MANAGEMENT
L’organizzazione digitale piatta riduce le gerarchie
di Raffaella Cagliano
La digitalizzazione è un percorso ormai fondamentale per le imprese che devono far fronte alla crescente incertezza e complessità del contesto. La digitalizzazione apre numerose opportunità perché consente la flessibilizzazione dei processi, la gestione della complessità attraverso la scienza dei dati, la migliore gestione delle interdipendenze tra le persone, le unità organizzative e le imprese. Ma queste opportunità passano necessariamente dalla valorizzazione delle persone, che individuano le potenzialità delle tecnologie e le indirizzano verso l’ottimizzazione dell’organizzazione. Le competenze, la capacità innovativa e la volontà di contribuire delle persone sono elementi fondamentali di un processo di digitalizzazione di successo. Il management ha dunque il delicato compito non solo di guidare i processi di cambiamento tecnologico, ma prima ancora di attivare una trasformazione culturale e dei modelli di gestione.
Il convitato di pietra in questo percorso è il tradizionale modello meccanicistico dell’organizzazione, incentrato sulla gerarchia, sulla stretta divisione dei ruoli e dei compiti, sulla standardizzazione dei processi e delle attività, e su uno stile di management orientato al comando e controllo che guarda alle persone con una prospettiva funzionalistica. I modelli organizzativi emergenti, più adatti a sfruttare appieno le potenzialità della digitalizzazione, perché capaci di liberare le energie delle persone, sono invece molto più piatti ed orizzontali, fino a diventare autoorganizzati, sono basati su reti di persone e di organizzazioni dai confini sfumati che interagiscono in modo flessibile, sono ambidestri, ovvero capaci di massimizzare i risultati dei business esistenti ma anche di ricercare innovazioni continue per tenere il passo con i cambiamenti del contesto. In poche parole, sono modelli agili.
Persone al centro. Competenza e capacità innovativa sono centrali nell’organizzazione digitalizzata
Tre i pilastri del nuovo stile di management che si rinforzano reciprocamente.
Innanzitutto l’accountability: le persone all’interno dell’organizzazione e a tutti i livelli assumono la responsabilità dei risultati che producono e mettono in campo le proprie competenze, abilità e risorse per raggiungere gli obiettivi prefissati o, ancora meglio, autodeterminati. Non è più la struttura e la gerarchia a determinare cosa occorre fare, ma la consapevolezza del risultato da raggiungere.
I cambiamenti necessari per Industria 4.0
Dati in percentuale
Fonte:Report Osservatorio Industria 4.0. Dati 2019
In secondo luogo l’engagement, ovvero la capacità di coinvolgere le persone rispetto agli obiettivi dell’organizzazione in modo così significativo da generare un’attenzione, pensiero ed energia addizionali nel lavoro, al di là di quanto richiesto dal proprio ruolo. E questo avviene quando le persone trovano un significato più ampio in quello che fanno rispetto al contribuire al profitto dell’impresa e alla remunerazione del proprio lavoro. Le imprese che riescono ad ingaggiare maggiormente le proprie persone sono quelle che riescono a creare un senso di appartenenza intorno ad un purpose, un’idea, una vision e una mission che abbia significato e valore. Accountability, engagement e purpose creano un circolo virtuoso e richiedono un cambiamento radicale nel management, che deve essere sempre più leader, e in particolare un leader partecipativo e trasformazionale, che ispiri, guidi, motivi, supporti il proprio team, e rinunci invece al micro-management, al comando e al controllo. Senza questi ingredienti fondamentali, e senza il coinvolgimento e l’ingaggio delle persone che dovranno usarle, le nuove tecnologie digitali rischiano di creare organizzazioni rigide e aride anziché agili e innovative.
Professoressa ordinaria di People management & organization, School of Management del Politecnico di Milano
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NELLE AZIENDE
Impegno e scopo le parole chiave per la leadership
di Antonio Dini
Il cambiamento, soprattutto quello provocato dal digitale, può essere fuorviante. Infatti, quando una organizzazione (azienda o altro) avvia progetti o iniziative per migliorare le prestazioni, cogliere opportunità o affrontare questioni chiave, spesso sono necessari cambiamenti profondi. A processi, ruoli lavorativi,strutture organizzative, alle tipologie e usi della tecnologia.
Tuttavia, anche se sembra il contrario, sono proprio le persone che devono cambiare: gli impiegati, i quadri e i dirigenti dell’azienda. Se queste persone non hanno successo nelle loro trasformazioni personali, se non imparano un nuovo modo di lavorare, l’iniziativa fallirà. Se i dipendenti accolgono e adottano i cambiamenti richiesti dalla trasformazione, si otterranno dei risultati previsti (sempre che la strategia fosse corretta, ovviamente). Quello che è fuorviante è che il cambiamento organizzativo è in realtà un cambiamento culturale. Gestire questo cambiamento nelle aziende è un processo delicato e complesso. Il rischio è quello di far fallire i progetti di trasformazione. Il primo punti rilevante è la responsabilità. Nelle aziende tradizionali, di tipo gerarchico, le responsabilità sono assegnate a singola aree: linee di prodotto, aree geografiche, altre aree di business. Nell’azienda figlia della trasformazione digitale le responsabilità vanno invece ai gruppi di lavoro che diventano “proprietari” di un determinato aspetto e ne devono curare lo sviluppo sino a raggiungere gli obiettivi stabiliti dalla dirigenza. Come scriveva Jeanne Ross nel suo saggio del 2018 per la Mit Sloan Management Review, “Goodbye Structure; Hello Accountability”, «le strutture organizzative sono progettate per chiarire come un’azienda raggiungerà gli obiettivi dichiarati. Ma non sono necessariamente ottimali ad aiutare le persone ad adattarsi al cambiamento degli obiettivi».
Le due parole chiave per esercitare una leadership differente, di tipo più carismatico e meno burocratico-funzionale, sono “impegno” e “scopo”, cioè “engagement” e “purpose”. Per condividere gli obiettivi dell’azienda e mettere le capacità e risorse dei singoli in comune bisogna essere motivati: non più con degli incentivi vecchio stile (il modello “bastone-carota” dell’azienda tradizionale) ma con un tipo di “engagement” più profondo. Per riuscire ad attivarlo nell’animo dei dipendenti, l’azienda si dota di uno “scopo”, che esprime un valore superiore a quello del semplice profitto (che certamente rimane, ma non è più l’obiettivo). Salvare l’ambiente, vendere prodotti appartenenti al mito, oppure semplicemente molto belli. In questi profili ci sono, rispettivamente, aziende come Tesla, Ferrari, Apple. La capacità delle aziende di comunicare internamente il loro scopo “alto” determina in maniera diretta l’engagement dei dipendenti.
Obiettivi condivisi. È la svolta nella trasformazione dell’idea di leadership
Cosa significa questo in concreto? Che la leadership aziendale si trasforma: il “capo” è carismatico e deve guidare il suo “popolo” verso il risultato. Non lo fa come i capi tradizionali, cioè i manager, che stabiliscono prescrizioni, obiettivi, misure della performance, forme di regolazione e controllo. Invece, il leader carismatico condivide degli obiettivi, motiva le persone, fa trovare il senso della loro esperienza in quello che fanno. Un capo tradizionale usa gli incentivi economici per gli convincere i dipendenti a fare gli straordinari, per il capo carismatico si lavora con entusiasmo a ciclo continuo.
Se questa prospettiva può sembrare esagerata, il mercato suggerisce diversamente. L’incertezza del mondo e la sua crescente complessità, rafforzata dall’introduzione delle tecnologie digitali, richiedono modelli organizzativi reattivi, capaci di adattarsi a contesti cangianti, che siano agili e capaci di integrare attorno a uno scopo anche delle reti di imprese. Cambiano i modi, non c’è più la gerarchia tradizionale e il leader carismatico non è più necessariamente quello gerarchico. Anche perché, come si vede negli studi sull’industria 4.0, la trasformazione nasce dal basso: l’introduzione delle tecnologie viene mediata e interpretata dai dipendenti. Trovare assieme le soluzioni e i modo di lavoro è l’unica maniera per superare le resistenze. Dopotutto, il cambiamento parte dalle persone: la resistenza di solito deriva dalle imposizioni, mentre gli approcci che riducono la distanza tra chi decide e chi cambia riducono anche la resistenza e hanno più successo.
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LA QUINTA GENERAZIONE DEL MOBILE
Italia alla prova del 5G (con l’incognita Usa-Cina)
di Andrea Biondi
Un volano per la digitalizzazione dell’industria italiana che permetterà di abilitare un importante potenziale di business per le aziende e per gli operatori delle Tlc.
Lo studio “5G for business: a 2030 market compass” realizzato da Ericsson e Arthur D.Little è uno dei report che indica nella quinta generazione di reti mobili una delle chiavi di volta in grado di dare un’accelerazione al processo di digitalizzazione. Relativamente all’Italia dallo studio emerge anche quanto il 5G aprirà le porte a nuove opportunità di business in ambito non solo consumer, ma anche industriale: nel 2030 il 5G potrà abilitare 32 miliardi di dollari di investimenti nel processo di trasformazione digitale dei 10 settori industriali considerati dal report (manifatturiero, sicurezza pubblica, servizi finanziari, sanità, automotive, trasporto pubblico, media e intrattenimento, energia e utility, retail e agricoltura), di cui 15 miliardi di dollari è la stima dei potenziali ricavi per le telco.
Non è un caso che il 5G abbia da tempo guadagnato un posto privilegiato nel dibattito pubblico, consolidato da uno scontro fra Usa e Cina che ha investito appieno l’Europa, con i vari Paesi bersaglio del pressing dell’Amministrazione Trump che vuole bloccare l’ascesa di una Huawei che sul 5G si è ritagliata negli ultimi anni una posizione da leader.
L’invito pressante degli Usa – che potrebbe aver avuto un risultato nella scelta, tanto discussa in questi giorni, di Tim di escludere dalla gara per la realizzazione della parte core della sua rete 5G (anche se da Tim hanno gettato acqua sul fuoco parlando di pura scelta industriale) – è evidentemente una testimonianza del peso di questa tecnologia considerata come abilitatrice di un mondo nuovo in cui velocità di connessione, altissima capacità di trasporto dei dati e soprattutto i millisecondi di latenza – il tempo di risposta all’impulso – favoriranno chirurgia a distanza, agricoltura di precisione, controllo della staticità degli edifici in zone sismiche.
E per una volta l’Italia potrebbe non trovarsi a rincorrere gli altri Paesi. Infatti il percorso del 5G parte nel 2017, con l’avvio della sperimentazione pre-commerciale, benedetta dal Mise, sulla banda 3.6-3.8 GHz. Frequenze vengono messe a disposizione delle compagnie telefoniche in cinque aree del Paese: a Milano per Vodafone; a Bari e Matera per Tim, Fastweb e Huawei; a L’Aquila e Prato per Wind Tre e Open Fiber. Nel frattempo altre sperimentazioni partono in autonomia: Tim a San Marino o anche a Torino con Ericsson e Politecnico; Fastweb con Ericsson a Roma oppure ancora Linkem a Catania e i cinesi di Zte che hanno stabilito a L’Aquila il loro centro di ricerca sul 5G.
Il potenziale del 5G
Potenziale di reddito abilitato dal 5G totale globale per i provider di servizi delle comunicazioni nel 2030. In %
Fonte: Arthur D. Little and Ericsson Industry digitalization revenue model Note
Per le speri...