Note
- Bibliografia
- Gli e-book di Johan & Levi
- Copyright