
eBook - ePub
La rinascita del debitore
Le regole sul sovraindebitamento per risolvere le crisi.
- 96 pagine
- Italian
- ePUB (disponibile sull'app)
- Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub
La rinascita del debitore
Le regole sul sovraindebitamento per risolvere le crisi.
Informazioni su questo libro
Fino a pochissimi anni fa il nostro ordinamento attribuiva dignità di trattamento specifico solo alla crisi degli imprenditori commerciali non piccoli, assoggettabili come tali al fallimento. La legge sul sovraindebitamento del 2012 ha superato questo limite, introducendo una disciplina funzionale alla regolamentazione della crisi di tutti i soggetti esclusi dal fallimento e dalle altre procedure concorsuali, e così attribuendo la stessa dignità alla crisi di chiunque. Sul presupposto che ogni crisi meriti ugualmente ascolto e risposte altrettanto specifiche.
Domande frequenti
Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
- Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
- Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a La rinascita del debitore di Niccolò Nisivoccia in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Economia e Teoria economica. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.
Informazioni
Argomento
EconomiaCategoria
Teoria economicaCapitolo 1
Oltre i confini del diritto fallimentare
La fragilità che è in noi è il titolo di un libro, bellissimo e prezioso, del grande psichiatra Eugenio Borgna. E cosa ci dice, cosa ci insegna Borgna, fin dal titolo del suo libro? Che la fragilità è una condizione ineludibile della vita, alla quale tutti siamo esposti. Della vita, dell’esistenza, della condizione umana, la fragilità è un elemento non accidentale, non eventuale, ma costitutivo, fondante. Che lo si voglia o non lo si voglia, che lo si accetti o lo si rifiuti, che se ne sia consapevoli o inconsapevoli, la fragilità è un’esperienza inevitabile che ci riguarda tutti, nel bene come nel male (perché la fragilità è anche una ricchezza, un valore).
Ecco: in un ideale lessico necessario, la parola “fragilità” non dovrebbe mancare. Accanto potrebbero esserle collocate, ad esempio, parole quali “fratellanza”, “alterità”, “memoria”, “futuro”, “dubbio”, “pazienza”, “connessione”. Ma la parola “fragilità” ha una caratteristica tutta sua, che la distingue da moltissime altre e che consiste in una sua ampiezza semantica che quasi non ha confini, in una dotazione di significati ogni volta diversi nelle infinite aree tematiche nelle quali la vita si declina e si realizza. Psichiatria, psicologia, psicoanalisi, religione, diritto, politica, economia, sociologia, filosofia: non esiste area tematica nella quale la fragilità non abbia o non possa avere una propria ragion d’essere – ad ogni area corrispondendo, o potendo corrispondere, un senso diverso, una sfumatura nuova.
Quanto all’economia, la sua esposizione alla fragilità è stata clamorosamente confermata, o svelata, dalla pandemia del 2020. È bastato pochissimo perché i sistemi economici mostrassero, ovunque, le prime crepe. Per quanto riguarda l’Italia, uno studio pubblicato dall’Istituto Treccani dà atto che appena due settimane dopo l’attivazione delle misure di confinamento (il cosiddetto “lockdown”, disposto per decreto del Presidente del Consiglio l’11 marzo 2020) risultavano già chiuse circa due milioni e mezzo di imprese, su un numero complessivo di quattro milioni e trecentomila, presso le quali erano occupate quasi nove milioni di persone, contro i sette milioni e settecentomila occupati nei settori rimasti attivi, per un fatturato pari più o meno alla metà di questi ultimi. E la disoccupazione riguardava soprattutto i giovani: l’Istat ha certificato che, solo due mesi più tardi, nel maggio 2020, il tasso di disoccupazione giovanile aveva raggiunto il 23,5%, contro un tasso complessivo comunque alto, del 7,8 per cento. «Metà dei posti di lavoro distrutti da Covid-19», riassumeva Tito Boeri, «coinvolgeva persone con meno di 35 anni, nonostante gli occupati di quella fascia d’età siano appena un quarto del totale»; e le cronache giornalistiche parlavano, all’unanimità, di una «condanna inappellabile per intere generazioni della classe dirigente».
Tutto questo, poi, senza considerare l’enorme voragine dell’economia sommersa, cioè di quell’economia invisibile ma concretissima che poche altre volte nel passato aveva preso e mostrato consapevolezza di sé stessa com’è invece riuscita a fare, forse non a caso, proprio durante la pandemia – nel luglio del 2020, a Roma, attraverso gli Stati popolari promossi dal sindacalista ivoriano, naturalizzato italiano, Aboubakar Soumahoro. Ma ha ragione il celebre latinista Ivano Dionigi, quando scrive che «c’è un inganno, un’ipocrisia, una non-verità nelle nostre parole»: diciamo “economia sommersa” ma è un eufemismo, in realtà si tratta di “lavoro nero”, e lo sappiamo bene.
Insomma, anche l’economia è fragile, perché fragile è il suo equilibrio, aldilà dei modelli di riferimento (più o meno liberisti, più o meno dirigisti); e la crisi d’impresa rappresenta la manifestazione più tipica di questa fragilità.
Sul piano giuridico, alla crisi d’impresa corrisponde, storicamente, il diritto fallimentare, essendo il diritto fallimentare quel settore del diritto destinato, quantomeno negli ordinamenti latini, a regolamentare appunto le situazioni di crisi dei soggetti che esercitano attività commerciali. Come sottolineava Edoardo Ricci, uno dei fallimentaristi più insigni degli ultimi decenni, questa destinazione del diritto fallimentare alla sola impresa commerciale non è il frutto di una scelta che risponda a speciali esigenze di carattere ontologico, e lo dimostra il fatto che in altri ordinamenti, sia di area anglosassone che di area germanica, il fallimento è da molto tempo una procedura applicabile a qualunque debitore. Ma tant’è: fino a pochissimi anni fa, in Italia il fallimento riguardava solo gli imprenditori, e più in particolare solo gli imprenditori commerciali.
Il dato emerge dalla Storia: sia il codice di commercio napoleonico del 1807 sia i codici di commercio del 1865 e del 1882, che dal codice napoleonico erano derivati, escludevano dall’area della fallibilità l’imprenditore agricolo, e l’esclusione è stata successivamente confermata dalla legge fallimentare del 1942, tuttora in vigore. Naturalmente esistevano anche molte differenze, fra quei codici ottocenteschi e la legge fallimentare, la prima delle quali concerneva il trattamento dei piccoli imprenditori, che sotto la vigenza del codice di commercio del 1882 erano compresi fra gli imprenditori commerciali fallibili e che la legge fallimentare, al contrario, escludeva ed esclude. Ma il dato fondamentale rimaneva comunque comune: l’assoggettabilità al fallimento solo degli imprenditori commerciali, aldilà delle questioni concernenti la loro dimensione. E questo dato proveniva a sua volta dal passato, se non dalle origini, perché il diritto fallimentare è nato nel basso medioevo insieme all’economia mercantile, nell’Italia dei Comuni: e quindi è come se non si fosse mai emancipato, potremmo dire, dalla figura del mercante, del commerciante, della quale l’imprenditore commerciale costituisce né più né meno che un’evoluzione naturale.
In realtà le cose sono molte cambiate negli ultimi anni, e stanno ancora cambiando. La stessa nozione di “diritto fallimentare” è in procinto di diventare come minimo una nozione anacronistica, perché fra poco il “fallimento” non esisterà più come tale nel nostro ordinamento e scomparirà perfino dal nostro vocabolario, se è vero che nel settembre 2021 la legge fallimentare verrà sostituita dal nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, all’interno del quale il fallimento non si chiamerà più «fallimento» ma «liquidazione giudiziale». Per l’esattezza il Codice della crisi è stato approvato nel febbraio 2019 e dovrebbe essere già entrato in vigore, secondo quelle che erano le intenzioni originarie. Ma prima un rinvio e poi un altro hanno differito questo termine al settembre 2021.
Non possiamo dare del tutto per scontato che, a quella data, il Codice entrerà veramente in vigore, né che entrerà in vigore tout court, ma dobbiamo assumerlo come l’ipotesi che ad oggi ci è data; né, per dirla tutta, l’attuale legge fallimentare ne verrà, o ne verrebbe, così rivoluzionata o stravolta come in un primo momento era sembrato. Rimane il fatto che la parola “fallimento” verosimilmente non esisterà più, in futuro, e la novità a ben vedere sarà anche culturale oltre che lessicale, perché l’intenzione è quella di eliminare lo stigma sociale e morale derivante nel senso comune dalla circostanza di essere falliti, come se il fallimento fosse un’onta per l’imprenditore.
In effetti questo è ciò che insegna la Storia, ancora una volta: e basti pensare che nel medioevo i falliti dovevano indossare un cappello verde per essere riconoscibili da tutti, e venivano banditi dalla società civile. Ed è anche ciò che sperimentiamo nella pratica quotidiana, perché le crisi imprenditoriali (non diversamente, in fondo, dalle crisi di natura personale, accomunate alla crisi d’impresa dall’elemento della fragilità) sono spesso vissute come un male da nascondere piuttosto che come una situazione da gestire (o di cui avere cura). Ora invece il nuovo Codice della crisi vorrebbe restituire al fallimento una dimensione più fisiologica, anche dal punto di vista della sua percezione estetica: vorrebbe che la crisi venisse interpretata non più come una verità da negare, bensì come una semplice eventualità nella quale chiunque può incorrere.
Ma il diritto fallimentare, nella sua accezione storica e classica, è ormai già molto lontano da sé stesso anche indipendentemente dal nuovo Codice della crisi; e la nozione di “diritto fallimentare” è forse inattuale già adesso, anche senza attendere il futuro e tutti i cambiamenti che ne verranno o non ne verranno. Lo è rispetto a quello che è già accaduto; e lo è a prescindere dai nomi, dalle parole. Lo è in quanto ormai inadeguata a contenere ciò che vorrebbe esprimere, in quanto ormai troppo limitata rispetto alle mutate aspirazioni del legislatore.
Certo, il diritto fallimentare non è mai stato circoscritto al solo “fallimento”, perché la legge fallimentare, sebbene intitolata al “fallimento”, comprende anche le norme sul concordato fallimentare, sul concordato preventivo e sulla liquidazione coatta amministrativa (e comprendeva originariamente anche quelle sull’amministrazione controllata, fino alla loro abrogazione nel 2006); e perché altre leggi, diverse dalla legge fallimentare, disciplinano altre procedure ancora (le varie amministrazioni straordinarie presenti nell’ordinamento), a loro volta incluse nell’accezione del “diritto fallimentare” d’uso comune. Da questo punto di vista, il fallimento ha sempre predominato su tutte le altre procedure, prevaricandole anche nel nome: come se le altre procedure avessero rinunciato fin dall’inizio a farsi valere, a farsi sentire, come se avessero accettato per statuto un posto in disparte, quasi nell’ombra. «I nomi sono parole inspiegabili, resistenti ai significati», recita il verso di una poesia di Cesare Viviani, ma non è questo il caso. Qui il nome è chiaro e spiegabilissimo: il diritto fallimentare riguarda anche le altre procedure, diverse dal fallimento, ma di loro non porta traccia nel nome per il semplice motivo che è il fallimento ad aver assunto da sempre il ruolo della procedura principale. È il fallimento a rappresentare la disciplina di riferimento, dalla quale tutte le altre sono ricavate per derivazione (anche attraverso il meccanismo dei rinvii).
Tutto ciò è talmente vero che, se si vuole, a stretto rigore la nozione di “diritto fallimentare” è sempre stata imprecisa, ha sempre peccato per difetto rispetto ai suoi contenuti. Ma negli ultimi anni l’eccedenza ha ulteriormente travalicato i confini originari di quella nozione, che sembra ormai aver esaurito la propria capacità definitoria anche solo per difetto. E sono almeno due gli elementi che concorrono a questo ampliamento dei confini, a questa esondazione di senso.
Il primo elemento consiste nella proliferazione delle procedure dalla quale gli ultimi anni, diciamo dal 2005 in avanti, sono stati caratterizzati: piani di risanamento, transazioni fiscali, accordi di ristrutturazione dei debiti, accordi con intermediari finanziari, convenzioni di moratoria. Nel corso del tempo, il legislatore ha aggiunto alle procedure storiche una serie sempre crescente di procedure nuove, sempre più particolari, sempre più speciali. E di queste procedure (di alcune o di molte, se non di tutte) è discutibile non solo la riconducibilità al modello paradigmatico del fallimento, ma la stessa configurabilità quali procedure vere e proprie. L’intenzione del legislatore, in generale, è stata quella di favorire il più possibile l’accesso da parte dell’imprenditore a strumenti che possano consentire il superamento della crisi senza necessità di fare ricorso al fallimento, che in linea di massima è una procedura puramente liquidatoria, come tale avente per scopo principale non la conservazione dell’azienda e dei suoi valori bensì la sua dismissione al fine di distribuirne il ricavato fra i creditori.
Nulla vieta che la vendita venga eseguita in blocco, nel qual caso alla dismissione potrebbe ugualmente corrispondere la continuazione dell’attività come prima; ma è una pura eventualità, per quanto auspicabile. Non è dunque il fallimento lo strumento più adeguato al superamento delle crisi, al salvataggio delle aziende. Non che il superamento della crisi o il salvataggio dell’azienda siano obiettivi da conseguire a tutti i costi, a qualunque prezzo; ma il legislatore ha comunque fatto di tutto, negli ultimi anni, per offrire agli imprenditori la possibilità almeno di perseguirli. Nell’ottica dello Stato, non si tratta tanto di concedere favori al singolo imprenditore, quanto di proteggere, nei limiti del possibile, la tenuta dei tessuti sociali ed economici che dalle imprese dipendono, a cominciare dai lavoratori (tanto più che gli ultimi anni sono stati attraversati da crisi finanziarie gravissime, che hanno coinvolto tutto il mondo). E così, molte delle nuove procedure introdotte dal 2005 in avanti assomigliano a contratti privati piuttosto che a procedure governate dal giudice: a contratti aventi ad oggetto la sistemazione condivisa della situazione debitoria, che l’imprenditore stipula con i propri creditori senza che al giudice, al quale è pur sempre rimesso il vaglio finale (perché l’efficacia degli accordi dipende dall’omologazione, che spetta al giudice concedere), sia consentito più di tanto di sindacarli, di entrarvi nel merito. Ma non solo: in certi casi, il legislatore è arrivato al punto di derogare perfino ad alcuni princìpi istituzionali della materia contrattuale. Pensiamo ad esempio all’accordo con le banche previsto dall’articolo 182-septies della legge fallimentare, introdotto da una riforma del 2015: qui la norma ammette addirittura l’estensione degli accordi nei confronti dei soggetti che non vi abbiano aderito, in deroga al principio generale secondo cui il contratto ha forza di legge fra le parti e solo fra le parti, e non anche nei confronti di terzi.
In definitiva, è come se in un modo o in un altro l’obiettivo del superamento della crisi d’impresa avesse indotto il legislatore a immaginare e a generare, negli ultimi anni, nuovi spazi giuridici, autonomi e distinti sia rispetto al diritto civile comune sia rispetto al diritto fallimentare classico; ed è come se il fallimento avesse perso il proprio ruolo di procedura principale, di riferimento. Forse sarebbe allora più corretto parlare di “diritto della crisi d’impresa”, anziché di “diritto fallimentare”: e va detto che in effetti questo è quanto sta accadendo, perché la nozione di “diritto della crisi dell’impresa” sta sempre più diffondendosi nella prassi giuridica e nel linguaggio corrente.
Il secondo elemento di rottura dei confini del diritto fallimentare classico è quello da cui scaturisce e su cui si concentra questo libro: il sovraindebitamento, introdotto nel nostro ordinamento solo nel 2012. Descritto nella massima sintesi possibile, il sovraindebitamento consiste nello stato di crisi o di insolvenza del soggetto escluso dal fallimento; e la procedura di sovraindebitamento è la procedura speciale (o meglio, l’insieme delle procedure speciali, perché le procedure di sovraindebitamento sono tre) che regolamenta questo stato di crisi o di insolvenza. Sotto il profilo tecnico, quindi, possono essere definiti come sovraindebitati tutti coloro che non possono fallire, e solo loro: vuoi perché non sono imprenditori commerciali, vuoi perché sono imprenditori commerciali ma non sono in possesso dei requisiti dimensionali richiesti dalle norme per poter fallire, vuoi perché non sono neppure imprenditori, ma comuni cittadini, consumatori, professionisti, vuoi per altre ragioni speciali. In altre parole, le procedure di sovraindebitamento riguardano fondamentalmente tre categorie di soggetti: il cosiddetto debitore civile, il piccolo imprenditore e l’imprenditore agricolo, che a sua volta è per tradizione un piccolo imprenditore (e comunque non è un imprenditore commerciale). Bene: la circostanza che queste categorie includano anche soggetti diversi dall’impresa impedisce di parlare, in relazione al sovraindebitamento, di “diritto della crisi d’impresa”, ma non impedisce di parlare, più in generale, di “diritto della crisi”.
Non è solo una questione di definizioni. Si tratta di riconoscere al sovraindebitamento l’attenzione che merita, in sé e per sé. È innegabile che, per certi versi, anche la disciplina del sovraindebitamento partecipi delle caratteristiche del diritto fallimentare, perché sono molti i profili sotto i quali rimanda alla legge fallimentare. Le stesse procedure di sovraindebitamento possono essere assimilate grossomodo alle procedure fallimentari: la liquidazione al fallimento, così come il piano del c...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Copyright
- Indice
- Prefazione
- Capitolo 1 Oltre i confini del diritto fallimentare
- Capitolo 2 Il sovraindebitamento in generale
- Capitolo 3 L’accordo di composizione della crisi (o concordato minore)
- Capitolo 4 Il piano del consumatore (o ristrutturazione dei debiti del consumatore)
- Capitolo 5 La liquidazione (o liquidazione controllata del sovraindebitato)
- Capitolo 6 L’esdebitazione