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Revival o l’arte del ricordo
Ricordo: il mezzo per richiamare alla mente immagini, nozioni, persone, avvenimenti. Lo spazio creativo talvolta è occupato, per sostituzione, dalla rievocazione nostalgica.
Vita (senso della): taluni vogliono che consista nell’accesso alla conoscenza del mondo vivente e non.
Libido: la si incontra, in specie all’alba e al tramonto, lungo il sentiero dei desideri filante tra i cespugli dell’immaginazione. Oppure basta un bel materasso.
Camera da letto: nel grande guardaroba della casa di campagna, nella mia stanza, durante la guerra, oltre ai corredi, vi si riponevano delle provviste, in grandi vasi di vetro dal tappo smerigliato. Riso, farina bianca, zucchero e qualche scatoletta. Quando la si mangiava, quella roba, tutto sapeva di naftalina. La stanza accanto era quella dei genitori. Si coricavano più tardi, spesso discutevano e talvolta mi svegliavano. Vi era anche una porta di comunicazione.
Lago: quello dipinto a calce sul plafone della mia stanza mi aiutava a riprendere sonno.
Porte: il passato spesso filtra da un’anta socchiusa. Voci, rumori, odori di fritto e di acqueragie, balenii del presente, fantasmi della memoria. Fatti, cose, persone, tutto diviene estatico, staccato, lontano, forma o percezione vuota di oggetti, di eventi, virtualità lineare o scansione di tempi, sostituzione onirica. Poi ogni dettaglio si perde nell’estasi. E l’estasi, secondo taluni, oggi può essere ridondante, grassa, in una parola, obesa. In tale stato, a causa della mole e del peso, l’estasi avrà i movimenti lenti, difficili, per non dire implausibili: sarà quindi vicina alla sua forma perfetta, che è quella statica, ovvero es-tatica.
Autoritratto allo specchio, 1981.
Armadi, cassettoni: se apro l’anta dell’armadio o il ripiano del cassettone, un sentore di camicie e mutande, di cravatte e abiti smessi ripropone i miei travestimenti: i vestiti da lavoro, la giacca da pittore, gli abiti per le relazioni sociali, amorose, familiari. Sino a quello da cerimonia, autorizzato per sponsali, melodrammi scaligeri e feste varie. Una volta avevo un bell’abito di velluto nero a piccole coste. Amo molto il velluto perché attira la polvere e i ricordi.
Polvere e ricordi: ci vuole l’aspirapolvere.
Imitare, copiare: «Il plagio è necessario. Il progresso implica il plagio!» esclama Lautréamont.
Colore: il colore dei ricordi è spesso “color di can che fugge”, come succede anche nei sogni. Secondo alcuni autori foné e cròma nella memoria si fondono; secondo altri «l’arcobaleno non si inscrive in un luogo geometrico e il suo cromatismo non prescinde dalla voce». La voce anzi denoterebbe «il punto di astrazione del colore».
Cosa vuol dire?: i messaggi concettuali trasmessi dai suoni differiscono dai messaggi preconcettuali contenuti nell’incatenamento dei suoni stessi e dei ritmi. Conseguentemente nel linguaggio la forma ha una struttura manifestamente granulare e le parole sono degli assemblaggi, dei collage di atomi significanti, fonici e scritturali. In seno alla scrittura, come nella psicopatologia della vita quotidiana, è la disposizione del lettore che cambia il testo nel senso da lui voluto. È il lettore che fa lo scritto. Se lo scritto è incomprensibile, peggio per lui, è colpa sua.
Come cavarsela?: chi vivrà vedrà. Comunque tal Alvin Silverstein (nella Conquista della Morte, Sperling & Kupfer, Milano 1982) mi dice perentoriamente: «Siamo in corsa contro la morte. Riusciremo a debellarla. Qualcuno di noi diventerà emortale (Alvin vuol dire “immortale”, N.d.A.). Se sopravviverai per i prossimi dieci anni potrai vivere indefinitamente giovane». E non è il solo. Un tal Alan Harrington afferma che la morte è un’imposizione che la razza umana non può più accettare.
Può l’inevitabile essere terapeutico? Certo! E quindi, guariti dalla morte grazie alla morte stessa, vivremo sempre giovani, aitanti, stile executive, sessualmente superdotati e soprattutto non avremo bisogno di ricordare perché il passato sarà un eterno presente.
Autobiografia: tra dieci anni saremo immortali, quindi non avremo più bisogno di autobiografarci. Facciamo dunque un po’ presto, lì alla Rizzoli! Prego, dottor Edmondo Aroldi, e lei, Dario Moretti, suvvia, andiamo in stampa!
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Autobiologia
L’emortalità di Alvin Silverstein sa di emofilia, emorragia, ematoma, emoscambio e via dicendo: sa di sangue.
Preferiremo quindi parlare di immortalità, tendenza aberrante ma, pare, insopprimibile nell’uomo, sia che questi voglia lasciar traccia di sé colle opere, sia che voglia perpetuare sé e la propria specie attraverso la discendenza, i figli. Questa inclinazione alla proliferazione demografica, tendenza che ampiamente e ripetutamente mi possedette a più riprese è, secondo Lévi-Strauss, riconducibile a modelli culturali. La cultura sino a ora ha sempre mirato alla propria sopravvivenza al di là dei suoi artefici. Errore gravissimo: oggi il principio di immortalità va nuovamente trasferito in capo agli artefici, agli individui. Adamo infatti, prima di commettere il peccato originale facendo il fotti-fotti, era immortale e stava benissimo. Oggigiorno per avere qualche probabilità di successo nell’impresa di recupero dell’immortalità, bisognerà sottostare a una serie di regole, di controlli e di verifiche frequenti.
Anzitutto, abolire Bacco e tabacco: quanto a Venere, che gli esercizi erotici siano igienici, misurati, deodorati, sportivi e ben programmati, sempre ricordando che “Venere riduce l’uomo in cenere”. Metodologicamente le parti o organi addetti alla bisogna devono essere ben confezionati, con spirali, ovuli, deodoranti e schiumogeni per lei, al fine di evitare una prolificità ormai inutile e di conservare un alto grado di igiene topica. Mentre lui avrà cura di indossare opportuni cappucci elastici, un tempo volgarmente detti “goldoni” e oggi definiti pianificatori familiari, del tipo long act; detti cappucci a calibratura ritardante, oltre all’effetto barriera contro spirochete pallide e gonococchi, funzioneranno da temporizzatori sincronici, ravvicinando nel tempo la soglia del godimento maschile, la cui attuazione è di frequente prematura, a quella dell’orgasmo femminile, che è frequentemente a effusione ritardata.
E poi che i controlli siano frequenti. Anzitutto la Wassermann e che sia positiva! Mi raccomando! Quindi controllare glicemia, colesterolemia, HDL e LDL, trigliceridi, azoto, creatinine, albumine, globuli, piastrine, trombociti, monociti, emazie, leuconebulizzazioni e sedimentazioni, e via dicendo: e sperare che tutto sia fuori posto, almeno potremo approfittare della efficientissima assistenza medica statale che comunque siamo obbligati a pagarci salatamente mediante addizionale sull’IRPEF. Se un medico non ti ordina medicine, protesta, va’ all’Unità sanitaria locale, fattelo cambiare. Se non ti ordina, in supposte, filmoidi o capsule che siano, un bel complesso pirazolinico di 4 (N-metil-N-nicotil)-amino-2, 3-dimetil-1-fenil-2-pirazolin-5-jone associato a tiamindisolfuro, se non te lo ordina, ripeto, come fai? Come ci resti? Come fai ad andare in farmacia a comprarti tutto per niente, come fai a fare affari a spese dello Stato?
Mi son fatto gli esami poco fa e anche il cardiogramma. Dicono che non devo fumare, che non devo bere, che bisogna mangiare poco e male, stile nouvelle cuisine.
Dell’erotismo poi non se ne parli nemmeno. Vietatissimo, dato che sono colpevole: a) di avere troppi figli; b) che mi piace la mia donna e basta; comportamenti questi che lasciano intravedere – in congiunzione con la netta devianza ecologico/naturalistica che verrà di poi focalizzata – una sindrome schizoide afferente a metodologie che sottraendosi alla generale pianificazione e sanitarizzazione lasciano supporre ampie lesioni al sistema neurogenitale, con conseguente non flessibilità delle strutture culturali inerenti.
Siffatti atteggiamenti si opporrebbero al nuovo progetto sociale. Tale progetto, finalizzato a ricondurre a sintesi puntuale la corrispondenza tra obiettivi e risorse secondo un modulo di interdipendenza orizzontale, verrebbe eluso proprio nella verifica critica degli obiettivi istituzionali e nella individuazione delle aree culturali qualificanti anche a livello biomedico.
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Le macchine del tempo: Alfred Jarry, Giorgio de Chirico, Raymond Roussel
Per scrivere di cose del passato o di cose del futuro è bene munirsi, come raccomandava Alfred Jarry che nel 1898 ne forniva dettagliate istruzioni per costruirla, di macchina atta a esplorare il tempo.
Le concezioni spaziali e temporali dominano la nostra vita, dato che ci muoviamo in estensioni e in epoche che ci determinano. L’apparecchio che mi propongo di costruire per esplorare il mio tempo potrà essere una costruzione simbolica idonea a molti usi, per esempio alla esplorazione spaziale; potremo così considerare il tempo come quarta dimensione dello spazio, e non come un luogo o un concetto differente per il suo contenuto.
Generalmente per spazio si intende il luogo deputato dei corpi, mentre il tempo è l’estensione degli avvenimenti: e per necessaria sintesi la successione di detti eventi viene ricondotta talvolta a una forma di simultaneità, da cui il simultaneismo e tutte le speculazioni letterarie e artistiche inerenti.
Una macchina del tempo può portare a strani risultati, quando sia stata mentalmente immaginata: al punto che il tempo passato visto dalla macchina può benissimo divenire il tempo futuro. Infatti tutto dipende dalla posizione della macchina la quale deve avere la capacità di muoversi in ogni direzione e quindi di risalire la corrente degli anni trascorsi, riproiettandoli nel futuro. In tale modo gli avvenimenti precedenti vengono rivisitati come attraverso un retrovisore.
Il tempo già consumato dà luogo a varie forme di passato: prossimo, remoto e futuro. E oltre al tempo che ha preceduto, da lontano o da vicino, il nostro presente e che definiremo come passato reale, dovremo considerare un passato prodotto dalla stessa macchina del tempo. Detta macchina, che poi è la nostra memoria, quando nei suoi andirivieni ritorna dal tempo futuro a quello presente costruisce con ciò stesso il passato.
Per dirla in due parole, se tu pensi al domani (il futuro) e poi col tuo pensiero tu torni all’oggi (il presente), con ciò stesso crei il passato. Cioè quel futuro per il fatto stesso d’essere stato pensato diviene passato. Il presente può quindi transustanziarsi in un nuovo ordine cronologico, quello della reversibilità del futuro. Infatti il tempo comunque considerato – al presente, al passato, al futuro – implica una durata e questa durata può essere interpretata quale trasformazione di una successione in una reversione, ovverosia la successione degli avvenimenti si trasforma in una reversione degli stessi quando questi avvenimenti vengano esaminati e riproposti all’indietro. E la reversione si trasformerà nel divenire di una memoria.
La principale macchina del tempo è dunque la memoria. Ma questa non si identifica con il ricordo di cose apprese meccanicamente oppure registrate perché legate alle imposizioni della vita quotidiana, come il ricordarsi un appuntamento o di pagar le inique tasse. Penso piuttosto alla μνήμη legata allo scorrere che è dentro di noi, mentre percepiamo, anche se in via subliminale, ogni istante, ogni battito e il pulsare delle vene.
Il tempo, scivolando e talvolta scricchiolando, deposita e sedimenta memoria. Una memoria che è come polvere o sabbia finissima fluente da remota clessidra. Avvicinandoci in punta di piedi e rovesciandola, dalla clessidra così capovolta un filo comincerà a scendere, dagli ultimi grani depositati risalendo ai primi sedimenti. E come un filo si srotola dall’esterno del gomitolo per risalire al capo di partenza, così tenteremo di recuperare gradualmente gli avvenimenti e gli incontri trascorsi: facendo grazia al lettore delle troppe descrizioni e minuzie improbabili e ininteressanti che troppo spesso affliggono le narrazioni autobiografiche.
Ho costruito la macchina sul mio tavolo, dove sono solito allineare pennelli, colori, barattoli, tele e altri strumenti del display cromatico offerto dalla produzione corrente.
Sostituiti acquerelli, tubetti a olio e altri pigmenti con carte, foto, quaderni, libricini, elenchi, segni, contrassegni, chiose e promemoria, avremo davanti gli oggetti simbolici atti a materializzare quella successione infinita di punti e di appunti che è il tempo. Alle scartoffie, corrispondenze, ricordi, cataloghi e riproduzioni, si aggiungono delle piccole agende tascabili che da anni mi seguono giorno per giorno, ora per ora, sulle quali sono rintracciabili annotazioni varie. Spesso incoerenti e insignificanti a prima vista, queste annotazioni sono dotate di grandi capacità evocative se appena ripensate, nel rimuginio dei ricordi.
Aperto uno di questi libretti vi trovo la data di un vernissage tenuto a Milano il 29 ottobre 1971 alle ore nove di sera alla Galleria Iolas in via Manzoni proprio accanto al Poldi Pezzoli, vernissage di una mostra di de Chirico. Ero presente a quella inaugurazione e mi intrattenni con il pictor optimus ora scomparso, che tra l’altro mi dedicò un manifesto con la seguente metafisica dedica: «Al signor Enrico Baj, pittore».
Studio per Apocalisse, 1979. China su acetato, 25 × 27,5 cm.
Quella sera Giorgio, seduto su una pietra ai piedi di una colonna, accompagnato da Bosse-de-Nage, Starosta del Collegio di Patafisica, era più che mai simile a Ubu: e firmava cataloghi e manifesti con grazia e compiaciuta cortesia.
Se è vero, per dirla alla francese, che la pittura è una “cucina”, cioè un misto di carni, di sapori, di odori, di spezie, salse e condimenti, mantecati e riscaldati al punto giusto e nelle dovute proporzioni, Giorgio de Chirico fu, dell’arte moderna, uno dei massimi cucinieri.
Dello “chef” aveva anche l’aspetto, se immaginato con un bel berretto da cuoco in testa: invecchiando la sua cuisine, lasciati da parte carni e crostacei prelibati, tendeva sempre più alla pasticceria, attività questa ritenuta disdicevole dai grandi cucinieri. Di torte e meringhe, Giorgio de Chirico, a stento trattenuto dalla moglie, era golosissimo, oltre che di filetti, come un Rossini al quale, nel profondo, non disdegnava certo di assomigliare. E poi, svanita la purissima musa metafisica, cos’altro restava a un cuoco come lui, per evitare ripetizioni e stantie, laccate piazze d’Ita...