CAPITOLO 1
“Coraggio lasciare tutto indietro e andare Partire per ricominciare Che non c’è niente di più vero di un miraggio E per quanta strada ancora c’è da fare Amerai il finale.”
1.1 Avviare un’impresa.
Mi chiamo Gianluca, sono un imprenditore e sono felice di esserlo. Non sono felice perché ho una posizione socialmente accettata e importante, né perché ho un discreto successo nel mio campo. Sono felice perché, che tu ci creda o no, la felicità è per me uno strumento potentissimo con cui costruire e far crescere un business. Un modello economico che tenga conto della felicità (tua come dei tuoi collaboratori e dei tuoi clienti) ha molti più benefici di quanto si possa pensare; d’altronde è davvero semplice da comprendere: tutti cerchiamo la felicità e nel lungo periodo
la felicità paga.
Non è sempre stato così per me. Per anni sono stato un manager, vivevo e assorbivo il clima aziendale di turno e a un certo punto mi sono reso conto di quanto fosse prezioso il mio tempo.
Sarebbe bastato chiedermi più spesso allo specchio “Come stai Gianluca?” per rendermi conto che quella modalità di lavoro mi avrebbe fatto stare sempre più male. Questa presa di coscienza mi ha portato a modificare la mia visione del mondo del lavoro e il mio approccio, grazie al quale sento di aver cambiato la mia vita.
Avevo fatto esperienza e sapevo già cosa non fare; nel frattempo avevo capito che per lavorare bene ed essere sereni anche fuori dal lavoro, è necessario fare quello che ci rende felici. Credo così tanto in ciò che faccio e nel modo in cui lo faccio da pensare che chiunque possa trarre beneficio da un percorso nuovo.
Credo anche che parte della mia felicità dipenda dal fatto di aver anticipato un trend futuro che imporrà un cambiamento globale, ma di questo parleremo più avanti.
Il primo fondamentale passo che mi permetto di consigliare a chi vuole diventare imprenditore è:
Fare Esperienza.
L’esperienza migliore per iniziare è quella in cui ci si può muovere con relativa libertà d’azione, ma in sicurezza per la propria carriera e con un guadagno proporzionale al proprio sforzo. Partire come manager di una grande azienda o come socio di minoranza di una piccola-media impresa permette di capire le dinamiche a cui prestare attenzione, pianificare gli obbiettivi a lungo e medio termine e strutturare le attività quotidiane.
Successivamente, se si ha una buona idea imprenditoriale, si può pensare a come mettersi in proprio. Si può avere un nuovo prodotto da proporre o avere un’idea migliore per produrre o distribuire un prodotto o servizio già esistente; in ogni modo, devi davvero credere che la tua idea migliorerà in qualche modo la vita dei tuoi clienti. Così costruirai il tuo core business, e sarà relativamente semplice.
L’impresa (intesa come avventura) nel costruire la tua impresa (cioè la tua attività), sta nello scegliere i primi pilastri su cui si baserà da lì in avanti il tuo team. Una squadra ristretta dove ciascun membro, specializzato in un determinato campo, dà il suo contributo per un progetto comune.
In pratica, ti serve un socio.
1.2 Il socio.
Essere da soli (come in un viaggio) è un’impresa titanica, soprattutto se il percorso è impegnativo: nel deserto potresti aver necessità di qualcuno che condivide con te la strada e che ti porge l’acqua nel momento di difficoltà. Viceversa, se qualcuno della tua compagnia ha bisogno di aiuto, devi essere pronto a sostenerlo affinché tutti tengano lo stesso ritmo per passare indenni eventuali momenti di difficoltà. Essere socio unico dell’azienda può sembrare una soluzione allettante, ti toglie le tensioni di lavorare in team; ma come in un’avventura, avviarti in solitaria ti priva anche dei vantaggi di poter condividere le soddisfazioni del percorso. Per usare una metafora letteraria, l’impresa di Frodo Baggins non avrebbe mai avuto successo senza un socio come Samwise Gamgee al suo fianco che si facesse carico di alcuni pesi e incombenze determinanti ai fini dell’obbiettivo comune della “Compagnia dell’Anello”. Per usare una storia personale, anni fa andai da solo a vedere il Roland Garros, prima di entrare ero felicissimo – il torneo dei miei sogni con i più forti giocatori di tennis del mondo – ma, tornando a casa la sera sul metrò, mi resi conto che la felicità è effimera se non condivisa.
Bisogna avere dei soci di cui fidarsi, ma averne più di uno o due diventa complesso. Si può essere tentati dall’avere una grande squadra, ma alla fine, anche quando si parte in cinque spesso si finisce in due, massimo tre soci.
Sarebbe sempre consigliabile delineare bene e da subito cosa fa uno e cosa fa l’altro; la suddivisione dei compiti potrebbe riguardare i campi IT e la strategia, ad esempio.
Ad ogni modo, nelle aree business è sempre bene avere un decision maker che faccia da timoniere. I soci, convenendo nella sua capacità di tracciare la rotta, si fideranno delle sue scelte. Ovviamente è dura mantenere una visione obbiettiva, specialmente quando una propria idea viene accantonata e quando il decision maker è a favore di quella di un altro.
Il mio consiglio, che ti prego di prendere in considerazione in tutte le fasi della costruzione del tuo business, è di
non prenderla sul personale.
Non è una gara a chi “ha ragione” e ciascuno deve concentrarsi nella migliore realizzazione possibile degli obbiettivi del proprio settore già delineato all’inizio dell’impresa.
Considerate di poter essere due soci che fondano un’azienda e che possiate avere un socio di minoranza che non decida ma che porti dei contatti e permetta di avere un’accelerazione pazzesca. Non serve un “riccone” (inadatto però a contribuire alle decisioni) che fornisca liquidità; alla lunga il suo ruolo diverrebbe stretto per lui e scomodo per voi. Una delle prospettive più allettanti per agevolare l’inizio dell’attività sarebbe quella di avere un socio di minoranza che metta capitali e contatti e fa sì che l’amministratore faccia il suo lavoro con garanzie di riscontri e di informazione.
Tu hai mai cercato un socio di minoranza che metta capitale e dia valore alla tua società?
1.2.1 Decision Maker.
Non è semplice dare una definizione netta di “decision maker”. Ufficialmente è colui che prende le decisioni, ma non sempre è facile da individuare. Ci sono vari fattori che possono costruire questa figura: l’anzianità di servizio, la preparazione, l’esperienza diretta… Nella selezione del personale, ad esempio, chi sarà ad avere l’ultima parola tra il responsabile delle risorse umane o il manager? In caso di un acquisto, chi deciderà tra l’ufficio acquisti e il referente tecnico dell’acquisto? Quando i circoli d’influenza (che affronteremo nel terzo capitolo) non sono chiari, non è nemmeno chiaro chi si prenderà la responsabilità di tracciare la rotta, specialmente se si ha difficoltà a delegare. Se non si capisce chi prende le decisioni all’interno dell’impresa, figuriamoci cosa può capire chi osserva dall’esterno: si rischia di perdere tempo e denaro e di non dare le giuste informazioni a clienti e collaboratori.
In una riunione su un argomento specifico il decision maker tenderà ad essere naturalmente la persona che è più informata a riguardo.
Non fidatevi di chi vi dice cose come “in casa decide tutto mia moglie” perché, spesso, alle persone piace raccontare che sono gli altri ad avere il potere decisionale (anche se non è così), per non dover far fronte alla responsabilità nel caso in cui andasse male.
Cercate di capire che tipo di decision maker siete e quelli che potete avere intorno, differenziando e ramificando questo ruolo in modo da non dover subire (o far subire) la pressione della responsabilità su un solo capo.
1.2.2 Non dare per scontato che tutti, inclusi i soci, abbiano gli stessi obbiettivi.
Tante volte si pensa che tutti abbiano chiaro un piano, e invece dopo riunioni che sembravano esaustive si finisce per discutere da capo su dei punti basilari.
Ti propongo un’esperienza che può mettere in luce eventuali discrepanze nella valutazione degli obbiettivi comuni.
Tu e il tuo team alla fine di una riunione relativa ad un progetto, potete scrivere separatamente gli obiettivi strategici e poi leggerli ad alta voce e condividerli per capire se siete sulla stessa lunghezza d’onda. Così facendo uscirete dalla riunione con obiettivi comuni.
Ricordate che questo tipo di esercizio nei rapporti societari, soprattutto se gestiti a distanza, è importante poiché senza questa interazione si rischia di far fallire il progetto
quando si poteva semplicemente comunicare.
1.2.3 Imprenditori di prima e di seconda generazione.
C’è da fare una distinzione tra chi ha fondato una società e chi l’ha ereditata. Spesso gli imprenditori di seconda o terza generazione non hanno sviluppato alcune skill né lo sguardo critico di chi ha dovuto cercare dei soci o un posto di lavoro: hanno avuto la fortuna di trovarsi con l’azienda pronta da gestire ma non hanno scelto davvero di farne parte. Forse, se avessero potuto, avrebbero fatto tutt’altro nella vita.
Questa discrepanza può risultare pericolosa nel raggiungimento degli obbiettivi perché la loro motivazione può essere diversa, se non diametralmente opposta, alla vostra.
Il passaggio del testimone in azienda andrebbe fatto solo se sentito e condiviso da entrambe le parti.
L’imprenditore di prima generazione invece è partito da un’idea, investendo energie, soldi e sogni; tendenzialmente darà più valore ad ogni risultato ottenuto, perché ogni risultato è una conquista.
Ci sono ovviamente eccezioni e “persone che hanno ereditato la direzione dell’azienda” che hanno poi sviluppato e migliorato l’idea originale, ma tutti quelli che ho conosciuto avevano una caratteristica rara, l’umiltà e un approccio ancora più raro: l’ascolto continuo.
C’è poi l’ipotesi per cui se acquisti un’azienda da qualcun altro ti servono delle best practice che, come gli strumenti di un artigiano, ti permettano di ottenere il meglio da quel materiale che hai tra le mani. Diamo per scontato che il prodotto di quell’azienda ti sia più che familiare, dato che ti sei immesso volontariamente in quel business, ma nel metterti in relazione al team ti serviranno diverse nozioni, quelle di cui ti ho parlato sopra e quelle che troverai più avanti.
1.3 I talenti.
È arrivato il momento di capire chi porterà la vostra nave sulla rotta, da chi sarà composto il vostro equipaggio: identificate (e assumete) i vostri collaboratori. Vi renderete subito conto di due difficoltà:
1) ingaggiare i talenti, intercettarli;
2) farli evolvere.
Anni fa quando ero Direttore del personale per una grande azienda, provai a creare dei corsi ad Hoc per alcuni talenti neoassunti. L’allora amministratore, pur sostenendo in pubblico che i giovani dovessero essere il futuro dell’azienda, in privato non mi diede il misero budget necessario a procedere.
A quel punto solitamente si pensa di avere le mani legate, accettare che sia andata così e nella migliore delle ipotesi cercare di proporre una spesa in linea con le direttive aziendali. Io invece, decisi di istituire tutti i giovedì una pausa pranzo formativa con panino e soft-skill, in cui ogni talento parlava della propria esperienza. Questo semplice gesto rinforzò la squadra e fu di beneficio per tutti, senza costi e senza stravolgere gli impegni in agenda.
I talenti, soprattutto nelle fasi iniziali dell’impresa, si rivelano preziosi perché oltre alla capacità di eseguire il proprio lavoro specifico, possono essere punti di riferimento per il resto del team. Ciò significa che al talento potremmo delegare parte delle responsabilità affidandoci alle sue comprovate capacità.
1.4 Le aspettative personali.
Una regola valida sia quando si entra in un’azienda che quando si assume è avere un Forecast (previsione) chiaro di quello che succederà, di quello che guadagnerai e di quello che imparerai in futuro. In generale tutti devono avere chiari alcuni punti:
• I valori dell’azienda
• Quello che si guadagna e la prospettiva realistica di quello che si potrebbe guadagnare;
• Quello che puoi imparare subito e quello che imparerai in futuro;
• Chi è il proprio capo;
• L’ambiente di lavoro dal punto di vista dell’educazione e del rispetto delle persone.
Ovviamente, per quanto riguarda l’aspetto salariale, capire quanto si percepirà per il tempo speso in azienda è fondamentale per definire i ruoli e le responsabilità. La retribuzione non è solo una formula che fa equivalere all’impegno temporale un bilanciamento espresso monetariamente: la paga è il primo strumento con cui definire l’impegno preso con l’azienda e il grado di attenzione di cui si fa carico quest’ultima.
La possibilità di imparare e di crescere può essere un valido incentivo per trovare dei collaboratori felici e di conseguenza produttivi e leali. Per quanto si possano trovare lavoratori produttivi, credimi: la lealtà è una merce rara e preziosa. Un lavoratore sarà felice di mettere in pratica le nuove skills apprese grazie a un corso fornito dall’azienda e/o dall’esperienza fatta sul campo.
Andare incontro alle aspettative personali di un lavoratore fin dalla fase di selezione, darà vita ad un ambiente di lavoro favorevole poiché avremo modo di capire se le stesse sono allineate con la visione aziendale. Inoltre, creerà una merce che non si può comprare: un buon feedback. Avere una buona reputazione tra i lavoratori attrarrà non solo nuovi clienti ma anche nuovi talenti (senza parlare degli investitori…).
1.5 Uomini o caporali: gestire la leadership.
Che capo hai? E che capo vuoi essere? Non sono domande semplici e ti invito a rifletterci accuratamente per il bene del tuo lavoro e dei tuoi collaboratori.
Fa quasi ridere pensare che, nella mentalità comune, un capitano dell’esercito sembri sempre una figura temibile rispetto a qualsiasi altra figura professionale. Come diceva Totò in una celebre ...